Fece dunque Michelagnolo fare, che non vi era prima, una scarpa di mattoni ben murati e scelti e ben cotti alla facciata di detta cappella, e volse che pendessi dalla somità di sopra un mezzo braccio, perché né polvere né altra bruttura potessi fermare sopra. Né verrò a particolari della invenzione o componimento di questa storia, perché se n'è ritratte e stampate tante e grandi e piccole, che e' non par necessario perdervi tempo a descriverla. Basta che si vede che l'intenzione di questo uomo singulare non ha voluto entrare in dipignere altro che la perfetta e proporzionatissima composizione del corpo umano et in diversissime attitudini; non sol questo, ma insieme gli affetti delle passioni e contentezze dell'animo, bastandogli satisfare in quella parte di che è stato superiore a tutti i suoi artefici, e mostra la via della gran maniera e degli ignudi e quanto e' sappi nelle dificultà del disegno, e finalmente ha aperto la via alla facilità di questa arte nel principale suo intento, che è il corpo umano, et attendendo a questo fin solo, ha lassato da parte le vaghezze de' colori, i capricci e le nuove fantasie di certe minuzie e delicatezze, che da molti altri pittori non sono interamente, e forse non senza qualche ragione, state neglette. Onde qualcuno non tanto fondato nel disegno ha cerco con la varietà di tinte et ombre di colori e con bizzarre varie e nuove invenzioni, et insomma con questa altra via farsi luogo fra i primi maestri. Ma Michelagnolo stando saldo sempre nella profondità dell'arte, ha mostro a quegli che sanno assai [come] dovevano arrivare al perfetto.
E per tornare alla storia, aveva già condotto Michelagnolo a fine più di tre quarti dell'opera, quando andando papa Paulo a vederla, perché Messer Biagio da Cesena maestro delle cerimonie e persona scrupolosa, che era in cappella col Papa, dimandato quel che gliene paressi, disse essere cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che sì disonestamente mostrano le lor vergogne, e che non era opera da cappella di papa, ma da stufe e d'osterie. Dispiacendo questo a Michelagnolo e volendosi vendicare, subito che fu partito lo ritrasse di naturale senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minòs con una gran serpe avvolta alle gambe fra un monte di diavoli. Né bastò il raccomandarsi di Messer Biagio al Papa et a Michelagnolo che lo levassi, che pure ve lo lassò per quella memoria, dove ancor si vede.
Avenne in questo tempo che egli cascò di non poco alto dal tavolato di questa opera e fattosi male a una gamba, per lo dolore e per la còllora da nessuno non volle essere medicato. Per il che trovandosi allora vivo maestro Baccio Rontini fiorentino, amico suo e medico capriccioso e di quella virtù molto affezionato, venendogli compassione di lui gli andò un giorno a picchiare a casa, e non gli essendo risposto da' vicini né da lui, per alcune vie segrete cercò tanto di salire, che a Michelagnolo di stanza in stanza pervenne, il quale era disperato. Laonde maestro Baccio fin che egli guarito non fu, non lo volle abandonare già mai, né spicarsegli d'intorno. Egli di questo male guarito e ritornato all'opera, et in quella di continuo lavorando, in pochi mesi a ultima fine la ridusse dando tanta forza alle pitture di tal opera, che ha verificato il detto di Dante "Morti li morti, i vivi parean vivi". E quivi si conosce la miseria dei dannati e l'allegrezza de' beati. Onde scoperto questo Giudizio, mostrò non solo essere vincitore de' primi artefici che lavorato vi avevano, ma ancora nella volta che egli tanto celebrata avea fatta, volse vincere se stesso, et in quella di gran lunga passatosi, superò se medesimo, avendosi egli imaginato il terrore di que' giorni, dove egli fa rappresentare, per più pena di chi non è ben vissuto, tutta la sua Passione; facendo portare in aria da diverse figure ignude la croce, la colonna, la lancia, la spugna, i chiodi e la corona con diverse e varie attitudini molto dificilmente condotte a fine nella facilità loro. Èvvi Cristo il quale sedendo con faccia orribile e fiera ai dannati si volge maladicendogli, non senza gran timore della Nostra Donna che ristrettasi nel manto ode e vede tanta rovina. Sonvi infinitissime figure che gli fanno cerchio di Profeti, di Apostoli e particularmente Adamo e Santo Pietro, i quali si stimano che vi sien messi l'uno per l'origine prima delle genti al giudizio, l'altro per essere stato il primo fondamento della cristiana religione. A' piedi gli è un San Bartolomeo bellissimo, il qual mostra la pelle scorticata. Èvvi similmente uno ignudo di San Lorenzo, oltra che senza numero sono infinitissimi Santi e Sante et altre figure maschi e femine intorno, appresso e discosto, i