Quelle poi che si fanno per archi, comedie, o feste, si lavorano poi che la tela sia data di terretta, cioè di quella prima terra schietta da far vasi temperata con colla; e bisogna che essa tela sia bagnata di dietro mentre l'artefice la dipigne, acciò che con quel campo di terretta unisca meglio li scuri et i chiari della opera sua; e si costuma temperare i neri di quelle con un poco di tempera; e si adoperano biacche per bianco, e minio per dar rilievo alle cose che paiono di bronzo, e giallolino per lumeggiare sopra detto minio; e per i campi e per gli scuri le medesime terre gialle e rosse, et i medesimi neri che io dissi nel lavorare a fresco, i quali fanno mezzi et ombre. Ombrasi ancora con altri diversi colori altre sorte di chiari e scuri; come con terra d'ombra, alla quale si fa la terretta di verde terra e gialla e bianco; similmente con terra nera, che è un'altra sorte di verde terra e nera, che la chiamano verdaccio.
Cap. XXVI. Degli sgraffiti delle case che reggono a l'acqua, quello che si adoperi a fargli, e come si lavorino le grottesche nelle mura.
Hanno i pittori un'altra sorte di pittura che è disegno e pittura insieme, e questo si domanda sgraffito, e non serve ad altro che per ornamenti di facciate, di case e palazzi, che più brevemente si conducono con questa spezie, e reggono all'acque sicuramente; perché tutt'i lineamenti invece di essere disegnati con carbone o con altra materia simile, sono tratteggiati con un ferro dalla mano del pittore; il che si fa in questa maniera: pigliano la calcina mescolata con la rena, ordinariamente, e con paglia abbruciata la tingono d'uno scuro che venga in un mezzo colore che trae in argentino, e verso lo scuro un poco più che tinta di mezzo, e con questa intonacano la facciata. E fatto ciò e pulita, col bianco della calce di trevertino, l'imbiancano tutta, et imbiancata ci spolverano su i cartoni, o vero disegnano quel che ci vogliono fare; e di poi aggravando col ferro, vanno dintornando e tratteggiando la calce; la quale essendo sotto di corpo nero, mostra tutti i graffi del ferro come segni di disegno. E si suole ne' campi di quegli radere il bianco, e poi avere una tinta d'acquerello scuretto molto acquidoso, e di quello dare per gli scuri, come si desse a una carta; il che di lontano fa un bellissimo vedere: ma il campo, se ci è grottesche o fogliami, si sbattimenta, cioè ombreggia con quello acquerello. E questo è il lavoro, che per esser dal ferro graffiato, hanno chiamato i pittori sgraffito.
Restaci or a ragionare delle grottesche che si fanno sul muro, dunque, quelle che vanno in campo bianco. Non ci essendo il campo di stucco per non essere bianca la calce, si dà per tutto sottilmente il campo di bianco, e fatto ciò, si spolverano e si lavorano in fresco di colori sodi, perché non arebbono mai la grazia ch'hanno quelle che si lavorano su lo stucco. Di questa spezie possono essere grottesche grosse e sottili, le quali vengono fatte nel medesimo modo che si lavorano le figure a fresco o in muro.
Cap. XXVII. Come si lavorino le grottesche su lo stucco.
Le grottesche sono una spezie di pitture licenziose e ridicole molto, fatte dagl'antichi per ornamenti di vani, dove in alcuni luoghi non stava bene altro che cose in aria; per il che facevano in quelle tutte sconciature di mostri, per strattezza della natura e per gricciolo e ghiribizzo degli artefici; i quali fanno in quelle, cose senza alcuna regola, apiccando a un sottilissimo filo un peso che non si può reggere, a un cavallo le gambe di foglie, e a un uomo le gambe di gru, e infiniti sciarpelloni e passerotti; e chi più stranamente se gli immaginava, quello era tenuto più valente. Furono poi regolate, e per fregi e spartimenti fatto bellissimi andari; così di stucchi mescolarono quelle con la pittura. E sì innanzi andò questa pratica, che in Roma e in ogni luogo dove i Romani risedevano, ve n'è ancora conservato qualche vestigio. E nel vero tocche d'oro et intagliate di stucchi, elle sono opera allegra e dilettevole a vedere.
