Cap. XXIX. Del musaico de' vetri, et a quello che si conosce il buono e lodato.
Essendosi assai largamente detto di sopra nel VI capitolo che cosa sia il musaico, e come e' si faccia, continuandone qui quel tanto che è proprio della pittura, diciamo che egli è maestria veramente grandissima condurre i suoi pezzi cotanto uniti, che egli apparisca di lontano per onorata pittura e bella; atteso che in questa spezie di lavoro bisogna e pratica e giudizio grande con una profondissima intelligenza nell'arte del disegno, perché chi offusca ne' disegni il musaico con la copia et abbondanza delle troppe figure nelle istorie e con le molte minuterie de' pezzi, le confonde. E però bisogna che il disegno de' cartoni che per esso si fanno sia aperto, largo, facile, chiaro e di bontà e bella maniera continuato. E chi intende nel disegno la forza degli sbattimenti e del dare pochi lumi et assai scuri, con fare in quelli certe piazze o campi, costui sopra d'ogni altro lo farà bello e bene ordinato.
Vuole avere il musaico lodato chiarezza in sé con certa unita scurità verso l'ombre, e vuole essere fatto con grandissima discrezione lontano dall'occhio, acciò che lo stimi pittura e non tarsia commessa. Laonde, i musaici che aranno queste parti saranno buoni e lodati da ciascheduno; e certo è che il musaico è la più durabile pittura che sia. Imperò che l'altra col tempo si spegne, e questa nello stare fatta di continuo s'accende; et inoltre la pittura manca e si consuma per se medesima, ove il musaico per la sua lunghissima vita si può quasi chiamare eterno. Per lo che scorgiamo noi in esso non solo la perfezione de' maestri vecchi, ma quella ancora degli antichi, mediante quelle opere che oggi si riconoscono dell'età loro; come nel tempio di Bacco a S. Agnesa fuor di Roma, dove è benissimo condotto tutto quello che vi è lavorato; similmente a Ravenna n'è del vecchio bellissimo in più luoghi, et a Vinezia in S. Marco, a Pisa nel Duomo, et a Fiorenza in S. Giovanni, la tribuna: ma il più bello di tutti è quello di Giotto nella nave del portico di S. Piero di Roma, perché veramente in quel genere è cosa miracolosa; e ne' moderni quello di Domenico del Ghirlandaio sopra la porta di fuori di Santa Maria del Fiore che va alla Nunziata.
Preparansi adunque i pezzi da farlo in questa maniera: quando le fornaci de' vetri sono disposte e le padelle piene di vetro, se li vanno dando i colori, a ciascuna padella il suo; avvertendo sempre che da un chiaro bianco che ha corpo e non è trasparente si conduchino i più scuri di mano in mano, in quella stessa guisa che si fanno le mestiche de' colori per dipignere ordinariamente. Appresso, quando il vetro è cotto e bene stagionato, e le mestiche sono condotte e chiare e scure e d'ogni ragione, con certe cucchiaie lunghe di ferro si cava il vetro caldo e si mette in su uno marmo piano, e sopra con un altro pezzo di marmo si schiaccia pari, e se ne fanno rotelle che venghino ugualmente piane, e restino di grossezza la terza parte dell'altezza d'un dito. Se ne fa poi con una bocca di cane di ferro pezzetti quadri tagliati, et altri col ferro caldo lo spezzano, inclinandolo a loro modo. I medesimi pezzi diventano lunghi e con uno smeriglio si tagliano: il simile si fa di tutti i vetri che hanno di bisogno, e se n'empiono le scatole, e si tengono ordinati come si fa i colori quando si vuole lavorare a fresco, che in vari scodellini si tiene separatamente la mestica delle tinte più chiare e più scure per lavorare.
