Выбрать главу

Cap. XIX. Del dipingere in muro: come si fa e perché si chiama lavorare in fresco.

Di tutti gl'altri modi che i pittori faccino, il dipignere in muro è più maestrevole e bello, perché consiste nel fare in un giorno solo quello che nelli altri modi si può in molti ritoccare sopra il lavorato. Era dagli antichi molto usato il fresco, et i vecchi moderni ancora l'hanno poi seguitato. Questo si lavora su la calce che sia fresca, né si lascia mai sino a che sia finito quanto per quel giorno si vuole lavorare. Perché allungando punto il dipignerla, fa la calce una certa crosterella pel caldo, pel freddo, pel vento e pe' ghiacci, che muffa e macchia tutto il lavoro. E per questo vuole essere continovamente bagnato il muro che si dipigne, et i colori che vi si adoperano, tutti di terre e non di miniere, et il bianco di trevertino, cotto. Vuole ancora una mano destra resoluta e veloce, ma sopra tutto un giudizio saldo et intero; perché i colori, mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi secco non è più quella. E però bisogna che in questi lavori a fresco giuochi molto più nel pittore il giudizio che il disegno, e che egli abbia per guida sua una pratica più che grandissima, essendo sommamente difficile il condurlo a perfezione. Molti de' nostri artefici vagliono assai negl'altri lavori, cioè a olio o a tempera, et in questo poi non riescono, per essere egli veramente il più virile, più sicuro, più resoluto e durabile di tutti gli altri modi, e quello che, nello stare fatto, di continuo acquista di bellezza e di unione più degl'altri infinitamente. Questo all'aria si purga, e dall'acqua si difende, e regge di continuo a ogni percossa. Ma bisogna guardarsi di non avere a ritoccarlo co' colori che abbino colla di carnicci, o rosso d'uovo o gomma o draganti, come fanno molti pittori; perché, oltra che il muro non fa il suo corso di mostrare la chiarezza, vengono i colori apannati da quello ritoccar di sopra, e con poco spazio di tempo diventano neri. Però quegli che cercano lavorar in muro, lavorino virilmente a fresco, e non ritocchino a secco; perché, oltre l'esser cosa vilissima, rende più corta vita alle pitture, come in altro luogo s'è detto.

Cap. XX. Del dipignere a tempera o vero a uovo su le tavole o tele; e come si può usare sul muro che sia secco.

Da Cimabue in dietro, e da lui in qua s'è sempre veduto opre lavorate da' Greci a tempera in tavola et in qualche muro. Et usavano, nello ingessare delle tavole questi maestri vecchi, dubitando che quelle non si aprissero in su le commettiture, mettere per tutto con la colla di carnicci tela lina, e poi sopra quella ingessavano per lavorarvi sopra, e temperavano i colori da condurle col rosso dell'uovo o tempera, la qual'è questa: toglievano un uovo e quello dibattevano, e dentro vi tritavano un ramo tenero di fico, acciò che quel latte con quell'uovo facesse la tempera de' colori, i quali con essa temperando, lavoravano l'opere loro. E toglievano per quelle tavole i colori ch'erano di miniere, i quali son fatti parte dagli alchimisti, e parte trovati nelle cave. Et a questa specie di lavoro ogni colore è buono, salvo ch'il bianco che si lavora in muro fatto di calcina, perch'è troppo forte; così venivano loro condotte con questa maniera le opere e le pitture loro, e questo chiamavono colorire a tempera. Solo gli azzurri temperavono con colla di carnicci; perché la giallezza dell'uovo gli faceva diventar verdi, ove la colla li mantiene nell'essere loro, e 'l simile fa la gomma. Tiensi la medesima maniera su le tavole o ingessate o senza, e così su' muri che siano secchi si dà una o due mani di colla calda, e dipoi con colori temperati con quella si conduce tutta l'opera; e chi volesse temperare ancora i colori a colla, agevolmente gli verrà fatto, osservando il medesimo che nella tempera si è raccontato. Né saranno peggiori per questo; poiché anco de' vecchi maestri nostri si sono vedute le cose a tempera conservate centinaia d'anni con bellezza e freschezza grande. E certamente e' si vede ancora delle cose di Giotto, che ce n'è pure alcuna in tavola, durata già dugento anni e mantenutasi molto bene. È poi venuto il lavorar a olio, che ha fatto per molti mettere in bando il modo della tempera, sì come oggi veggiamo che nelle tavole e nelle altre cose d'importanza si è lavorato e si lavora ancora del continovo.

