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Trovasi un'altra sorte di pietra durissima, molto più ruvida e picchiata di neri e bianchi e talvolta di rossi, dal tiglio e dalla grana di quella comunemente detta granito; della quale si truova nello Egitto saldezze grandissime, e da cavarne altezze incredibili, come oggi si veggono in Roma negli obelischi, aguglie, piramidi, colonne, et in que' grandissimi vasi de' bagni che abbiamo a San Pietro in Vincola e a San Salvadore del Lauro e a San Marco, et in colonne quasi infinite che per la durezza e saldezza loro non hanno temuto fuoco né ferro; et il tempo istesso, che tutte le cose caccia a terra, non solamente non le ha distrutte, ma neppur cangiato loro il colore. E per questa cagione gli Egizzii se ne servivano per i loro morti, scrivendo in queste aguglie coi caratteri loro strani la vita de' grandi, per mantener la memoria della nobiltà e virtù di quegli.

Venivane d'Egitto medesimamente d'una altra ragione bigio, il quale trae più in verdiccio i neri et i picchiati bianchi; molto duro certamente, ma non sì che i nostri scarpellini per la fabrica di San Pietro non abbiano, delle spoglie che hanno trovato messe in opera, fatto sì che con le tempere de' ferri, che ci sono al presente, hanno ridotto le colonne e l'altre cose a quella sottigliezza ch'hanno voluto, e datoli bellissimo pulimento come al porfido. Di questo granito bigio è dotata la Italia in molte parti, ma le maggiori saldezze che si trovino sono nell'isola dell'Elba, dove i Romani tennero di continuo uomini a cavare infinito numero di questa pietra. E di questa sorte ne sono parte le colonne del portico della Ritonda, le quali son molto belle e di grandezza straordinaria, e vedesi che nella cava quando si taglia, è più tenero assai che quando è stato cavato, e che vi si lavora con più facilità. Vero è che bisogna per la maggior parte lavorarlo con martelline che abbiano la punta, come quelle del porfido, e nelle gradine una dentatura tagliente dall'altro lato. D'un pezzo della qual sorte pietra che era staccato dal masso, n'ha cavato il duca Cosimo una tazza tonda di larghezza di braccia dodici per ogni verso, et una tavola della medesima lunghezza per lo palazzo e giardino de' Pitti.

Cavasi del medesimo Egitto e di alcuni luoghi di Grecia ancora certa sorte di pietra nera detta paragone, la quale ha questo nome, perché volendo saggiar l'oro s'arruota su quella pietra, e si conosce il colore; e per questo, paragonandovi su, vien detto paragone. Di questa è un'altra specie di grana e di un altro colore, perché non ha il nero morato affatto e non è gentile: che ne fecero gli antichi alcune di quelle sfingi et altri animali, come in Roma in diversi luoghi si vede, e di maggior saldezza una figura in Parione d'uno Ermafrodito accompagnata da un'altra statua di porfido, bellissima. La qual pietra è dura a intagliarsi, ma è bella straordinariamente e piglia un lustro mirabile. Di questa medesima sorte se ne trova ancora in Toscana ne' monti di Prato, vicino a Fiorenza a X miglia, e così ne' monti di Carrara, della quale alle sepolture moderne se ne veggono molte casse e dipositi per i morti: come nel Carmine di Fiorenza alla capella maggiore, dove è la sepoltura di Piero Soderini (se bene non vi è dentro) di questa pietra, et un padiglione similmente di paragon di Prato, tanto ben lavorato e così lustrante, che pare un raso di seta e non un sasso intagliato e lavorato. Così ancora nella incrostatura di fuori del tempio di S. Maria del Fiore di Fiorenza per tutto lo edificio è un'altra sorte di marmo nero e marmo rosso, che tutto si lavora in un medesimo modo.

Cavasi alcuna sorte di marmi in Grecia e in tutte le parti d'Oriente che son bianchi e gialleggiano e traspaiono molto, i quali erano adoperati dagli antichi per bagni e per stufe e per tutti que' luoghi dove il vento potesse offendere gli abitatori; e oggi se ne veggono ancora alcune finestre nella tribuna di San Miniato a Monte, luogo de' monaci di Monte Oliveto, in su le porte di Fiorenza, che rendono chiarezza e non vento. E con questa invenzione riparavano al freddo e facevano lume alle abitazioni loro. In queste cave medesime cavavano altri marmi senza vene ma del medesimo colore, del quale eglino facevano le più nobili statue. Questi marmi di tiglio e di grana erano finissimi, e se ne servivano ancora tutti quelli che intagliavano capitegli, ornamenti, et altre cose di marmo per l'architettura. E vi eran saldezze grandissime di pezzi, come appare ne' Giganti di Montecavallo di Roma, e nel Nilo di Belvedere, e in tutte le più degne e celebrate statue. E si conoscono esser greche, oltra il marmo, alla maniera delle teste et alla acconciatura del capo et ai nasi delle figure, i quali sono dall'appiccatura delle ciglia alquanto quadri fino alle nare del naso: e questo si lavora coi ferri ordinari e coi trapani, e si gli dà il lustro con la pomice e col gesso di Tripoli, col cuoio e struffoli di paglia.