Ècci un'altra spezie di vetro che si adopra per lo campo e per i lumi de' panni che si mette d'oro. Questo quando lo vogliano dorare, pigliano quelle piastre di vetro che hanno fatto, e con acqua di gomma bagnano tutta la piastra del vetro, e poi vi mettono sopra i pezzi d'oro; fatto ciò, mettono la piastra su una pala di ferro, e quella nella bocca della fornace, coperta prima con un vetro sottile tutta la piastra di vetro che hanno messa d'oro, e fanno questi coperchi o di bocce o a modo di fiaschi spezzati, di maniera che un pezzo cuopra tutta la piastra; e lo tengono tanto nel fuoco, che vien quasi rosso, ed in un tratto cavandolo, l'oro viene con una presa mirabile a imprimersi nel vetro e fermarsi, e regge all'acqua et a ogni tempesta: poi questo si taglia et ordina come l'altro di sopra. E per fermarlo nel muro usano di fare il cartone colorito et alcuni altri senza colore; il quale cartone calcano o segnano a pezzo a pezzo in su lo stucco, e di poi vanno commettendo appoco appoco quanto vogliono fare nel musaico. Questo stucco per esser posto grosso in su l'opera, gli aspetta duoi dì e quattro, secondo la qualità del tempo, e fassi di trevertino, di calce, mattone pesto, draganti e chiara d'uovo; e fattolo, tengono molle con pezze bagnate. Così dunque pezzo per pezzo tagliano i cartoni nel muro, e lo disegnano su lo stucco calcando; finché poi con certe mollette si pigliano i pezzetti degli smalti, e si commettono nello stucco, e si lumeggiano i lumi, e dassi mezzi a' mezzi, e scuri agli scuri, contrafacendo l'ombre, i lumi et i mezzi minutamente come nel cartone; e così lavorando con diligenza si conduce a poco a poco a perfezione. E chi più lo conduce unito, sì che e' torni pulito e piano, colui è più degno di loda e tenuto da più degli altri. Imperò sono alcuni tanto diligenti al musaico che lo conducono di maniera che egli apparisce pittura a fresco. Questo, fatta la presa, indura talmente il vetro nello stucco, che dura in infinito come ne fanno fede i musaici antichi che sono in Roma e quelli che sono vecchi; et anco nell'una e nell'altra parte i moderni ai dì nostri n'hanno fatto del maraviglioso.
Cap. XXX. Dell'istorie e delle figure che si fanno di commesso ne' pavimenti, ad imitazione delle cose di chiaro e scuro.
Hanno aggiunto i nostri moderni maestri al musaico di pezzi piccoli un'altra specie di musaici di marmi commessi, che contrafanno le storie dipinte di chiaroscuro; e questo ha causato il desiderio ardentissimo di volere che e' resti nel mondo a chi verrà dopo, se pure si spegnessero l'altre spezie della pittura, un lume che tenga accesa la memoria de' pittori moderni; e così hanno contrafatto con mirabile magisterio storie grandissime, che non solo si potrebbono mettere ne' pavimenti dove si camina, ma incrostarne ancora le facce delle muraglie e d'i palazzi, con arte tanto bella e meravigliosa, che pericolo non sarebbe, ch'el tempo consumasse il disegno di coloro che sono rari in questa professione; come si può vedere nel Duomo di Siena cominciato prima da Duccio Sanese e poi da Domenico Beccafumi a' dì nostri seguitato et augumentato.
Questa arte ha tanto del buono e del nuovo e del durabile, che per pittura commessa di bianco e nero poco più si puote desiderare di bontà e di bellezza. Il componimento suo si fa di tre sorte marmi che vengono de' monti di Carrara; l'uno de' quali è bianco finissimo e candido, l'altro non è bianco, ma pende in livido, che fa mezzo a quel bianco; et il terzo è un marmo bigio di tinta che trae in argentino, che serve per iscuro. Di questi volendo fare una figura, se ne fa un cartone di chiaro e scuro con le medesime tinte; e ciò fatto, per i dintorni di que' mezzi e scuri e chiari, a' luoghi loro si commette nel mezzo con diligenza il lume di quel marmo candido, e così i mezzi, e gli scuri allato a quei mezzi, secondo i dintorni stessi che nel cartone ha fatto l'artefice. E quando ciò hanno commesso insieme, e spianato di sopra tutti i pezzi de' marmi così chiari, come scuri e come mezzi, piglia l'artefice che ha fatto il cartone un pennello di nero temperato, quando tutta l'opra è insieme commessa in terra, e tutta sul marmo la tratteggia e proffila dove sono gli scuri, a guisa che si contorna, tratteggia e proffila con la penna una carta che avesse disegnata di chiaroscuro. Fatto ciò lo scultore viene incavando coi ferri tutti quei tratti e proffili che il pittore ha fatti, e tutta l'opra incava dove ha disegnato di nero il pennello. Finito questo, si murano ne' piani a pezzi a pezzi; e finito, con una mistura di pegola nera bollita o asfalto e nero di terra, si riempiono tutti gli incavi che ha fatti lo scarpello; e poi che la materia è fredda et ha fatto presa, con pezzi di tufo vanno levando e consumando ciò che sopra avanza, e con rena, mattoni e acqua si va arrotando e spianando tanto, che il tutto resti ad un piano, cioè il marmo stesso et il ripieno: il che fatto, resta l'opera in una maniera ch'ella pare veramente pittura in piano, et ha in sé grandissima forza con arte e con maestria.