Cap. XXI. Del dipingere a olio in tavola e su tele.

Fu una bellissima invenzione et una gran commodità all'arte della pittura il trovare il colorito a olio, di che fu primo inventore in Fiandra Giovanni da Bruggia, il quale mandò la tavola a Napoli al re Alfonso et al duca d'Urbino Federico II la stufa sua; e fece un S. Gironimo che Lorenzo de' Medici aveva, e molte altre cose lodate. Lo seguitò poi Rugieri da Bruggia suo discipolo, et Ausse creato di Rugieri, che fece a' Portinari in S. Maria Nuova di Firenze un quadro picciolo, il qual è oggi apresso al duca Cosimo, et è di sua mano la tavola di Careggi, villa fuori di Firenze della illustrissima casa de' Medici. Furono similmente de' primi Lodovico da Luano e Pietro Crista, e maestro Martino e Giusto da Guanto, che fece la tavola della comunione del duca d'Urbino et altre pitture, et Ugo d'Anversa, che fe' la tavola di S. Maria Nuova di Fiorenza. Questa arte condusse poi in Italia Antonello da Messina che molti anni consumò in Fiandra, e nel tornarsi di qua da' monti, fermatosi ad abitare in Venezia, la insegnò ad alcuni amici. Uno de' quali fu Domenico Veniziano che la condusse poi in Firenze, quando dipinse a olio la capella de' Portinari in S. Maria Nuova, dove la imparò Andrea dal Castagno, che la insegnò agli altri maestri, con i quali si andò ampliando l'arte et acquistando sino a Pietro Perugino, a Lionardo da Vinci et a Rafaello da Urbino, talmente che ella s'è ridotta a quella bellezza che gli artefici nostri mercé loro l'hanno acquistata.

Questa maniera di colorire accende più i colori, né altro bisogna che diligenza et amore, perché l'olio in sé si reca il colorito più morbido, più dolce e dilicato e di unione e sfumata maniera più facile che li altri; e mentre che fresco si lavora, i colori si mescolano e si uniscono l'uno con l'altro più facilmente; et insomma gli artefici danno in questo modo bellissima grazia e vivacità e gagliardezza alle figure loro, talmente che spesso ci fanno parere di rilievo le loro figure e che ell'eschino della tavola, e massimamente quando elle sono continovate di buono disegno con invenzione e bella maniera.

Ma per mettere in opera questo lavoro si fa così: quando vogliono cominciare, cioè ingessato che hanno le tavole o' quadri, gli radono, e datovi di dolcissima colla quattro o cinque mani con una spugna, vanno poi macinando i colori con olio di noce o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla meno) e così macinati con questi olii, che è la tempera loro, non bisogna altro, quanto a essi, che distenderli col pennello. Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallo-lino, terra da campane, mescolati tutti in un corpo e d'un color solo, e quando la colla è secca, impiastrarla su per la tavola e poi batterla con la palma della mano, tanto ch'ella venga egualmente unita e distesa per tutto, il che molti chiamano l'imprimatura. Dopo, distesa detta mestica o colore per tutta la tavola, si metta sopra essa il cartone che averai fatto con le figure e invenzioni a tuo modo; e sotto questo cartone se ne metta un altro tinto da un lato di nero, cioè da quella parte che va sopra la mestica; apuntati poi con chiodi piccoli l'uno e l'altro, piglia una punta di ferro o vero d'avorio o legno duro, e va' sopra i profili del cartone segnando sicuramente, perché così facendo non si guasta il cartone, e nella tavola o quadro vengono benissimo proffilate tutte le figure e quello che è nel cartone sopra la tavola. E chi non volesse far cartone, disegni con gesso da sarti bianco sopra la mestica, o vero con carbone di salcio, perché l'uno e l'altro facilmente si cancella. E così si vede che seccata questa mestica, lo artefice, o calcando il cartone o con gesso bianco da sarti disegnando, l'abozza; il che alcuni chiamano imporre. E finita di coprire tutta, ritorna con somma politezza lo artefice da capo a finirla; e qui usa l'arte e la diligenza per condurla a perfezione; e così fanno i maestri in tavola a olio le loro pitture.