Nella medesima chiesa di S. Croce sono ancora sopra il sepolcro di marmo di Carlo Marzupini aretino un Crucifisso, una Nostra Donna, un S. Giovanni e la Madalena a' piè della croce; e dall'altra banda della chiesa a punto dirimpetto a questa, sopra la sepoltura di Lionardo aretino è una Nunziata verso l'altar maggiore, la qual è stata da pittori moderni, - con poco giudizio di chi ciò ha fatto fare -, ricolorita. Nel refettorio è, in un albero di croce, istorie di S. Lodovico, e un cenacolo di mano del medesimo; e negli armarii della sagrestia storie di figure piccole della vita di Cristo e di S. Francesco.
Lavorò anco nella chiesa del Carmine alla cappella di S. Giovanni Batista tutta la vita di quel Santo divisa in più quadri: e nel palazzo della Parte Guelfa di Firenze, è di sua mano una storia della fede cristiana in fresco dipinta perfettamente; et in essa è il ritratto di papa Clemente Quarto il quale creò quel magistrato, donandogli l'arme sua, la qual egli ha tenuto sempre e tiene ancora. Dopo queste cose, partendosi di Firenze per andare a finir in Ascesi l'opere cominciate da Cimabue, nel passar per Arezzo dipinse nella Pieve la capella di S. Francesco ch'è sopra il battesimo, e in una colonna tonda vicino a un capitello corintio et antico e bellissimo, un S. Francesco e un S. Domenico ritratti di naturale, e nel Duomo fuor d'Arezzo una capelluccia, dentrovi la lapidazione di S. Stefano, con bel componimento di figure.
Finite queste cose, si condusse in Ascesi città dell'Umbria, essendovi chiamato da fra' Giovanni di Muro della Marca allora Generale de' frati di S. Francesco, dove nella chiesa di sopra dipinse a fresco sotto il corridore che attraversa le finestre, dai due lati della chiesa, trentadue storie della vita e fatti di S. Francesco, cioè sedici per facciata, tanto perfettamente, che ne acquistò grandissima fama. E nel vero, si vede in quell'opera gran varietà non solamente nei gesti et attitudini di ciascuna figura, ma nella composizione ancora di tutte le storie; senzaché fa bellissimo vedere la diversità degli abiti di que' tempi, e certe imitazioni et oservazioni delle cose della natura. E fra l'altre è bellissima una storia, dove uno assetato, nel quale si vede vivo il desiderio dell'acque, bee stando chinato in terra a una fonte, con grandissimo e veramente maraviglioso affetto, in tanto che par quasi una persona viva che bea. Vi sono anco molte altre cose dignissime di considerazione, nelle quali per non esser lungo non mi distendo altrimenti. Basti che tutta questa opera acquistò a Giotto fama grandissima, per la bontà delle figure, e per l'ordine, proporzione, vivezza e facilità che egli aveva dalla natura e che aveva mediante lo studio fatto molto maggiore e sapeva in tutte le cose chiaramente dimostrare. E perché, oltre quello che aveva Giotto da natura, fu studiosissimo, et andò sempre nuove cose pensando e dalla natura cavando, meritò d'esser chiamato discepolo della natura, e non d'altri.
Finite le sopra dette storie, dipinse nel medesimo luogo, ma nella chiesa di sotto, le facciate di sopra dalle bande dell'altar maggiore, e tutti quattro gl'angoli della volta di sopra, dove è il corpo di S. Francesco, e tutte con invenzioni capricciose e belle: nella prima è S. Francesco glorificato in cielo con quelle virtù intorno, che a voler esser perfettamente nella grazia di Dio sono richieste; da un lato l'Ubidienza mette al collo d'un frate, che le sta inanzi ginocchioni, un giogo, i legami del quale sono tirati da certe mani al cielo, e mostrando, con un dito alla bocca, silenzio, ha gl'occhi a Gesù Cristo che versa sangue dal costato; et in compagnia di questa virtù sono la Prudenza e l'Umiltà, per dimostrare che dove è veramente l'ubidienza, è sempre l'umiltà e la prudenza che fa bene operare ogni cosa. Nel secondo angolo è la Castità, la quale standosi in una fortissima ròcca, non si lascia vincere né da regni, né da corone, né da palme che alcuni le presentano; a' piedi di costei è la Mondizia che lava persone nude, e la Fortezza va conducendo genti a lavarsi e mondarsi. Appresso alla Castità è da un lato la Penitenza che caccia Amore alato con una disciplina, e fa fuggire la Imondizia. Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va coi piedi scalzi calpestando le spine; ha un cane che le abbaia dietro, e intorno un putto che le tira sassi, et un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe; e questa Povertà si vede esser quivi sposata a S. Francesco, mentre Gesù Cristo le tiene la mano, essendo presenti non senza misterio la Speranza e la Castità. Nel quarto et ultimo dei detti luoghi è un S. Francesco pur glorificato, vestito con una tonicella bianca da diacono, e come trionfante in cielo in mezzo a una multitudine d'Angeli che intorno gli fanno coro, con uno stendardo nel quale è una croce con sette stelle, e in alto è lo Spirito Santo. Dentro a ciascuno di questi angoli sono alcune parole latine che dichiarano le storie.
