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Avvenne che dipignendo Lionardo da Vinci pittore rarissimo nella sala grande del Consiglio, come nella vita sua è narrato, Piero Soderini, allora gonfaloniere, per la gran virtù che egli vidde in Michelagnolo, gli fece allogagione d'una parte di quella sala: onde fu cagione che egli facesse a concorrenza di Lionardo l'altra facciata, nella quale egli prese per subietto la guerra di Pisa. Per il che Michelagnolo ebbe una stanza nello spedale de' Tintori a Santo Onofrio, e quivi cominciò un grandissimo cartone, né però volse mai che altri lo vedesse. E lo empié di ignudi che bagnandosi per lo caldo nel fiume d'Arno, in quello stante si dava a l'arme nel campo fingendo che gli inimici li assalissero, e mentre che fuor delle acque uscivano per vestirsi i soldati, si vedeva dalle divine mani di Michelagnolo chi affrettare lo armarsi per dare aiuto a' compagni, altri affibbiarsi la corazza, e molti mettersi altre armi in dosso, et infiniti combattendo a cavallo cominciare la zuffa. Eravi fra l'altre figure un vecchio che aveva in testa per farsi ombra una grillanda di ellera, il quale postosi a sedere per mettersi le calze e non potevano entrargli per aver le gambe umide dell'acqua, e sentendo il tumulto de' soldati e le grida et i romori de' tamburini affrettando tirava per forza una calza; et oltra che tutti i muscoli e' nervi della figura si vedevano, faceva uno storcimento di bocca per il quale dimostrava assai quanto e' pativa e che egli si adoperava fin alle punte de' piedi. Eranvi tamburini ancora e figure che coi panni avvolti ignudi correvano verso la baruffa; e di stravaganti attitudini si scorgeva chi ritto, chi ginocchioni o piegato o sospeso a giacere, et in aria attaccati con iscorti difficili. V'erano ancora molte figure aggruppate et in varie maniere abbozzate, chi contornato di carbone, chi disegnato di tratti e chi sfumato e con biacca lumeggiati, volendo egli mostrare quanto sapesse in tale professione. Per il che gli artefici stupiti et ammirati restorono, vedendo l'estremità dell'arte in tal carta per Michelagnolo mostrata loro. Onde, veduto sì divine figure, dicono, alcuni che le viddero, di man sua e d'altri ancora non essere mai più veduto cosa che della divinità dell'arte nessuno altro ingegno possa arrivarla mai. E certamente è da credere, perciò che da poi che fu finito e portato alla sala del papa con gran romore dell'arte e grandissima gloria di Michelagnolo, tutti coloro che su quel cartone studiarono e tal cosa disegnarono, come poi si seguitò molti anni in Fiorenza per forestieri e per terrazzani, diventarono persone in tale arte eccellenti, come vedemo: poiché in tale cartone studiò Aristotile da S. Gallo amico suo, Ridolfo Ghirlandaio, Raffael Sanzio da Urbino, Francesco Granaccio, Baccio Bandinelli et Alonso Berugetta spagnuolo; seguitò Andrea del Sarto, il Francia Bigio, Iacopo Sansovino, il Rosso, Maturino, Lorenzetto, el Tribolo allora fanciullo, Iacopo da Puntormo e Pierin del Vaga, i quali tutti ottimi maestri fiorentini furono; per il che essendo questo cartone diventato uno studio d'artefici, fu condotto in casa Medici nella sala grande di sopra, e tal cosa fu cagione che egli troppo a securtà nelle mani degli artefici fu messo: per che nella infermità del duca Giuliano, mentre nessuno badava a tal cosa, fu come s'è detto altrove stracciato, et in molti pezzi diviso, tal che in molti luoghi se n'è sparto, come ne fanno fede alcuni pezzi che si veggono ancora in Mantova in casa di Messer Uberto Strozzi gentiluomo mantovano, i quali con riverenza grande son tenuti. E certo che a vedere e' son più tosto cosa divina che umana.

