E se niente mancava a questo grave infortunio, sopravvenne l'ira di Totila contro a Roma, che oltre a sfasciarla di mura, e rovinar col ferro e col fuoco tutti i più mirabili e degni edifici di quella, universalmente la bruciò tutta e, spogliatola di tutti i viventi corpi, la lasciò in preda alle fiamme et al fuoco, e senza che in XVIII giorni continui si ritrovasse in quella vivente alcuno, abbatté e destrusse talmente le statue, le pitture, i musaici e gli stucchi maravigliosi, che se ne perdé, non dico la maiestà sola, ma la forma e l'essere stesso. Per il che, essendo le stanze terrene, prima, de' palazzi o altri edificii, di stucchi, di pitture e di statue lavorate, con le rovine di sopra affogorno tutto il buono che a' giorni nostri s'è ritrovato. E coloro che successer poi, giudicando il tutto rovinato, vi piantarono sopra le vigne; di maniera che per essere le dette stanze terrene rimaste sotto la terra, le hanno i moderni nominate grotte e grottesche le pitture che vi si veggono al presente.
Finiti gli Ostrogotti, che da Narse furono spenti, abitandosi per le rovine di Roma in qualche maniera pur malamente, venne dopo cento anni Costante II imperatore di Costantinopoli; e ricevuto amorevolmente dai Romani, guastò, spogliò e portossi via tutto ciò che nella misera città di Roma era rimaso, più per sorte che per libera volontà di coloro che l'avevono rovinata. Bene è vero che e' non potette godersi di questa preda, perché da la tempesta del mare trasportato nella Sicilia, giustamente occiso dai suoi, lasciò le spoglie, il regno e la vita tutto in preda della fortuna. La quale, non contenta ancora de' danni di Roma, perché le cose tolte non potessino tornarvi già mai, vi condusse un'armata di Saracini a' danni dell'isola; i quali e le robe de' Siciliani e le stesse spoglie di Roma se ne portorono in Alessandria, con grandissima vergogna e danno dell'Italia e del Cristianesimo: e così tutto quello che non avevano guasto i Pontefici, e S. Gregorio massimamente (il quale si dice che messe in bando tutto il restante delle statue e delle spoglie degli edifizii), per le mani di questo sceleratissimo greco finalmente capitò male. Di maniera che, non trovandosi più né vestigio né indizio di cosa alcuna che avesse del buono, gli uomini che vennono apresso, ritrovandosi rozzi e materiali, e particularmente nelle pitture e nelle sculture, incitati dalla natura e assottigliati dall'aria, si diedero a fare non secondo le regole dell'arti predette, ché non l'avevano, ma secondo la qualità degl'ingegni loro.
Essendo, dunque, a questo termine condotte l'arti del disegno, e inanzi e in quel tempo che signoreggiarono l'Italia i Longobardi, e poi, andarono dopo agevolmente, sebben alcune cose si facevano, in modo peggiorando che non si sarebbe potuto né più goffamente né con manco disegno lavorar di quello che si faceva; come ne dimostrano, oltr'a molte altre cose, alcune figure che sono nel portico di S. Piero in Roma sopra le porte, fatte alla maniera greca, per memoria d'alcuni Santi Padri, che per la S. Chiesa avevano in alcuni concilii disputato; ne fanno fede similmente molte cose dell'istessa maniera che nella città et in tutto l'Essarcato di Ravenna si veggiono; e particolarmente alcune che sono in S. Maria Ritonda fuor di quella città, fatte poco dopo che d'Italia furono cacciati i Longobardi: nella qual chiesa non tacerò che una cosa si vede notabilissima e maravigliosa, e questa è la volta o vero cupola che la cuopre; la quale, come che sia larga dieci braccia, e serva per tetto e coperta di quella fabrica, è nondimeno tutta d'un pezzo solo, e tanto grande e sconcio, che pare quasi impossibile che un sasso di quella sorte, di peso di più di dugentomila libre, fusse tanto in alto collocato. Ma, per tornare al proposito nostro, uscirono delle mani de' maestri di que' tempi quei fantocci e quelle goffezze che nelle cose vecchie ancora oggi appariscono.
