Fu la fine di questo modello fatto con grandissima satisfazione non solo di tutti gli amici suoi, ma di tutta Roma, et il fermamento e stabilimento di quella fabbrica. Seguì che morì Paulo Quarto e fu creato dopo lui Pio Quarto, il quale facendo seguitare di murare il palazzetto del bosco di Belvedere a Pirro Ligorio restato architetto del palazzo, fece offerte e carezze assai a Michelagnolo. Il motu proprio avuto prima da Paulo Terzo, e da Iulio Terzo e Paulo Quarto sopra la fabbrica di San Piero, gli confermò e gli rendé una parte delle entrate e provisioni tolte da Paulo Quarto, adoperandolo in molte cose delle sue fabriche, et a quella di S. Piero nel tempo suo fece lavorare gagliardamente. Particolarmente se ne servì nel fare un disegno per la sepoltura del marchese Marignano suo fratello, la quale fu allogata da Sua Santità per porsi nel Duomo di Milano al cavalier Lione Lioni aretino, scultore eccellentissimo, molto amico di Michelagnolo, che a suo luogo si dirà della forma di questa sepoltura. Et in quel tempo il cavaliere Lione ritrasse in una medaglia Michelagnolo molto vivacemente, et a compiacenza di lui gli fece nel rovescio un cieco guidato da un cane con queste lettere attorno: "Docebo iniquos vias tuas et impii ad te convertentur". E perché gli piacque assai gli donò Michelagnolo un modello d'uno Ercole che scoppia Anteo, di sua mano, di cera con certi suoi disegni. Di Michelagnolo non ci è altri ritratti che duoi di pittura, uno di mano del Bugiardino e l'altro di Iacopo del Conte, et uno di bronzo di tutto rilievo fatto da Daniello Ricciarelli e questo del cavalier Lione, da e' quali se n'è fatte tante copie, che n'ho visto in molti luoghi di Italia e fuori assai numero.
Andò il medesimo anno Giovanni cardinale de' Medici, figliuolo del duca Cosimo, a Roma, per il cappello a Pio Quarto, e convenne, come suo servitore e familiare, al Vasari andar seco, che volentieri vi andò e vi stette circa un mese per godersi Michelagnolo, che l'ebbe carissimo e di continuo gli fu a torno. Aveva portato seco il Vasari, per ordine di sua eccellenza, il modello di legno di tutto il palazzo ducale di Fiorenza, insieme coi disegni delle stanze nuove, che erano state murate e dipinte da lui, quali desiderava Michelagnolo vedere in modello e disegno, poi che sendo vecchio non poteva vedere l'opere, le quali erano copiose, diverse e con varie invenzioni e capricci, che cominciavano dalla castrazione di Celo, Saturno, Opi, Cerere, Giove, Giunone, Ercole, che in ogni stanza era uno di questi nomi, con le sue istorie in diversi partimenti, come ancora l'altre camere e sale che erano sotto queste avevano il nome degli eroi di casa Medici, cominciando da Cosimo Vecchio, Lorenzo, Leone Decimo, Clemente Settimo, el signor Giovanni, el duca Alessandro e duca Cosimo, nelle quali per ciascuna erano non solamente le storie de' fatti loro, ma loro ritratti e de' figliuoli e di tutte le persone antiche, così di governo come d'arme e di lettere, ritratte di naturale, delle quali aveva scritto il Vasari un dialogo ove si dichiarava tutte le istorie et il fine di tutta l'invenzione, e come le favole di sopra s'accomodassino alle istorie di sotto, le quali gli fur lette da Annibal Caro, che n'ebbe grandissimo piacere Michelagnolo. Questo dialogo, come arà più tempo il Vasari, si manderà fuori.
Queste cose causorono che desiderando il Vasari di metter mano alla sala grande, e perché era, come s'è detto altrove, il palco basso che la faceva nana e cieca di lumi, et avendo desiderio di alzarla non si voleva risolvere il duca Cosimo a dargli licenzia ch'ella si alzasse. Non che 'l Duca temesse la spesa, come s'è visto poi, ma il pericolo di alzare i cavagli del tetto 13 braccia sopra; dove sua eccellenza come giudiziosa consentì che s'avessi il parere da Michelagnolo, visto in quel modello la sala come era prima, poi levato tutti que' legni e postovi altri legni con nuova invenzione del palco e delle facciate, come s'è fatto da noi, e disegnata in quella insieme l'invenzione delle istorie, che piaciutagli ne diventò subito non giudice, ma parziale, vedendo anche il modo e la facilità dello alzare i cavagli e 'l tetto et il modo di condurre tutta l'opera in breve tempo. Dove egli scrisse nel ritorno del Vasari al Duca che seguitassi quella impresa, che l'era degna della grandezza sua. Il medesimo anno andò a Roma il duca Cosimo con la signora duchessa Leonora sua consorte, e Michelagnolo, arrivato il Duca, lo andò a vedere subito, il quale fattogli molte carezze, lo fece, stimando la sua gran virtù, sedere a canto a sé, e con molta domestichezza ragionandogli di tutto quello che sua eccellenza aveva fatto fare di pittura e di scultura a Fiorenza, e quello che aveva animo di volere fare, e della sala particularmente, di nuovo Michelagnolo ne lo confortò e si dolse, perché amava quel signore, non essere giovane di età da poterlo servire. E ragionando sua eccellenza che aveva trovato il modo da lavorare il porfido, cosa non creduta da lui, se gli mandò, come s'è detto nel primo capitolo delle Teoriche, la testa del Cristo lavorata da Francesco del Tadda scultore, che ne stupì. E tornò dal Duca più volte mentre che dimorò in Roma con suo grandissima satisfazione, et il medesimo fece andandovi poco dopo lo illustrissimo don Francesco de' Medici suo figliuolo, del quale Michelagnolo si compiacque per le amorevoli accoglienze e carezze fatte da sua eccellenza illustrissima, che gli parlò sempre con la berretta in mano avendo infinita reverenza a sì raro uomo, e scrisse al Vasari che gli incresceva l'essere indisposto e vecchio, che arebbe voluto fare qualcosa per quel signore, et andava cercando comperare qualche anticaglia bella per mandargliene a Fiorenza.