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Avendo non molto dopo fatto, a un gentiluomo da Ca' Contarini, in un quadro un bellissimo Cristo che siede a tavola con Cleofas e Luca, parve al gentiluomo che quella fusse opera degna di stare in publico, come è veramente, per che fattone, come amorevolissimo della patria e del publico, dono alla Signoria, fu tenuto molto tempo nelle stanze del doge, ma oggi è in luogo publico e da potere essere veduta da ognuno nella salotta d'oro, dinanzi alla sala del Consiglio de' Dieci sopra la porta. Fece ancora quasi ne' medesimi tempi, per la scuola di Santa Maria della Carità, la Nostra Donna che saglie i gradi del tempio, con teste d'ogni sorte ritratte dal naturale; parimente nella scuola di San Fantino, in una tavoletta un San Girolamo in penitenza, che era dagl'artefici molto lodata, ma fu consumata dal fuoco, due anni sono, con tutta quella chiesa. Dicesi che l'anno 1530, essendo Carlo Quinto imperatore in Bologna, fu dal cardinale Ipolito de' Medici, Tiziano, per mezzo di Pietro Aretino, chiamato là, dove fece un bellissimo ritratto di sua maestà tutto armato che tanto piacque, che gli fece donare mille scudi, de' quali bisognò che poi desse la metà ad Alfonso Lombardi scultore, che avea fatto un modello, per farlo di marmo, come si disse nella sua vita.

Tornato Tiziano a Vinezia, trovò che molti gentiluomini, i quali avevano tolto a favorire il Pordenone, lodando molto l'opere da lui state fatte nel palco della sala de' Pregai et altrove, gli avevano fatto allogare nella chiesa di San Giovanni elemosinario una tavoletta acciò che egli la facesse a concorrenza di Tiziano, il quale nel medesimo luogo aveva poco innanzi dipinto il detto San Giovanni elemosinario in abito di vescovo. Ma per diligenza che in detta tavola ponesse il Pordenone, non poté paragonare, né giugnere a gran pezzo all'opera di Tiziano, il quale poi fece per la chiesa di Santa Maria degl'Angeli a Murano una bellissima tavola d'una Nunziata. Ma non volendo quelli che l'avea fatta fare spendervi cinquecento scudi, come ne voleva Tiziano, egli la mandò per consiglio di Messer Piero Aretino a donare al detto imperatore Carlo Quinto, che gli fece, piacendogli infinitamente quell'opera, un presente di duemila scudi, e dove aveva a essere posta la detta pittura ne fu messa in suo cambio una di mano del Pordenone. Né passò molto, che tornando Carlo Quinto a Bologna per abboccarsi con papa Clemente quando venne con l'esercito d'Ungheria, volle di nuovo essere ritratto da Tiziano, il quale ritrasse ancora prima che partisse di Bologna il detto cardinale Ipolito de' Medici, con abito all'ungheresca, et in un altro quadro più piccolo il medesimo tutto armato; i quali ambidue sono oggi nella guardaroba del duca Cosimo. Ritrasse in quel medesimo tempo il marchese del Vasto, Alfonso Davalos, et il detto Pietro Aretino, il quale gli fece allora pigliare servitù et amicizia con Federigo Gonzaga, duca di Mantoa; col quale andato Tiziano al suo stato, lo ritrasse che par vivo, e dopo il cardinale suo fratello. E questi finiti, per ornamento d'una stanza, fra quelle di Giulio Romano, fece dodici teste dal mezzo in su de' dodici cesari molto belle, sotto ciascuna delle quali fece poi Giulio detto una storia de' fatti loro.

Ha fatto Tiziano in Cador sua patria una tavola, dentro la quale è una Nostra Donna e San Tiziano vescovo, et egli stesso ritratto ginocchioni. L'anno che papa Paulo Terzo andò a Bologna e di lì a Ferrara, Tiziano andato alla corte ritrasse il detto Papa, che fu opera bellissima, e da quello un altro al cardinale Santa Fiore; i quali ambidue, che gli furono molto bene pagati dal Papa, sono in Roma, uno nella guardaroba del cardinale Farnese e l'altro appresso gl'eredi di detto cardinale Santa Fiore. E da questi poi ne sono state cavate molte copie, che sono sparse per Italia. Ritrasse anco quasi ne' medesimi tempi Francesco Maria duca d'Urbino, che fu opera maravigliosa, onde Messer Piero Aretino per questo lo celebrò con un sonetto, che cominciava:

Se il chiaro Apelle con la man dell'arte

rasemplò d'Alessandro il volto e il petto...