Il medesimo avvenne dell'architettura; perché bisognando pur fabricare, et essendo smarrita in tutto la forma e il modo buono per gl'artefici morti e per l'opere distrutte e guaste, coloro che si diedero a tale esercizio non edificavano cosa che per ordine o per misura avesse grazia, né disegno, né ragion alcuna. Onde ne vennero a risorgere nuovi architetti, che delle loro barbare nazioni fecero il modo di quella maniera di edifizii, ch'oggi da noi son chiamati tedeschi; i quali facevano alcune cose più tosto a noi moderni ridicole, che a loro lodevoli; finché la miglior forma e alquanto alla buona antica simile trovarono poi i migliori artefici, come si veggono di quella maniera per tutta Italia le più vecchie chiese, e non antiche, che da essi furono edificate, come da Teodorico re d'Italia un palazzo in Ravenna, uno in Pavia, et un altro in Modena pur di maniera barbara, e più tosto ricchi e grandi, che bene intesi o di buona architettura. Il medesimo si può affermare di S. Stefano in Rimini, di S. Martino di Ravenna, e del tempio di S. Giovanni Evangelista edificato nella medesima città da Galla Placidia intorno agli anni di nostra salute CCCCXXXVIII, di S. Vitale che fu edificato l'anno DXLVII, e della Badia di Classi di fuori, et insomma di molti altri monasterii e tempî edificati dopo i Longobardi. I quali tutti edifizii, come si è detto, sono e grandi e magnifici, ma di goffissima architettura, e fra questi sono molte badie in Francia edificate a S. Benedetto, e la chiesa e monastero di Monte Casino, il tempio di S. Giovambatista a Monza, fatto da quella Teodelinda, reina de' Gotti, alla quale S. Gregorio papa scrisse i suoi Dialogi; nel qual luogo essa reina fece dipignere la storia d'i Longobardi, dove si vedeva che eglino dalla parte di dietro erano rasi, e dinanzi avevano le zazzere, e si tignevano fino al mento. Le vestimenta erano di tela larga, come usarono gli Angli et i Sassoni, e sotto un manto di diversi colori, e le scarpe fino alle dita de' piedi aperte, e sopra legate con certi correggiuoli.
Simili a' sopra detti tempii furono la chiesa di S. Giovanni in Pavia, edificata da Gundiperga figliuola della sopra detta Teodelinda, e nella medesima città la chiesa di S. Salvador fatta da Ariperto fratello della detta reina, il quale successe nel regno a Rodoaldo marito di Gundiperga; la chiesa di S. Ambruogio di Pavia, edificata da Grimoaldo re de' Longobardi, che cacciò dal regno Perterit figliuolo di Riperto; il quale Perterit ristituito nel regno dopo la morte di Grimoaldo edificò pur in Pavia un monasterio di donne, detto Monasterio Nuovo, in onore di Nostra Donna e di S. Agata; e la reina ne edificò uno fuora delle mura dedicato alla Vergine Maria in Pertica. Conperte, similmente figliuolo d'esso Perterit, edificò un monasterio e tempio a S. Giorgio detto di Coronate, nel luogo dove aveva avuto una gran vittoria contra a Alahi, di simile maniera. Né dissimile fu a questi il tempio che 'l re de' Longobardi Luiprando, il quale fu al tempo del re Pipino padre di Carlo Magno, edificò in Pavia, che si chiama S. Piero in Cieldauro; né quello similmente che Disiderio, il quale regnò dopo Astolfo, edificò di S. Piero Clivate nella diocesi milanese; né 'l monasterio di S. Vincenzo in Milano, né quello di S. Giulia in Brescia, perché tutti furono di grandissima spesa, ma di bruttissima e disordinata maniera. In Fiorenza poi, migliorando alquanto l'architettura, la chiesa di S. Apostolo, che fu edificata da Carlo Magno, fu ancor che piccola di bellissima maniera; perché, oltre che i fusi delle colonne, sebbene sono di pezzi, hanno molta grazia e sono condotti con bella misura, i capitelli ancora e gli archi girati per le volticciuole delle due piccole navate, mostrano che in Toscana era rimaso o vero risorto qualche buono artefice. Insomma l'architettura di questa chiesa è tale, che Pippo di ser Brunellesco non si sdegnò di servirsene per modello nel fare la chiesa di S. Spirito e quella di S. Lorenzo nella medesima città.
Il medesimo si può vedere nella chiesa di S. Marco di Vinezia; la quale (per non dir nulla di S. Giorgio Maggiore stato edificato da Giovanni Morosini l'anno [978]) fu cominciata sotto il doge Iustiniano e Giovanni Particiaco appresso S. Teodosio, quando d'Alessandria fu mandato a Vinezia il corpo di quell'Evangelista; perciò che dopo molti incendii che il palazzo del Doge e la chiesa molto dannificarono, ella fu sopra i medesimi fondamenti finalmente rifatta alla maniera greca et in quel modo che ella oggi si vede, con grandissima spesa e col parere di molti architetti, al tempo di Domenico Selvo, doge negli anni di Cristo DCCCCLXXIII; il quale fece condurre le colonne di que' luoghi donde le potette avere. E così si andò continuando insino all'anno MCXL. essendo doge messer Piero Polani, e, come si è detto, col disegno di più maestri tutti greci.