quali si abracciano e fannosi festa avendo per grazia di Dio e per guidardone delle opere loro la beatitudine eterna. Sono sotto i piedi di Cristo i sette Angeli scritti da San Giovanni Evangelista con le sette trombe, che sonando a sentenza, fanno arricciare i capelli a chi gli guarda per la terribilità che essi mostrano nel viso, e fra gl'altri vi son due Angeli che ciascuno ha il libro delle vite in mano; et appresso non senza bellissima considerazione si veggono i sette peccati mortali da una banda combattere in forma di diavoli e tirar giù allo inferno l'anime che volano al cielo, con attitudini bellissimi e scorti molto mirabili. Né ha restato nella ressurrezione de' morti mostrare al mondo come essi della medesima terra ripiglion l'ossa e la carne, e come da altri vivi aiutati vanno volando al cielo, che da alcune anime già beate è lor porto aiuto, non senza vedersi tutte quelle parti di considerazioni che a una tanta opera come quella si possa stimare che si convenga. Per che per lui si è fatto studii e fatiche d'ogni sorte, apparendo egualmente per tutta l'opera, come chiaramente e particularmente ancora nella barca di Caronte si dimostra, il quale con attitudine disperata l'anime tirate dai diavoli giù nella barca batte col remo, ad imitazione di quello che espresse il suo famigliarissimo Dante quando disse:
Caron demonio, con occhi di bragia,
loro accennando, tutte le raccoglie:
batte col remo qualunque si adagia.
Né si può imaginare quanto di varietà sia nelle teste di que' diavoli, mostri veramente d'inferno. Nei peccatori si conosce il peccato e la tema insieme del danno eterno. Et oltra a ogni bellezza straordinaria è il vedere tanta opera sì unitamente dipinta e condotta, che ella pare fatta in un giorno e con quella fine che mai minio nissuno si condusse talmente; e nel vero la moltitudine delle figure, la terribilità e grandezza dell'opera è tale, che non si può descrivere, essendo piena di tutti i possibili umani affetti et avendogli tutti maravigliosamente espressi: avvenga che i superbi, gli invidiosi, gli avari, i lussuriosi e gli altri così fatti si riconoschino agevolmente da ogni bello spirito, per avere osservato ogni decoro, sì d'aria, sì d'attitudini e sì d'ogni altra naturale circostanzia nel figurarli; cosa che, se bene è maravigliosa e grande, non è stata impossibile a questo uomo, per essere stato sempre accorto e savio et avere visto uomini assai et acquistato quella cognizione con la pratica del mondo, che fanno i filosofi con la speculazione e per gli scritti. Talché chi giudicioso e nella pittura intendente si trova, vede la terribilità dell'arte, et in quelle figure scorge i pensieri e gli affetti, i quali mai per altro che per lui non furono dipinti; così vede ancora quivi come si fa il variare delle tante attitudini negli strani e diversi gesti di giovani, vecchi, maschi, femine: nei quali a chi non si mostra il terrore dell'arte insieme con quella grazia che egli aveva dalla natura? Per che fa scuotere i cuori di tutti quegli che non son saputi, come di quegli che sanno in tal mestiero. Vi sono gli scorti che paiono di rilievo, e con la unione, la morbidezza e la finezza nelle parti delle dolcezze da lui dipinte mostrano veramente come hanno da essere le pitture fatte da' buoni e veri pittori; e vedesi nei contorni delle cose girate da lui, per una via che da altri che da lui non potrebbono essere fatte, il vero giudizio e la vera dannazione e ressurressione. E questo, nell'arte nostra, è quello essempio e quella gran pittura mandata da Dio agli uomini in terra, acciò che veggano come il fato fa quando gli intelletti dal supremo grado in terra descendono et hanno in essi infusa la grazia e la divinità del sapere. Questa opera mena prigioni legati quegli che di sapere l'arte si persuadono, e nel vedere i segni da lui tirati ne' contorni di che cosa essa si sia, trema e teme ogni terribile spirito sia quanto si voglia carico di disegno. E mentre che si guardano le fatiche dell'opera sua, i sensi si stordiscono solo a pensare che cosa possono essere le altre pitture fatte e che si faranno, poste a tal paragone. Età veramente felice chiamar si puote e felicità della memoria di chi ha visto veramente stupenda maraviglia del secol nostro! Beatissimo e fortunatissimo Paulo Terzo, poiché Dio consentì che sotto la protezione sua si ripari il vanto che daranno alla memoria sua e di te le penne degli scrittori! Quanto acquistano i meriti tuoi per le sue virtù? Certo fato bonissimo hanno a questo secolo nel suo nascere gli artefici, da che hanno veduto squarciato il velo delle dificultà di quello che si può fare et imaginare nelle pitture e sculture et architetture fatte da lui.