Sono nelle montagne di Carrara, nella Carfagnana vicino ai monti di Luni, molte sorti di marmi, come marmi neri, et alcuni che traggono in bigio, et altri che sono mischiati di rosso, et alcuni altri che son con vene bigie, che sono crosta sopra a' marmi bianchi; perché non son purgati, anzi offesi dal tempo, dall'acqua e dalla terra, pigliano quel colore. Cavansi ancora altre specie di marmi, che son chiamati cipollini e saligni e campanini e mischiati, e per lo più una sorte di marmi bianchissimi e lattati, che sono gentili et in tutta perfezzione per far le figure. E vi s'è trovato da cavare saldezze grandissime, e se n'è cavato ancora a' giorni nostri pezzi di nove braccia per far giganti, e d'un medesimo sasso ancora se ne sono cavati a' tempi nostri due, l'uno fu il Davitte che fece Michelagnolo Buonarroto, il quale è alla porta del palazzo del Duca di Fiorenza, e l'altro, l'Ercole e Cacco, che di mano del Bandinello sono, all'altro lato della medesima porta. Un altro pezzo ne fu cavato, pochi anni sono, di braccia nove, perché il detto Baccio Bandinello ne facesse un Nettuno per la fonte che il Duca fa fare in piazza. Ma essendo morto il Bandinello, è stato dato poi all'Ammannato, scultore eccellente, perché ne faccia similmente un Nettuno. Ma di tutti questi marmi quelli della cava detta del Polvaccio, ch'è nel medesimo luogo, sono con manco macchie e smerigli, e senza que' nodi e noccioli che il più delle volte sogliono esser nella grandezza de' marmi, e recar non piccola difficultà a chi gli lavora, e bruttezza nell'opere, finite che sono le statue.

Si sono ancora, dalle cave di Serravezza in quel di Pietrasanta, avute colonne della medesima altezza, come si può vedere una, di molte che avevano a essere, nella facciata di San Lorenzo di Firenze, quale è oggi abbozzata fuor della porta di detta chiesa, dove l'altre sono parte alla cava rimase e parte alla marina.

Ma tornando alle cave di Pietrasanta, dico che in quelle s'essercitarono tutti gli antichi, et altri marmi che questi non adoperarono, per fare que' maestri che furon sì eccellenti le loro statue; essercitandosi di continuo, mentre si cavavono le lor pietre per far le loro statue, in fare ne' sassi medesimi delle cave, bozze di figure; come ancora oggi se ne veggono le vestigia di molte in quel luogo. Di questa sorte, adunque, cavano oggi i moderni le loro statue, e non solo per il servizio della Italia, ma se ne manda in Francia, in Inghilterra, in Ispagna, e in Portogallo. Come appare oggi per la sepoltura fatta in Napoli da Giovan da Nola, scultore eccellente, a don Pietro di Toledo viceré di quel regno; che tutti i marmi gli furon donati e condotti in Napoli dal signor duca Cosimo de' Medici. Questa sorte di marmi ha in sé saldezze maggiori e più pastose e morbide a lavorarla, e se le dà bellissimo pulimento più ch'ad altra sorte di marmo. Vero è che si viene talvolta a scontrarsi in alcune vene domandate dagli scultori smerigli, i quali sogliono rompere i ferri. Questi marmi si abbozzano con una sorte di ferri chiamati subbie, che hanno la punta a guisa di pali a facce, e più grossi e sottili, e di poi seguitano con scarpelli detti calcagnuoli, i quali nel mezzo del taglio hanno una tacca, e così con più sottili di mano in mano che abbiano più tacche, e gl'intaccano, quando sono arruotati, con un altro scarpello. E questa sorte di ferri chiamano gradine, perché con esse vanno gradinando e riducendo a fine le lor figure; dove poi con lime di ferro diritte e torte vanno levando le gradine che son restate nel marmo; e così poi con la pomice arrotando a poco a poco gli fanno la pelle che vogliono. E tutti gli strafori che fanno, per non intronare il marmo, gli fanno con trapani di minore e di maggior grandezza, e di peso di dodici libre l'uno, e qualche volta venti; che di questi ne hanno di più sorte, per far maggiori e minori buche; e gli servon questi per finire ogni sorte di lavoro e condurlo a perfezzione. De' marmi bianchi venati di bigio gli scultori e gli architetti ne fanno ornamenti per porte e colonne per diverse case. Servonsene per pavimenti e per incrostatura nelle lor fabriche, e gli adoperano a diverse sorti di cose; similmente fanno di tutti i marmi mischiati.