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«Noi siamo i Figli della Luce» annunciò Galad, una volta che si furono riuniti. «Questi sono i giorni più bui degli uomini. Giorni in cui la speranza è debole, giorni in cui regna la morte. Ma è nella notte più profonda che la luce è più splendente. Durante il giorno, un faro scintillante può apparire fioco. Ma quando ogni altra luce si spegne, sarà quello a guidare!

«Noi siamo quel faro. Questo pantano è un tormento. Ma noi siamo i Figli della Luce, e i nostri tormenti sono la nostra forza. Coloro che dovrebbero amarci ci danno la caccia, e altre strade conducono alle nostre tombe. E così andremo avanti. Per coloro che dobbiamo proteggere, per l’Ultima Battaglia, per la Luce!

«Dov’è la vittoria di questa palude? Io rifiuto di sentire il suo morso, poiché sono fiero. Fiero di vivere in questi giorni, fiero di essere parte di quello che accadrà. Tutte le vite che sono venute prima di noi in quest’Epoca hanno atteso con impazienza il nostro giorno, il giorno in cui gli uomini verranno messi alla prova. Che altri si lamentino del proprio fato. Che altri piangano e strepitino. Noi non lo faremo, poiché affronteremo questa prova a testa alta. E lasceremo che dimostri la nostra forza!»

Non un discorso lungo; non voleva prolungare troppo la loro permanenza nella palude. Eppure, sembrò fare il suo dovere. Le schiene degli uomini si raddrizzarono e loro annuirono.

Uomini che erano stati scelti per farlo trascrissero le parole e andarono a leggerle a coloro che non erano riusciti a sentirle.

Quando la truppa ricominciò ad avanzare, i passi degli uomini non erano più strascicati, le loro posture non più ingobbite. Galad rimase sul fianco della collinetta, prendendo alcuni rapporti e lasciando che gli uomini lo vedessero mentre passavano.

Quando l’ultimo dei settemila l’ebbe superato, Galad notò un gruppetto in attesa alla base della collina. Il Figlio Jaret Byar era con loro, lo sguardo alzato verso Galad, gli occhi infossati illuminati di zelo. Era scarno, con un volto stretto.

«Figlio Byar» disse Galad, scendendo dalle pendici della collinetta.

«È stato un buon discorso, mio lord Capitano Comandante» disse Byar con fervore. «L’Ultima Battaglia. Sì, è tempo di dirigerci là.»

«È il nostro fardello» disse Galad. «E il nostro dovere.»

«Cavalcheremo verso nord» disse Byar. «Uomini verranno da noi e i nostri numeri cresceranno. Un’enorme forza di Figli, decine di migliaia. Centinaia di migliaia. Inonderemo la terra. Forse avremo abbastanza uomini per abbattere la Torre Bianca e le streghe, piuttosto che aver bisogno di allearci con loro.»

Galad scosse il capo. «Avremo bisogno delle Aes Sedai, Figlio Byar. L’Ombra avrà Signori del Terrore, Myrddraal, Reietti.»

«Sì, suppongo.» Byar pareva riluttante. Be’, era sembrato riluttante all’idea in precedenza, ma vi aveva acconsentito.

«La nostra strada è difficile, Figlio Byar, ma i Figli della Luce saranno i condottieri all’Ultima Battaglia.»

Le malefatte di Valda avevano macchiato l’intero ordine. Inoltre, Galad era sempre più convinto che Asunawa avesse giocato un grosso ruolo nel maltrattamento e nella morte della sua matrigna. Questo significava che l’Alto Inquisitore in persona era corrotto.

Fare ciò che era giusto era la cosa più importante nella vita. Richiedeva sacrificio. In questo momento, la cosa giusta da fare era fuggire. Galad non poteva affrontare Asunawa; l’Alto Inquisitore era spalleggiato dai Seanchan. E poi l’Ultima Battaglia era più importante.

Galad camminò rapido, procedendo attraverso il fango fino ai ranghi anteriori della colonna di Figli. Viaggiavano leggeri, con pochi animali da soma, e i suoi uomini indossavano l’armatura, avendo caricato le proprie cavalcature di cibo e provviste.

Davanti, Galad trovò Trom che parlava con alcuni uomini con indosso cuoio e mantelli bruni, non tabarri bianchi e copri capi d’acciaio. I loro esploratori. Trom gli rivolse un rispettoso cenno del capo. «Gli esploratori dicono che c’è un piccolo problema più avanti, mio lord Capitano Comandante» disse Trom.