Sono nella guardaroba del medesimo Duca di mano di Tiziano due teste di femmina molto vaghe, et una Venere giovanetta a giacere con fiori e certi panni sottili attorno molto belli e ben finiti, et oltre ciò una testa dal mezzo in su d'una Santa Maria Maddalena con i capegli sparsi, che è cosa rara. Vi è parimente il ritratto di Carlo Quinto, del re Francesco quando era giovane, del duca Guidobaldo Secondo, di papa Sisto Quarto, di papa Giulio Secondo, di Paulo Terzo, del cardinal vecchio di Loreno e di Solimano imperatore de' Turchi, i quali ritratti dico sono di mano di Tiziano, e bellissimi. Nella medesima guardaroba, oltre a molte altre cose è un ritratto d'Aniballe cartaginese, intagliato nel cavo d'una corniuola antica, e così una testa di marmo bellissima di mano di Donato.

Fece Tiziano l'anno 1541 ai frati di Santo Spirito di Vinezia la tavola dell'altare maggiore, figurando in essa la venuta dello Spirito Santo sopra gl'Apostoli, con uno Dio finto di fuoco e lo Spirito in colomba. La qual tavola essendosi guasta indi a non molto tempo, dopo avere molto piatito con que' frati, l'ebbe a rifare, ed è quella che è al presente sopra l'altare. In Brescia fece nella chiesa di San Nazzaro la tavola dell'altare maggiore di cinque quadri; in quello del mezzo è Gesù Cristo che risuscita, con alcuni soldati attorno, e dagli lati San Nazzaro, San Bastiano, l'angelo Gabriello e la Vergine annunziata. Nel Duomo di Verona, fece nella facciata da piè in una tavola, un'Assunta di Nostra Donna in cielo e gl'Apostoli in terra, che è tenuta in quella città delle cose moderne la migliore. L'anno 1541 fece il ritratto di don Diego di Mendozza, allora ambasciadore di Carlo Quinto a Vinezia, tutto intero et in piedi, che fu bellissima figura, e da questa cominciò Tiziano quello che è poi venuto in uso, cioè fare alcuni ritratti interi. Nel medesimo modo fece quello del cardinale di Trento allora giovane, et a Francesco Marcolini ritrasse Messer Pietro Aretino, ma non fu già questi sì bello come uno, pure di mano di Tiziano, che esso Aretino di se stesso mandò a donare al duca Cosimo de' Medici, al quale mandò anco la testa del signor Giovanni de' Medici, padre di detto signor Duca. La qual testa fu ritratta da una forma, che fu improntata in sul viso di quel signore quando morì in Mantoa, che era appresso l'Aretino. I quali ambidue ritratti sono in guardaroba del detto signor Duca fra molte altre nobilissime pitture.

L'anno medesimo, essendo stato il Vasari in Vinezia tredici mesi a fare, come s'è detto, un palco a Messer Giovanni Cornaro et alcune cose per la Compagnia della Calza, il Sansovino, che guidava la fabrica di Santo Spirito, gli aveva fatto fare disegni per tre quadri grandi a olio, che andavano nel palco, acciò gli conducesse di pittura; ma essendosi poi partito il Vasari, furono i detti tre quadri allogati a Tiziano, che gli condusse bellissimi per avere atteso con molt'arte a fare scortare le figure al di sotto in su. In uno è Abraam che sacrifica Isaac, nell'altro Davit che spicca il collo a Golia, e nel terzo Abel ucciso da Cain suo fratello. Nel medesimo tempo ritrasse Tiziano se stesso, per lasciare quella memoria di sé ai figliuoli. E venuto l'anno 1546, chiamato dal cardinale Farnese andò a Roma, dove trovò il Vasari che, tornato da Napoli, faceva la sala della Cancelleria al detto Cardinale, per che essendo da quel signore stato raccomandato Tiziano a esso Vasari, gli tenne amorevol compagnia in menarlo a vedere le cose di Roma. E così riposato che si fu Tiziano alquanti giorni, gli furono date stanze in Belvedere, acciò mettesse mano a fare di nuovo il ritratto di papa Paulo intero, quello di Farnese e quello del duca Ottavio, i quali condusse ottimamente e con molta sodisfazione di que' signori, a persuasione de' quali fece, per donare al Papa, un Cristo dal mezzo in su, in forma di Ecce Homo, la quale opera, o fusse che le cose di Michelagnolo, di Raffaello, di Pulidoro e d'altri l'avessono fatto perdere, o qualche altra cagione, non parve ai pittori, tuttoché fusse buon'opera, di quell'eccellenza che molte altre sue e particolarmente i ritratti.