Queste si lavorano di quattro maniere: l'una lavora lo stucco schietto; l'altra fa gli ornamenti soli di stucco, e dipigne le storie ne' vani e le grottesche ne' fregi; la terza fa le figure parte lavorate di stucco e parte dipinte di bianco e nero, contrafacendo cammei e altre pietre. E di questa spezie grottesche e stucchi se n'è visto e vede tante opere lavorate da' moderni, i quali con somma grazia e bellezza hanno adornato le fabbriche più notabili di tutta l'Italia, che gli antichi rimangono vinti di grande spacio. L'ultima, finalmente, lavora d'acquerello in su lo stucco, campando il lume con esso, et ombrandolo con diversi colori.
Di tutte queste sorti che si difendono assai dal tempo, se ne veggono delle antiche in infiniti luoghi a Roma et a Pozzuolo vicino a Napoli. E questa ultima sorte si può anco benissimo lavorare con colori sodi a fresco, lasciando lo stucco bianco per campo a tutte queste, che nel vero hanno in sé bella grazia; e fra esse si mescolano paesi che molto dànno loro de l'allegro, e così ancora storiette di figure piccole colorite. E di questa sorte oggi in Italia ne sono molti maestri che ne fanno professione, et in esse sono eccellenti.
Cap. XXVIII. Del modo del mettere d'oro a bolo et a mordente, et altri modi.
Fu veramente bellissimo segreto et investigazione sofistica il trovar modo che l'oro si battesse in fogli sì sottilmente che per ogni migliaio di pezzi battuti, grandi un ottavo di braccio per ogni verso, bastasse fra l'artificio e l'oro il valore solo di sei scudi. Ma non fu punto meno ingegnosa cosa il trovar modo a poterlo talmente distendere sopra il gesso, che il legno, od altro ascostovi sotto, paresse tutto una massa d'oro; il che si fa in questa maniera: ingessasi il legno con gesso sottilissimo, impastato con la colla più tosto dolce che cruda, e vi si dà sopra grosso più mani, secondo che il legno è lavorato bene o male; inoltre raso il gesso e pulito, con la chiara dell'uovo schietta, sbattuta sottilmente con l'acqua, dentrovi si tempera il bolo armeno macinato ad acqua sottilissimamente, e si fa il primo acquidoso, o vogliamo dirlo liquido e chiaro, e l'altro appresso più corpulento. Poi si dà con esso almanco tre volte sopra il lavoro, fino a che e' lo pigli per tutto bene; e bagnando di mano in mano con un pennello con acqua pura dove è dato il bolo, vi si mette su l'oro in foglia il quale subito si appicca a quel molle; e quando egli è soppasso, non secco, si brunisce con una zanna di cane o di lupo, sinché e' diventi lustrante e bello. Dorasi ancora in un'altra maniera che si chiama a mordente, il che si adopera ad ogni sorte di cose, pietre, legni, tele, metalli d'ogni spezie, drappi e corami, e non si brunisce come quel primo. Questo mordente che è la maestra che lo tiene, si fa di colori seccaticci a olio di varie sorti, e di olio cotto con la vernice dentrovi, e dassi in sul legno che ha avuto prima due mani di colla. E poi che il mordente è dato così, non mentre che egli è fresco ma mezzo secco, vi si mette su l'oro in foglie. Il medesimo si può fare ancora con l'orminiaco quando s'ha fretta, atteso che, mentre si dà, è buono; e questo serve più a fare selle, arabeschi et altri ornamenti, che ad altro. Si macina ancora di questi fogli in una tazza di vetro con un poco di mèle e di gomma, che serve ai miniatori, et a infiniti che col pennello si dilettano fare proffili e sottilissimi lumi nelle pitture. E tutti questi sono bellissimi segreti, ma per la copia di essi non se ne tiene molto conto.