Era talmente la fama di Michelagnolo per la Pietà fatta, per il gigante di Fiorenza e per il cartone nota, che essendo venuto l'anno 1503 la morte di papa Alessandro VI e creato Giulio Secondo, che allora Michelagnolo era di anni ventinove incirca, fu chiamato con gran suo favore da Giulio II per fargli fare la sepoltura sua, e per suo viatico gli fu pagato scudi cento da' suoi oratori. Dove condottosi a Roma, passò molti mesi innanzi che gli facessi mettere mano a cosa alcuna. Finalmente si risolvette a un disegno che aveva fatto per tal sepoltura, ottimo testimonio della virtù di Michelagnolo, che di bellezza e di superbia e di grande ornamento e ricchezza di statue passava ogni antica et imperiale sepoltura. Onde cresciuto lo animo a papa Giulio, fu cagione che si risolvé a mettere mano a rifare di nuovo la chiesa di S. Piero di Roma per mettercela drento, come s'è detto altrove. Così Michelagnolo si misse al lavoro con grande animo: e per dargli principio, andò a Carrara a cavare tutti i marmi con dua suoi garzoni, et in Fiorenza da Alamanno Salviati ebbe a quel conto scudi mille, dove consumò in que' monti otto mesi senza altri danari o provisioni, dove ebbe molti capricci di fare in quelle cave, per lasciar memoria di sé, come già avevano fatto gli antichi, statue grandi, invitato da que' massi. Scelto poi la quantità de' marmi et fattoli caricare alla marina e di poi condotti a Roma, empierono la metà della piazza di S. Piero intorno a Santa Caterina e fra la chiesa e 'l corridore che va a Castello, nel qual luogo Michelagnolo aveva fatto la stanza da lavorar le figure et il resto della sepoltura; e perché comodamente potessi venire a vedere lavorare, il Papa aveva fatto fare un ponte levatoio dal corridore alla stanza, e per ciò molto famigliare se l'era fatto, che col tempo questi favori gli dettono gran noia e persecuzione, e gli generorono molta invidia fra gli artefici suoi. Di quest'opera condusse Michelagnolo, vivente Giulio e dopo la morte sua, quattro statue finite et otto abbozzate, come si dirà al suo luogo, e perché questa opera fu ordinata con grandissima invenzione qui di sotto narreremo l'ordine che egli pigliò. E perché ella dovessi mostrare maggior grandezza volse che ella fussi isolata da poterla vedere da tutt'a quattro le faccie, che in ciascuna era per un verso braccia dodici e per l'altre due braccia diciotto, tanto che la proporzione era un quadro e mezzo. Aveva un ordine di nicchie di fuori a torno a torno, le quali erano tramezzate da termini vestiti dal mezzo in su, che con la testa tenevano la prima cornice, e ciascuno termine con strana e bizzarra attitudine ha legato un prigione ignudo, il qual posava coi piedi in un risalto d'un basamento. Questi prigioni erano tutte le provincie soggiogate da questo Pontefice e fatte obediente alla Chiesa apostolica; et altre statue diverse pur legate erano tutte le virtù et arte ingegnose, che mostravano esser sottoposte alla morte non meno che si fussi quel Pontefice che sì onoratamente le adoperava. Su' canti della prima cornice andava quattro figure grandi: la Vita attiva e la contemplativa, e S. Paulo e Moisè. Ascendeva l'opera sopra la cornice in gradi diminuendo con un fregio di storie di bronzo e con altre figure e putti et ornamenti a torno, e sopra era per fine due figure, che una era il Cielo, che ridendo sosteneva in sulle spalle una bara insieme con Cibele dea della terra, [e] pareva che si dolessi che ella rimanessi al mondo priva d'ogni virtù per la morte di questo uomo, et il Cielo pareva che ridessi che l'anima sua era passata alla gloria celeste. Era accomodato che s'entrava et usciva per le teste della quadratura dell'opera nel mezzo delle nicchie, e drento era caminando a uso di tempio in forma ovale, nel quale aveva nel mezzo la cassa, dove aveva a porsi il corpo morto di quel Papa; e finalmente vi andava in tutta quest'opera quaranta statue di marmo senza l'altre storie, putti et ornamenti e tutte intagliate le cornici e gli altri membri dell'opera d'architettura. Et ordinò Michelagnolo per più facilità che una parte de' marmi gli fussin portati a Fiorenza, dove egli disegnava tal volta farvi la state per fuggire la mala aria di Roma, dove in più pezzi ne condusse di quest'opera una faccia di tutto punto, e di suo mano finì in Roma due prigioni a fatto cosa divina, et altre statue che non s'è mai visto meglio, che non si messono altrimenti in opera (ché furono da lui donati detti prigioni al signor Ruberto Strozzi per trovarsi Michelagnolo malato in casa sua, che furono mandati poi a donare al re Francesco, e' quali sono oggi a Cevan in Francia); et otto statue abozzò in Roma parimente, et a Fiorenza ne abozzò cinque, e finì una Vittoria con un prigion sotto, qual sono oggi appresso del duca Cosimo, stati donati da Lionardo suo nipote a sua eccellenza, che la Vittoria l'ha messa nella sala grande del suo palazzo, dipinta dal Vasari. Finì il Moisè di cinque braccia di marmo, alla quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza, e delle antiche ancora si può dire il medesimo, avvenga che egli con gravissima attitudine sedendo, posa un braccio in sulle tavole che egli tiene con una mano, e con l'altra si tiene la barba, la quale nel marmo svellata e lunga è condotta di sorte, che i capegli, dove ha tanta dificultà la scultura, son condotti sottilissimamente piumosi, morbidi e sfilati d'una maniera, che pare impossibile che il ferro sia diventato pennello; et inoltre alla bellezza della faccia, che ha certo aria di vero Santo e terribilissimo principe, pare che mentre lo guardi abbia voglia di chiedergli il velo per coprirgli la faccia, tanto splendida e tanto lucida appare altrui. Et ha sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel santissimo volto di quello, oltreché vi sono i panni straforati e finiti con bellissimo girar di lembi, e le braccia di muscoli, e le mane di ossature, e' nervi sono a tanta bellezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso, e le ginocchia, et i piedi sotto di sì fatti calzari accomodati, et è finito talmente ogni lavoro suo che Moisè può più oggi che mai chiamarsi amico di Dio, poiché tanto innanzi agli altri ha voluto mettere insieme e preparargli il corpo per la sua ressurrezione, per le mani di Michelagnolo; e seguitino gli ebrei di andare, come fanno ogni sabato, a schiera, e maschi e femine, come gli storni a visitarlo et adorarlo: che non cosa umana, ma divina adoreranno.