Ma tornando al ragionamento di sopra, finito che fu l'opera di Montorio e con molta mia satisfazione, io tornai a Fiorenza per servizio del duca Cosimo, che fu l'anno 1554. Dolse a Michelagnolo la partita del Vasari e parimente a Giorgio, avenga che ogni giorno que' suoi aversarii ora per una via or per un'altra lo travagliavano: per il che non mancarono giornalmente l'uno a l'altro scriversi, e l'anno medesimo d'aprile dandogli nuova il Vasari che Lionardo nipote di Michelagnolo aveva avuto un figliuolo mastio, e con onorato corteo di donne nobilissime l'avevano accompagnato al battesimo, rinovando il nome del Buonaruoto, Michelagnolo rispose in una lettera al Vasari queste parole:
Giorgio amico caro. Io ho preso grandissimo piacere della vostra, visto che pur vi ricordate del povero vecchio, e più per esservi trovato al trionfo, che mi scrivete d'aver visto rinascere un altro Buonaruoto, del quale aviso vi ringrazio quanto so e posso; ma ben mi dispiace tal pompa, perché l'uomo non dee ridere quando il mondo tutto piange. Però mi pare che Lionardo non abbia a fare tanta festa d'uno che nasce, con quella allegrezza che s'ha a serbare alla morte di chi è ben vissuto. Né vi maravigliate se non rispondo subito: lo fo per non parere mercante. Ora io vi dico che per le molte lode, che per detta mi date, se io ne meritassi sol una, mi parrebbe, quando io mi vi detti in anima et in corpo, avervi dato qualcosa, et aver sadisfatto a qualche minima parte di quel che io vi son debitore; dove vi ricognosco ogni ora creditore di molte più che io non ho da pagare. E perché son vecchio oramai non spero in questa, ma nell'altra vita potere pareggiare il conto: però vi prego di pazienzia, e son vostro, e le cose di qua stan pur così.
Aveva già nel tempo di Paulo Terzo mandato il duca Cosimo il Tribolo a Roma per vedere se egli avesse potuto persuadere Michelagnolo a ritornare a Fiorenza, per dar fine alla sagrestia di San Lorenzo. Ma scusandosi Michelagnolo che invecchiato non poteva più il peso delle fatiche, e con molte ragioni lo escluse, che non poteva partirsi di Roma. Onde il Tribolo dimandò finalmente della scala della libreria di San Lorenzo, della quale Michelagnolo aveva fatto fare molte pietre, e non ce n'era modello né certezza appunto della forma; e quantunque ci fussero segni in terra in un mattonato et altri schizzi di terra, la propria et ultima risoluzione non se ne trovava. Dove per preghi che facessi il Tribolo e ci mescolassi il nome del Duca, non rispose mai altro, se non che non se ne ricordava. Fu dato dal duca Cosimo ordine al Vasari che scrivesse a Michelagnolo che gli mandassi a dire che fine avesse a avere questa scala; ché forse per l'amicizia et amore che gli portava, doverebbe dire qualcosa, che sarebbe cagione che venendo tal risoluzione ella si finirebbe. Scrisse il Vasari a Michelagnolo l'animo del Duca, e che tutto quel che si aveva a condurre toccherebbe a lui esserne lo essecutore, il che farebbe con quella fede che sapeva che e' soleva aver cura delle cose sue. Per il che mandò Michelagnolo l'ordine di far detta scala in una lettera di sua mano addì 28 di settembre 1555:
Messer Giorgio amico caro. Circa la scala della libreria, di che m'è stato tanto parlato, crediate che se io mi potessi ricordare come io l'avevo ordinata, che io non mi farei pregare. Mi torna bene nella mente come un sogno una certa scala, ma non credo che sia appunto quella che io pensai allora, perché mi torna cosa goffa; pure la scriverò qui, cioè che i' togliessi una quantità di scatole aovate di fondo d'un palmo l'una, ma non d'una lunghezza e larghezza, e la maggiore e prima ponessi in sul pavimento, lontana dal muro dalla porta tanto quanto volete che la scala sia dolce o cruda; et un'altra ne mettessi sopra questa che fussi tanto minore per ogni verso, che in sulla prima di sotto avanzassi tanto piano, quanto vuole il piè per salire, diminuendole e ritirandole verso la porta fra l'una e l'altra, sempre per salire, e che la diminuzione dell'ultimo grado sia quant'è 'l vano della porta, e detta parte di scala aovata abbi come dua ale, una di qua et una di là, che vi seguitino i medesimi gradi e non aovati. Di queste serva il mezzo per il signore dal mezzo in su di detta scala, e rivolte di dette alie ritornino al muro; dal mezzo in giù insino in sul pavimento si discostino con tutta la scala dal muro circa tre palmi, in modo che l'imbasamento del ricetto non sia occupato in luogo nessuno, e resti libera ogni faccia. Io scrivo cosa da ridere, ma so ben che voi troverete cosa al proposito.
Scrisse ancora Michelagnolo in que' dì al Vasari che essendo morto Giulio Terzo, e creato Marcello, la setta gli era contro, per la nuova creazione di quel Pontefice cominciò di nuovo a travagliarlo; per il che sentendo ciò il Duca, e dispiacendogli questi modi, fece scrivere a Giorgio e dirli che doveva partirsi di Roma e venirsene a stare in Fiorenza, dove quel Duca non desiderava altro, se non talvolta consigliarsi per le sue fabriche secondo i suoi disegni e che arebbe da quel signore tutto quello che e' desiderava, senza far niente di sua mano. E di nuovo gli fu per Messer Lionardo Marinozzi cameriere segreto del duca Cosimo portate lettere scritte da sua eccellenza e così dal Vasari. Dove essendo morto Marcello e creato Paulo Quarto, dal quale di nuovo gli era stato, in quel principio che egli andò a baciare il piede, fatte offerte assai, in desiderio della fine della fabbrica di San Pietro, e l'obligo, che gli pareva avervi, lo tenne fermo, e pigliando certe scuse scrisse al Duca che non poteva per allora servirlo, et una lettera al Vasari con queste parole proprie:
Messer Giorgio amico caro. Io chiamo Iddio in testimonio, come io fu' contra mia voglia con grandissima forza messo da papa Paulo Terzo nella fabbrica di San Pietro di Roma dieci anni sono; e se si fussi seguitato fino a oggi di lavorare in detta fabbrica come si faceva allora, io sarei ora a quello di detta fabbrica, ch'io desidererei tornarmi costà; ma per mancamento di danari la s'è molto allentata, et allentasi quando l'è giunta in più faticose e dificil parti, in modo che abandonandola ora non sarebbe altro che con grandissima vergogna e peccato perdere il premio delle fatiche che io ho durate in detti dieci anni per l'amor de Dio. Io vi ho fatto questo discorso per risposta della vostra, e perché ho una lettera del Duca, m'ha fatto molto maravigliare che sua signoria si sia degnata a scrivere con tanta dolcezza. Ne ringrazio Iddio e sua eccellenza quanto so e posso. Io esco di proposito, perché ho perduto la memoria e 'l cervello, e lo scrivere m'è di grande affanno, perché non è mia arte. La conclusione è questa: di farvi intendere quel che segue dello abandonare la sopra detta fabbrica, e partirsi di qua: la prima cosa contenterei parecchi ladri, e sarei cagione della sua rovina, e forse ancora del serrarsi per sempre.