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VITA DI NICOLA E GIOVANNI PISANI SCULTORI ET ARCHITETTI

Avendo noi ragionato del disegno e della pittura nella vita di Cimabue, e dell'architettura in quella d'Arnolfo Lapi, si tratterà in questa di Nicola e Giovanni Pisani della scultura, e delle fabriche ancora, che essi fecero di grandissima importanza; perché certo non solo come grandi e magnifiche, ma ancora come assai bene intese meritano l'opere di scoltura et architettura di costoro d'esser celebrate, avendo essi in gran parte levata via nel lavorare i marmi e nel fabricar quella vecchia maniera greca goffa e sproporzionata, et avendo avuto ancora migliore invenzione nelle storie, e dato alle figure migliore attitudine.

Trovandosi dunque Nicola Pisano sotto alcuni scultori greci che lavorarono le figure e gl'altri ornamenti d'intaglio del Duomo di Pisa e del tempio di S. Giovanni, e essendo fra molte spoglie di marmi, stati condotti dall'armata de' Pisani, alcuni pili antichi che sono oggi nel Camposanto di quella città, uno ve n'avea fra gl'altri bellissimo, nel quale era sculpita la caccia di Meleacro e del porco Calidonio con bellissima maniera; perché così gl'ignudi come i vestiti erano lavorati con molta pratica e con perfettissimo disegno. Questo pilo, essendo per la sua bellezza stato posto dai Pisani nella facciata del Duomo, dirimpetto a S. Rocco allato alla porta del fianco principale, servì per lo corpo della madre della contessa Matelda, se però sono vere queste parole che intagliate nel marmo si leggono:

Anno Domini M.CXVI. IXa Kalendas Augusti obiit Domina Matthilda felicis memoriae comitissa, quae pro anima genitricis suae Dominae Beatricis comitissae venerabilis in hac tumba honorabili quiescentis in multis partibus [mirifice] hanc dotavit ecclesiam. Quarum animae requiescant in pace. E poi: Anno Domini MCCCIII. sub dignissimo Operario D. Burgundio Tadi occasione graduum fiendorum per ipsum circa ecclesiam supradictam tumba superius notata bis translata fuit, nunc de sedibus primis in ecclesiam, nunc de ecclesia in hunc locum, ut cernitis, [excellentem].

Nicola, considerando la bontà di quest'opera e piacendogli fortemente, mise tanto studio e diligenza per imitare quella maniera, et alcune altre buone sculture che erano in quegl'altri pili antichi, che fu giudicato, non passò molto, il miglior scultore de' tempi suoi, non essendo stato in Toscana in que' tempi dopo Arnolfo in pregio niuno altro scultore, che Fuccio architetto e scultore fiorentino, il quale fece S. Maria sopra Arno in Firenze l'anno 1229 mettendovi sopra una porta il nome suo; e nella chiesa di S. Francesco d'Ascesi di marmo la sepoltura della regina di Cipri con molte figure, et il ritratto di lei particolarmente a sedere sopra un leone, per dimostrare la fortezza dell'animo di lei, la quale dopo la morte sua lasciò gran numero di danari, perché si desse a quella fabrica fine.

Nicola, dunque, essendosi fatto conoscere per molto miglior maestro che Fuccio non era, fu chiamato a Bologna l'anno 1225, essendo morto S. Domenico Calagora primo istitutore dell'ordine de' frati Predicatori, per fare di marmo la sepoltura del detto Santo; onde convenuto con chi aveva di ciò la cura, le fece piena di figure in quel modo ch'ella ancor oggi si vede, e la diede finita l'anno 1231 con molta sua lode, essendo tenuta cosa singulare, e la migliore di quante opere infino allora fussero di scultura state lavorate. Fece similmente il modello di quella chiesa e d'una gran parte del convento.

Dopo, ritornato Nicola in Toscana, trovò che Fuccio s'era partito di Firenze, e andato in que' giorni, che da Onorio fu coronato Federigo imperadore, a Roma, e di Roma con Federigo a Napoli, dove finì il castello di Capoana, oggi detta la Vicherìa, dove sono tutti i tribunali di quel regno, e così Castel dell'Uovo, e dove fondò similmente le torri, fece le porte sopra il fiume del Volturno alla città di Capua, un barco cinto di mura per l'uccellagioni presso a Gravina, et a Melfi un altro per le cacce di verno, oltre a molte altre cose che per brevità non si raccontano.

