Non tacerò che a tanta virtù ha congiunta una sì affabile e gentil natura, che lo rende appresso d'ognuno amabilissimo. Onde ha meritato d'essere stato accettato nel numero degl'Accademici del disegno fiorentini, insieme col Danese, Giuseppo Salviati, il Tintoretto e Batista Farinato da Verona, come si dirà in altro luogo, parlando di detti Accademici.
Bonifazio pittore viniziano, del quale non ho prima avuto cognizione, è degno anch'esso di essere nel numero di tanti eccellenti artefici annoverato per essere molto pratico e valente coloritore. Costui oltre a molti quadri e ritratti, che sono per Vinezia, ha fatto nella chiesa de' Servi della medesima città, all'altare delle reliquie, una tavola dove è un Cristo con gl'Apostoli intorno, e Filippo che par che dica: "Domine ostende nobis patrem"; la quale è condotta con molto bella e buona maniera. E nella chiesa delle monache dello Spirito Santo, all'altare della Madonna, ha fatto un'altra bellissima tavola con una infinità d'uomini, donne e putti d'ogni età, che adorano insieme con la Vergine un Dio Padre che è in aria con molti Angeli attorno.
E anco pittore di assai buon nome in Vinezia Iacopo Fallaro, il quale ha nella chiesa degl'Ingesuati fatto ne' portegli dell'organo il beato Giovanni Colombini che riceve in Concistoro l'abito del Papa con buon numero di cardinali. Un altro Iacopo, detto Pisbolica, in Santa Maria Maggiore di Vinezia ha fatto una tavola nella quale è Cristo in aria con molti Angeli, et a basso la Nostra Donna con gl'Apostoli; et un Fabrizio viniziano nella chiesa di Santa Maria Sebenico ha dipinto nella facciata d'una cappella una benedizione della fonte del battesimo, con molti ritratti di naturale fatti con bella grazia e buona maniera.
IL FINE DELLA VITA DI IACOPO SANSOVINO SCULTORE FIORENTINO
VITA DI LIONE LIONI ARETINO E D'ALTRI SCULTORI ET ARCHITETTI
Perché quello che si è detto sparsamente di sopra del cavalier Lione scultore aretino si è detto incidentemente, non fia se non bene che qui si ragioni con ordine dell'opere sue, degne veramente di essere celebrate e di passare alla memoria degl'uomini. Costui dunque avendo a principio atteso all'orefice e fatto in sua giovanezza molte bell'opere, e particolarmente ritratti di naturale in conii d'acciaio per medaglie, divenne in pochi anni in modo eccellente, che venne in cognizione di molti prìncipi e grand'uomini, et in particolare di Carlo Quinto imperatore, dal quale fu messo, conosciuta la sua virtù, in opere di maggiore importanza che le medaglie non sono.
Conciò sia che fece, non molto dopo che venne in cognizione di Sua Maestà, la statua di esso Imperatore tutta tonda di bronzo maggiore del vivo, e quella poi con due gusci sottilissimi vestì d'una molto gentile armatura, che se gli lieva e veste facilmente e con tanta grazia, che chi la vede vestita non s'accorge e non può quasi credere ch'ella sia ignuda, e quando è nuda niuno crederebbe agevolmente ch'ella potesse così bene armarsi già mai. Questa statua posa la gamba sinistra e con la destra calca il Furore, il quale è una statua a giacere incatenata con la face e con arme sotto di varie sorti. Nella base di quest'opera, la quale è oggi in Madril, sono scritte queste parole: "Caesaris virtute Furor domitus".
