Ora per venire all'essequie, le quali non si fecero il dì dopo San Giovanni, come si era pensato, ma furono insino al quattordicesimo giorno di luglio prolungate, i tre deputati (perché Benvenuto Cellini, essendosi da principio sentito alquanto indisposto, non era mai fra loro intervenuto), fatto che ebbero proveditore Zanobi Lastricati scultore, si risolverono a far cosa più tosto ingegnosa e degna dell'arti loro, che pomposa e di spesa. "E nel vero, avendosi a onorare" dissero que' deputati et il loro proveditore "un uomo come Michelagnolo, e da uomini della professione che egli ha fatto, e più tosto ricchi di virtù che d'amplissime facultà, si dee ciò fare non con pompa regia o soperchie vanità, ma con invenzioni et opere piene di spirito e di vaghezza, che escano dal sapere della prontezza delle nostre mani e de' nostri artefici, onorando l'arte con l'arte. Perciò che, se bene dall'eccellenza del signor Duca possiamo sperare ogni quantità di danari che fusse di bisogno, avendone già avuta quella quantità che abbiamo domandata, noi nondimeno avemo a tenere per fermo che da noi si aspetta più presto cosa ingegnosa e vaga per invenzione e per arte, che ricca per molta spesa o grandezza di superbo apparato." Ma ciò nonostante, si vide finalmente che la magnificenza fu uguale all'opere che uscirono delle mani dei detti accademici, e che quella onoranza fu non meno veramente magnifica, che ingegnosa, e piena di capricciose e lodevoli invenzioni.
Fu dunque in ultimo dato questo ordine, che nella navata di mezzo di San Lorenzo, dirimpetto alle due porte de' fianchi, delle quali una va fuori e l'altra nel chiostro, fusse ritto, come si fece, il catafalco di forma quadro, alto braccia ventotto, con una Fama in cima, lungo undici e largo nove. In sul basamento dunque di esso catafalco, alto da terra braccia due, erano nella parte che guarda verso la porta principale della chiesa posti due bellissimi fiumi a giacere, figurati l'uno per Arno e l'altro per lo Tevere. Arno aveva un corno di dovizia pieno di fiori e frutti, significando perciò i frutti che dalla città di Firenze sono nati in queste professioni, i quali sono stati tanti e così fatti, che hanno ripieno il mondo, e particolarmente Roma, di straordinaria bellezza. Il che dimostrava ottimamente l'altro fiume, figurato come si è detto per lo Tevere; perciò che stendendo un braccio, si aveva piene le mani de' fiori e frutti avuti dal corno di dovizia dell'Arno, che gli giaceva a canto e dirimpetto. Veniva a dimostrare ancora, godendo de' frutti d'Arno, che Michelagnolo è vivuto gran parte degl'anni suoi a Roma, e vi ha fatto quelle maraviglie che fanno stupire il mondo. Arno aveva per segno il leone et il Tevere la lupa con i piccioli Romulo e Remo, et erano ambidue colossi di straordinaria grandezza e bellezza, e simili al marmo. L'uno, cioè il Tevere, fu di mano di Giovanni di Benedetto da Castello, allievo del Bandinello, e l'altro di Battista di Benedetto, allievo dell'Ammannato, ambi giovani eccellenti e di somma aspettazione.
Da questo piano si alzava una faccia di cinque braccia e mezzo con le sue cornici di sotto, e sopra, et in su' canti, lasciando nel mezzo lo spazio di quattro quadri. Nel primo de' quali, che veniva a essere nella faccia dove erano i due fiumi, era dipinto di chiaro scuro, sì come erano anche tutte l'altre pitture di questo apparato, il magnifico Lorenzo vecchio de' Medici, che riceveva nel suo giardino, del quale si è in altro luogo favellato, Michelagnolo fanciullo, avendo veduti certi saggi di lui che accennavano, in que' primi fiori, i frutti che poi largamente sono usciti della vivacità e grandezza del suo ingegno. Cotale istoria dunque si conteneva nel detto quadro, il quale fu dipinto da Mirabello e da Girolamo del Crucifissaio, così chiamati, i quali come amicissimi e compagni presono a fare quell'opera insieme, nella quale con vivezza e pronte attitudini si vedeva il detto magnifico Lorenzo, ritratto di naturale, ricevere graziosamente Michelagnolo fanciulletto e tutto reverente nel suo giardino, et essaminatolo, consegnarlo ad alcuni maestri che gl'insegnassero. Nella seconda storia, che veniva a essere, continuando il medesimo ordine, volta verso la porta del fianco che va fuori, era figurato papa Clemente, che contra l'openione del volgo, il quale pensava che Sua Santità avesse sdegno con Michelagnolo per conto delle cose dell'assedio di Firenze, non solo lo assicura e se gli mostra amorevole, ma lo mette in opera alla sagrestia nuova et alla libreria di San Lorenzo, ne' quali luoghi quanto divinamente operasse si è già detto. In questo quadro adunque era di mano di Federigo fiamingo, detto del Padoano, dipinto con molta destrezza e dolcissima maniera Michelagnolo che mostra al Papa la pianta della detta sagrestia, e