Similmente oltre i detti quattro angoli, sono nelle facciate dalle bande pitture bellissime e da essere veramente tenute in pregio, sì per la perfezzione che si vede in loro, e sì per essere state con tanta diligenza lavorate, che si sono insino a oggi conservate fresche. In queste storie è il ritratto d'esso Giotto molto ben fatto, e sopra la porta della sagrestia è di mano del medesimo pur a fresco un S. Francesco che riceve le stimate, tanto affettuoso e divoto, che a me pare la più eccellente pittura che Giotto facesse in quell'opere, che sono tutte veramente belle e lodevoli.
Finito dunque che ebbe per ultimo il detto S. Francesco, se ne tornò a Firenze, dove giunto dipinse per mandare a Pisa in una tavola un S. Francesco ne l'orribile sasso della Vernia, con straordinaria diligenza: perché oltre a certi paesi pieni di alberi e di scogli, che fu cosa nuova in que' tempi, si vede nell'attitudini di S. Francesco, che con molta prontezza riceve ginocchioni le stimate, un ardentissimo desiderio di riceverle et infinito amore verso Gesù Cristo, che in aria circondato di Serafini gliele concede, con sì vivi affetti, che meglio non è possibile immaginarsi. Nel disotto poi della medesima tavola, sono tre storie della vita del medesimo, molto belle.
Questa tavola, la quale oggi si vede in S. Francesco di Pisa in un pilastro accanto all'altar maggiore, tenuta in molta venerazione per memoria di tanto uomo, fu cagione che i Pisani, essendosi finita appunto la fabbrica di Camposanto, secondo il disegno di Giovanni di Nicola Pisano, come si disse di sopra, diedero a dipignere a Giotto parte delle facciate di dentro, acciò che, come tanta fabrica era tutta di fuori incrostata di marmi e d'intagli fatti con grandissima spesa, coperto di piombo il tetto, e dentro piena di pile e sepolture antiche, state de' Gentili e recate in quella città di varie parti del mondo, così fusse ornata dentro nelle facciate di nobilissime pitture. Perciò, dunque, andato Giotto a Pisa, fece nel principio d'una facciata di quel Camposanto sei storie grandi in fresco del pazientissimo Iobbe; e perché giudiziosamente considerò che i marmi da quella parte della fabrica dove aveva a lavorare erano volti verso la marina, e che tutti essendo saligni per gli scilocchi, sempre sono umidi e gettano una certa salsedine, sì come i mattoni di Pisa fanno per lo più, e che perciò acciecano e si mangiano i colori e le pitture; fece fare, perché si conservasse quanto potesse il più l'opera sua, per tutto dove voleva lavorare in fresco, in arricciato o vero intonaco o incrostatura che vogliam dire, con calcina, gesso e matton pesto mescolati così a proposito, che le pitture che egli poi sopra vi fece, si sono insino a questo giorno conservate. E meglio, starebbono, se la stracurataggine di chi ne doveva aver cura non l'avesse lasciate molto offendere dall'umido; perché il non avere a ciò, come si poteva agevolmente, proveduto, è stato cagione che, avendo quelle pitture patito umido, si sono guaste in certi luoghi, e l'incarnazioni fatte nere, e l'intonaco scortecciato; senzaché la natura del gesso, quando è con la calcina mescolato, è d'infracidare col tempo e corrompersi; onde nasce che poi per forza guasta i colori, sebben pare che da principio faccia gran presa e buona.