«Che problema?»

«Sarebbe meglio mostrartelo direttamente, signore» disse il Figlio Barlett, il capo degli esploratori.

Galad gli fece cenno di procedere. Più avanti, la foresta paludosa pareva diradarsi. Grazie alla Luce... voleva forse dire che erano quasi fuori?

No. Quando Galad arrivò, trovò diversi altri esploratori appostati davanti a una foresta morta. Parecchi alberi nella palude avevano foglie, anche se malaticce, ma quelli più avanti erano scheletrici e cinerei, come se fossero stati bruciati. C’era qualche sorta di nauseabondo lichene o muschio bianco che cresceva su ogni cosa. I tronchi degli alberi parevano scarni.

L’acqua allagava questa zona, un fiume ampio ma poco profondo con una corrente lentissima. Aveva inghiottito la base di molti alberi, e i rami caduti spezzavano la sporca acqua marrone come braccia protese verso il cielo.

«Ci sono cadaveri, mio lord Capitano Comandante» disse uno degli esploratori, facendo un gesto a monte del fiume. «Che galleggiano con la corrente. Sembrano i resti di una battaglia distante.»

«Questo fiume è sulle nostre mappe?» chiese Galad.

Uno a uno, gli esploratori scossero il capo.

Galad assunse un’aria decisa. «Può essere guadato?»

«È poco profondo, mio lord Capitano Comandante» disse il Figlio Barlett. «Ma dovremo stare attenti a risucchi nascosti.»

Galad allungò una mano verso un albero accanto a lui e staccò un lungo ramo. «Andrò io per primo. Fate togliere agli uomini mantelli e armature.»

Gli ordini vennero trasmessi lungo la colonna e Galad rimosse la propria armatura e la avvolse nel mantello, poi legò l’involto alla schiena. Si rimboccò i pantaloni fin dove poteva, poi scese dalla sponda gentile e procedette avanti nell’acqua limacciosa. Quel deflusso primaverile col suo freddo pungente lo fece irrigidire. I suoi stivali affondarono per diversi pollici nel fondale sabbioso, riempiendosi d’acqua e sollevando mulinelli di fango. Robusto causò uno schizzo più fragoroso nell’entrare in acqua dietro di lui.

Il guado non era troppo difficile: l’acqua gli arrivava solo fino alle ginocchia. Usò il suo bastone per trovare l’appoggio migliore. Quegli alberi morenti e scheletrici erano inquietanti. Non sembrava che stessero marcendo e, ora che si trovava più vicino, poteva vedere meglio la lanugine grigio cenere tra i licheni che ammantavano i loro tronchi e rami.

I Figli alle sue spalle schizzarono fragorosamente man mano che entravano sempre più numerosi nell’ampio torrente. Lì vicino, delle forme bulbose galleggiavano giù per il fiume per impigliarsi sulle rocce. Alcune erano cadaveri di uomini, ma altre erano più grosse. Muli, si rese conto, dando un’occhiata più attenta a un muso. A dozzine. Erano morti da qualche tempo, a giudicare dal rigonfiamento.

Probabilmente un villaggio a monte era stato attaccato per il suo cibo. Questo non era il primo gruppo di morti che trovavano.

Galad raggiunse l’altra sponda del fiume, poi si arrampicò fuori. Mentre srotolava le gambe dei suoi pantaloni e indossava armatura e mantello, provò un dolore alla spalla per i colpi che Valda gli aveva inferto. Anche la coscia gli bruciava ancora.

Si voltò e continuò lungo la pista della selvaggina verso nord, facendo strada mentre altri Figli raggiungevano la riva. Non vedeva l’ora di cavalcare Robusto, ma non osava. Anche se erano fuori dal fiume, il terreno era ancora umido, sconnesso e punteggiato di inghiottitoi nascosti. Se avesse cavalcato, sarebbe potuto facilmente costare a Robusto una zampa rotta e lui stesso si sarebbe potuto spaccare la testa.

Così lui e i suoi uomini camminavano, circondati da quegli alberi grigi, sudando in quel caldo deprimente. Agognava un buon bagno.

Alla fine, Trom corse lungo la fila fino ad arrivare da lui. «Tutti gli uomini hanno attraversato sani e salvi.» Controllò il cielo. «Dannazione a quelle nuvole. Non riesco mai a capire che ora è.»