dietro lui parte da alcuni Angioletti, e parte da altre figure, erano portati i modelli della libreria, della sagrestia e delle statue che vi sono oggi finite. Il che tutto era molto bene accomodato e lavorato con diligenza. Nel terzo quadro che posando come gl'altri detti sul primo piano, guardava l'altare maggiore, era un grande epitaffio latino composto dal dottissimo Messer Pier Vettori, il sentimento del quale era tale in lingua fiorentina: "L'Accademia de' pittori, scultori et architettori, col favore et aiuto del duca Cosimo de' Medici, loro capo e sommo protettore di queste arti, ammirando l'eccellente virtù di Michelagnolo Buonarruoti e riconoscendo in parte il beneficio ricevuto dalle divine opere sue, ha dedicato questa memoria, uscita dalle proprie mani e da tutta l'affezzione del cuore, all'eccellenza e virtù del maggior pittore, scultore et architettore che sia mai stato". Le parole latine furono queste: "Collegium pictorum, statuariorum, architectorum, auspicio opeque sibi prompta Cosmi ducis, autoris suorum commodorum, suspiciens singularem virtutem Michaëlis Angeli Bonarrotae intelligensque quanto sibi auxilio semper fuerint praeclara ipsius opera, studuit se gratum erga illum ostendere sommum omnium qui unquam fuerint p. s. a. ideoque monumentum hoc suis manibus extructum magno animi ardore ipsius memoriae dedicavit".
Era questo epitaffio retto da due Angioletti, i quali con volto piangente e spegnendo ciascuno una face, quasi si lamentavano essere spenta tanta e così rara virtù. Nel quadro poi che veniva a essere volto verso la porta che va nel chiostro era quando per l'assedio di Firenze Michelagnolo fece la fortificazione del poggio a San Miniato, che fu tenuta inespugnabile e cosa maravigliosa: e questo fu di mano di Lorenzo Sciorini, allievo del Bronzino, giovane di bonissima speranza. Questa parte più bassa, e come dire la base di tutta la machina, aveva in ciascun canto un piedestallo che risaltava, e sopra ciascun piedestallo era una statua grande più che il naturale, che sotto n'aveva un'altra come soggetta e vinta, di simile grandezza, ma raccolta in diverse attitudini e stravaganti. La prima a man ritta, andando verso l'altare maggiore, era un giovane svelto, e nel sembiante tutto spirito e di bellissima vivacità figurato per l'Ingegno, con due aliette sopra le tempie, nella guisa che si dipigne alcuna volta Mercurio. E sotto a questo giovane fatto con incredibile diligenza, era con orecchi asinini una bellissima figura fatta per l'Ignoranza, mortal nimica dell'Ingegno. Le quali ambedue statue furono di mano di Vincenzio Danti perugino, del quale e dell'opere sue, che sono rare fra i moderni giovani scultori, si parlerà in un altro luogo più lungamente.
Sopra l'altro piedestallo, il quale essendo a man ritta verso l'altare maggiore guardava verso la sagrestia nuova, era una donna, fatta per la Pietà cristiana, la quale essendo d'ogni bontà e religione ripiena, non è altro che un aggregato di tutte quelle virtù che i nostri hanno chiamate teologiche e di quelle che furono dai gentili dette morali; onde meritamente, celebrandosi da' cristiani la virtù d'un cristiano ornata di santissimi costumi, fu dato conveniente et onorevole luogo a questa, che risguarda la legge di Dio e la salute dell'anime, essendo che tutti gl'altri ornamenti del corpo e dell'animo, dove questa manchi, sono da essere poco, anzi nulla stimati. Questa figura, la quale avea sotto sé prostrato e da sé calpestato il Vizio o vero l'Impietà, era di mano di Valerio Cioli, il quale è valente giovane di bellissimo spirito, e merita lode di molto giudizioso e diligente scultore. Dirimpetto a questa, dalla banda della sagrestia vecchia, era un'altra simile figura stata fatta giudiziosamente per la dea Minerva o vero l'Arte, perciò che si può dire con verità che dopo la bontà de' costumi e della vita, la quale dee tener sempre appresso i migliori il primo luogo, l'Arte poi sia stata quella che ha dato a quest'uomo non solo onore e facultà, ma anco tanta gloria che si può dire lui aver in vita goduto que' frutti che a pena dopo morte sogliono dalla fama trarne, mediante l'egregie opere loro, gl'uomini illustri e valorosi; e, quello che è più, aver intanto superata l'invidia, che senza alcuna contradizione, per consenso comune, ha il grado e nome della principale e maggiore eccellenza ottenuto; e per questa cagione aveva sotto i piedi questa figura, l'Invidia, la quale era una vecchia secca e distrutta, con occhi viperini et insomma con viso e fattezze che tutte spiravano tossico e veleno; et oltre ciò, era cinta di serpi et aveva una vipera in mano. Queste due statue erano di mano d'un giovinetto di pochissima età, chiamato Lazzaro Calamech da Carrara, il quale ancor fanciullo ha dato infino a oggi in alcune