Fece dopo queste statue Lione un conio grande per stampare medaglie di Sua Maestà con il rovescio de' giganti fulminati da Giove. Per le quali opere donò l'Imperatore a Lione un'entrata di centocinquanta ducati l'anno in sulla Zecca di Milano, una comodissima casa nella contrada de' Moroni, e lo fece cavaliere e di sua famiglia con dargli molti privilegii di nobiltà per i suoi descendenti. E mentre stette Lione con Sua Maestà in Bruselles ebbe le stanze nel proprio palazzo dell'Imperatore che talvolta per diporto l'andava a vedere lavorare. Fece non molto dopo di marmo un'altra statua pur dell'Imperatore, e quelle dell'Imperatrice, del re Filippo et un busto dell'istesso Imperatore da porsi in alto in mezzo a due quadri di bronzo. Fece similmente di bronzo la testa della reina Maria, quella di Ferdinando allora re de' romani, e di Massimiliano suo figliuolo, oggi Imperatore, quella della reina Leonora e molti altri, che furono poste nella galleria del palazzo di Bindisi da essa reina Maria, che le fé fare. Ma non vi stettono molto, perché Enrico re di Francia vi apiccò fuoco per vendetta, lasciandovi scritto queste parole: "Vela Fole Maria"; dico per vendetta, perciò che essa Reina pochi anni innanzi aveva fatto a lui il medesimo. Comunche fusse l'opera di detta galleria non andò innanzi, e le dette statue sono oggi parte in palazzo del Re catolico a Madril e parte in Alicante, porto di mare. Donde le voleva Sua Maestà far porre in Granata, dove sono le sepolture di tutti i re di Spagna. Nel tornare Lione di Spagna se ne portò duemila scudi contanti, oltre a molti altri doni e favori, che gli furono fatti in quella corte.
Ha fatto Lione al duca d'Alva la testa di lui, quella di Carlo Quinto e quella del re Filippo. Al reverendissimo d'Aras, oggi gran cardinale, detto Granvela, ha fatto alcuni pezzi di bronzo in forma ovale di braccia due l'uno, con ricchi partimenti e mezze statue dentrovi. In uno è Carlo Quinto, in un altro il re Filippo, e nel terzo esso Cardinale, ritratti di naturale, e tutte hanno imbasamenti di figurette graziosissime. Al signor Vespasiano Gonzaga ha fatto sopra un gran busto di bronzo il ritratto d'Alva, il quale ha posto nelle sue case a Sabbioneto. Al signor Cesare Gonzaga ha fatto pur di metallo una statua di quattro braccia, che ha sotto un'altra figura che è aviticchiata con un'Idra, per figurare don Ferrante suo padre, il quale con la sua virtù e valore superò il vizio e l'invidia, che avevano cercato porlo in disgrazia di Carlo, per le cose del governo di Milano. Questa statua, che è togata e parte armata all'antica e parte alla moderna, deve essere portata e posta a Guastalla per memoria di esso don Ferrante, capitano valorosissimo. Il medesimo ha fatto, come s'è detto in altro luogo, la sepoltura del signore Giovanni Iacopo Medici marchese di Marignano, fratello di papa Pio Quarto, che è posta nel Duomo di Milano, lunga ventotto palmi in circa et alta quaranta. Questa è tutta di marmo di Carrara et ornata di quattro colonne, due nere e bianche, che come cosa rara furono dal Papa mandate da Roma a Milano, e due altre maggiori, che sono di pietra macchiata, simile al diaspro. Le quali tutte e quatro sono concordate sotto una medesima cornice, con artifizio non più usato, come volle quel Pontefice, che fece fare il tutto con ordine di Michelagnolo, eccetto però le cinque figure di bronzo, che vi sono di mano di Lione. La prima delle quali, maggiore di tutte, è la statua di esso Marchese in piedi e maggiore del vivo, che ha nella destra il bastone del generalato, e l'altra sopra un elmo, che è in sur un tronco molto riccamente ornato; alla sinistra di questa è una statua minore, per la Pace et alla destra un'altra fatta per la Virtù militare: e queste sono a sedere et in aspetto tutte meste e dogliose; l'altre due, che sono in alto, una è la Providenza e l'altra la Fama, e nel mezzo al pari di queste è in bronzo una bellissima Natività di Cristo di basso rilievo. In fine di tutta l'opera sono due figure di marmo, che reggono un'arme di palle di quel signore. Questa opera fu pagata scudi 7800 secondo che furono d'accordo in Roma l'illustrissimo cardinal Morone et il signor Agabrio Serbelloni. Il medesimo ha fatto al signor Giovambatista Castaldo una statua pur di bronzo che dee esser posta in non so qual monasterio, con alcuni ornamenti.