Nicola, intanto, trattenendosi in Firenze, andava non solo esercitandosi nella scultura, ma nell'architettura ancora, mediante le fabriche che s'andavano con un poco di buon disegno facendo per tutta Italia, e particolarmente in Toscana. Onde si adoperò non poco nella fabrica della Badia di Settimo, non stata finita dagli esecutori del conte Ugo di Andeborgo, come l'altre sei, secondo che si disse di sopra. E sebbene si legge nel campanile di detta Badia in un epitaffio di marmo: Gugliel. me fecit, si conosce nondimeno alla maniera, che si governava col consiglio di Nicola; il quale in que' medesimi tempi fece in Pisa il Palazzo degli Anziani vecchio, oggi stato disfatto dal duca Cosimo per fare nel medesimo luogo, servendosi d'una parte del vecchio, il magnifico palazzo e convento della nuova religione de' Cavaglieri di S. Stefano, col disegno e modello di Giorgio Vasari aretino pittore et architettore, il quale si è accomodato come ha potuto il meglio, sopra quella muraglia vecchia, riducendola alla moderna.

Fece similmente Nicola in Pisa molti altri palazzi e chiese, e fu il primo, essendosi smarrito il buon modo di fabricar, che mise in uso fondar gli edifizii a Pisa in sui pilastri, e sopra quelli voltare archi, avendo prima palificato sotto i detti pilastri; perché facendosi altrimenti, rotto il primo piano sodo del fondamento, le muraglie calavano sempre; dove il palificare rende sicurissimo l'edifizio, sì come la sperienza ne dimostra. Col suo disegno fu fatta ancora la chiesa di S. Michele in borgo de' monaci di Camaldoli.

Ma la più bella, la più ingegnosa e più capricciosa architettura che facesse mai Nicola, fu il campanile di S. Nicola di Pisa, dove stanno frati di S. Agostino: perciò che egli è di fuori a otto facce e dentro tondo, con scale che girando a chiocciola vanno insino in cima, e lasciano dentro il vano del mezzo libero et a guisa di pozzo, e sopra ogni quattro scaglioni sono colonne che hanno gli archi zoppi, e che girano intorno intorno; onde posando la salita della volta sopra i detti archi, si va in modo salendo insino in cima, che chi è in terra vede sempre tutti quelli che sagliono, coloro che sagliono veggion coloro che sono in terra, e quei che sono a mezzo veggono gli uni e gli altri, cioè quei che sono di sopra e quei che sono a basso. La quale capricciosa invenzione fu poi con miglior modo e più giuste misure e con più ornamento messa in opera da Bramante architetto a Roma in Belvedere per papa Giulio Secondo, e da Antonio da S. Gallo nel pozzo che è a Orvieto d'ordine di papa Clemente Settimo, come si dirà quando fia tempo.

Ma tornando a Nicola, il quale fu non meno eccellente scultore che architettore, egli fece nella facciata della chiesa di S. Martino in Lucca, sotto il portico che è sopra la porta minore a man manca entrando in chiesa, dove si vede un Cristo deposto di croce, una storia di marmo di mezzo rilievo tutta piena di figure fatte con molta diligenza, avendo traforato il marmo e finito il tutto di maniera, che diede speranza a coloro che prima facevano l'arte con stento grandissimo, che tosto doveva venire chi le porgerebbe con più facilità migliore aiuto.

Il medesimo Nicola diede l'anno 1240 il disegno della chiesa di S. Jacopo di Pistoia, e vi mise a lavorare di musaico alcuni maestri toscani i quali feciono la volta della nicchia, la quale, ancor che in que' tempi fusse tenuta così dificile e di molta spesa, noi più tosto muove oggi a riso et a compassione che a maraviglia; e tanto più che cotale disordine, il quale procedeva dal poco disegno, era non solo in Toscana, ma per tutta Italia, dove molte fabriche et altre cose che si lavoravano senza modo e senza disegno, fanno conoscere non meno la povertà degli ingegni loro, che le smisurate ricchezze male spese dagli uomini di quei tempi, per non avere avuto maestri che con buona maniera conducessino loro alcuna cosa che facessero.

Nicola, dunque, per l'opere che faceva di scultura e d'architettura andava sempre acquistando miglior nome, che non faccevano gli scultori et architetti che allora lavoravano in Romagna; come si può vedere in S. Ipolito e S. Giovanni di Faenza, nel Duomo di Ravenna, in S. Francesco, e nelle case de' Traversari e nella chiesa di Porto, et in Arimini nell'abitazione del Palazzo Publico, nelle case de' Malatesti, et in altre fabriche, le quali sono molto peggiori che gl'edifizii vecchi fatti ne' medesimi tempi in Toscana. E quello che si è detto di Romagna, si può dire anco con verità d'una parte di Lombardia. Veggiasi il Duomo di Ferrara e l'altre fabriche fatte dal marchese Azzo, e si conoscerà così essere il vero, e quanto siano differenti dal Santo di Padova, fatto col modello di Nicola, e dalla chiesa de' frati minori in Venezia, fabriche amendue magnifiche et onorate.