cose di pittura e scultura gran saggio di bello e vivacissimo ingegno. Di mano d'Andrea Calamech, zio del sopra detto et allievo dell'Amannato, erano le due statue poste sopra il quarto piedestallo, che era dirimpetto all'organo e risguardava verso le porte principali della chiesa. La prima delle quali era figurata per lo Studio, perciò che quegli che poco e lentamente s'adoprano non possono venir in pregio già mai, come venne Michelagnolo; conciò sia che dalla sua prima fanciullezza di quindici insino a novanta anni non restò mai, come di sopra si è veduto, di lavorare. Questa statua dello Studio, che ben si convenne a tant'uomo, il quale era un giovane fiero e gagliardo, il quale alla fine del braccio poco sopra la giuntura della mano aveva due aliette, significanti la velocità e spessezza dell'operare, si aveva sotto come prigione cacciata la Pigrizia o vero Ociosità, la quale era una donna lenta e stanca et in tutti i suoi atti grave e dormigliosa. Queste quattro figure disposte nella maniera che s'è detto, facevano un molto vago e magnifico componimento, e parevano tutte di marmo, perché sopra la terra fu dato un bianco che tornò bellissimo. In su questo piano, dove le dette figure posavano, nasceva un altro imbasamento pur quadro et alto braccia quattro in circa, ma di larghezza e lunghezza tanto minore di quel di sotto quanto era l'aggetto e scorniciamento dove posavano le dette figure, et aveva in ogni faccia un quadro di pittura di braccia sei e mezzo per lunghezza e tre d'altezza, e di sopra nasceva un piano nel medesimo modo che quel di sotto, ma minore; e sopra ogni canto sedeva in sul risalto d'un zoccolo una figura quanto di naturale o più; e queste erano quattro donne, le quali per gli stromenti che avevano erano facilmente conosciute per la Pittura, Scultura, Architettura e Poesia; per le cagioni che di sopra nella narrazione della sua vita si sono vedute. Andandosi dunque dalla principale porta della chiesa verso l'altare maggiore, nel primo quadro del secondo ordine del catafalco, cioè sopra la storia nella quale Lorenzo de' Medici riceve, come si è detto, Michelagnolo nel suo giardino, era con bellissima maniera dipinto, per l'architettura, Michelagnolo innanzi a papa Pio Quarto col modello in mano della stupenda machina della cupola di San Piero di Roma. La quale storia, che fu molta lodata, era stata dipinta da Piero Francia pittore fiorentino, con bella maniera et invenzione. E la statua, o vero simulacro dell'Architettura, che era alla man manca di questa storia, era di mano di Giovanni di Benedetto da Castello, che con tanta sua lode fece anco, come si è detto, il Tevere, uno de' due fiumi che erano dalla parte dinanzi del catafalco. Nel secondo quadro, seguitando d'andare a man ritta verso la porta del fianco che va fuori, per la pittura si vedeva Michelagnolo dipignere quel tanto, ma non mai a bastanza lodato Giudizio, quello dico che è l'esempio degli scorci e di tutte l'altre difficultà dell'arte. Questo quadro, il quale lavorarono i giovani di Michele di Ridolfo con molta grazia e diligenza, aveva la sua imagine e statua della Pittura similmente a man manca, cioè in sul canto che guarda la sagrestia nuova, fatta da Batista del Cavaliere, giovane non meno eccellente nella scultura, che per bontà, modestia e costumi rarissimo. Nel terzo quadro, volto verso l'altare maggiore, cioè in quello che era sopra il già detto epitaffio, per la scultura si vedeva Michelagnolo ragionare con una donna, la quale per molti segni si conosceva essere la Scultura, e parea che si consigliasse con esso lei. Aveva Michelagnolo intorno alcune di quelle opere che eccellentissime ha fatto nella scultura, e la donna in una tavoletta queste parole di Boezio: "Simili sub imagine formans": allato al qual quadro, che fu opera d'Andrea del Minga e da lui lavorato con bella invenzione e maniera, era in sulla man manca la statua di essa Scultura, stata molto ben fatta da Antonio di Gino Lorenzi scultore. Nella quarta di queste quattro storie, che era volta verso l'organo, si vedeva per la poesia Michelagnolo tutto intento a scrivere alcuna composizione, et intorno a lui, con bellissima grazia e con abiti divisati, secondo che dai poeti sono descritte, le nove Muse et innanzi a esse Appollo con la lira in mano e con la sua corona d'alloro in capo, e con un'altra corona in mano, la quale mostrava di volere porre in capo a Michelagnolo. Al vago e bello componimento di questa storia, stata dipinta con bellissima maniera e con attitudini e vivacità prontissime da Giovanmaria Butteri, era vicina e sulla man manca la statua della Poesia opera di Domenico Poggini, uomo non solo nella scultura e nel fare impronte di monete e medaglie bellissime, ma ancora nel fare di bronzo e nella poesia parimente molto esercitato.