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E tornando all'opere mie dico che pensò questo eccellentissimo signore di mettere ad esecuzione un pensiero avuto già gran tempo, di dipignere la sala grande, concetto degno della altezza e profondità dell'ingegno suo, né so se, come dicea, credo burlando meco, perché pensava certo che io ne caverei le mani, et a' dì suoi la vederebbe finita, o pur fusse qualche altro suo segreto, e, come sono stati tutti e' suoi, prudentissimo giudizio. L'effetto insomma fu che mi commesse che si alzassi i cavalli et il tetto più di quel che gl'era braccia tredici, e si facessi il palco di legname, e si mettessi d'oro, e dipignessi pien di storie a olio: impresa grandissima, importantissima e se non sopra l'animo forse sopra le forze mie; ma o che la fede di quel gran signore, e la buona fortuna che gl'ha in tutte le cose, mi facessi da più di quel che io sono, o che la speranza e l'occasione di sì bel suggetto mi agevolassi molto di facultà, o che (e questo dovevo preporre a ogn'altra cosa) la grazia di Dio mi somministrassi le forze, io la presi. E come si è veduto la condussi contra l'openione di molti in molto manco tempo, non solo che io avevo promesso e che meritava l'opera, ma neanche io, o pensassi mai sua eccellenza illustrissima. Ben mi penso che ne venissi maravigliata e sodisfattissima, perché venne fatta al maggior bisogno et alla più bella occasione che gli potessi occorrere, e questa fu, acciò si sappia la cagione di tanta sollecitudine, che avendo prescritto il maritaggio che si trattava dello illustrissimo Principe nostro con la figliuola del passato Imperatore, e sorella del presente, mi parve debito mio far ogni sforzo che in tempo et occasione di tanta festa, questa che era la principale stanza del palazzo, e dove si avevano a far gli atti più importanti, si potessi godere. E qui lascerò pensare non solo a chi è dell'arte, ma a chi è fuora ancora pur che abbi veduto la grandezza e varietà di quell'opera, la quale occasione terribilissima e grande, doverrà scusarmi se io non avessi per cotal fretta satisfatto pienamente in una varietà così grande di guerre in terra et in mare, espugnazioni di città, batterie, assalti, scaramuccie, edificazioni di città, consigli publici, cerimonie antiche e moderne, trionfi, e tante altre cose che non che altro gli schizzi, disegni e cartoni di tanta opera richiedevano lunghissimo tempo, per non dir nulla de' corpi ignudi, nei quali consiste la perfezzione delle nostre arti, né de' paesi dove furono fatte le dette cose dipinte, i quali ho tutti avuto a ritrarre di naturale in sul luogo e sito proprio, sì come ancora ho fatto molti capitani generali, soldati et altri capi che furono in quelle imprese che ho dipinto. Et insomma ardirò dire che ho avuto occasione di fare in detto palco quasi tutto quello che può credere pensiero e concetto d'uomo, varietà di corpi, visi, vestimenti, abigliamenti, celate, elmi, corazze, acconciature di capi diverse, cavalli, fornimenti, barde, artiglierie d'ogni sorte, navigazioni, tempeste, pioggie, nevate, e tante altre cose che io non basto a ricordarmene, ma chi vede quest'opera può agevolmente immaginarsi quante fatiche e quante vigilie abbia sopportato in fare con quanto studio ho potuto maggiore, circa quaranta storie grandi, et alcune di loro in quadri di braccia dieci per ogni verso, con figure grandissime, et in tutte le maniere. E se bene mi hanno alcuni de' giovani miei creati aiutato, mi hanno alcuna volta fatto commodo et alcuna no. Perciò che ho avuto tallora, come sanno essi, a rifare ogni cosa di mia mano, e tutta ricoprire la tavola, perché sia d'una medesima maniera. Le quali storie dico trattano delle cose di Fiorenza, dalla sua edificazione insino a oggi, la divisione in quartieri, le città sottoposte, nemici superati, città soggiogate, et in ultimo il principio e fine della guerra di Pisa, da uno de' lati, e dall'altro il principio similmente e fine di quella di Siena; una dal governo popolare condotta et ottenuta nello spazio di quattordici anni, e l'altra dal Duca in quattordici mesi, come si vedrà; oltre quello che è nel palco, e sarà nelle facciate, che sono ottanta braccia lunghe ciascuna et alte venti, che tuttavia vo dipignendo a fresco, per poi anco di ciò poter ragionare in detto Dialogo.

Il che tutto ho voluto dire in fin qui non per altro che per mostrare con quanta fatica mi sono adoperato et adopero tuttavia nelle cose dell'arte, e con quante giuste cagioni potrei scusarmi, dove in alcuna avessi (che credo avere in molte) mancato. Aggiugnerò anco, che quasi nel medesimo tempo, ebbi carico di disegnare tutti gl'archi da mostrarsi a sua eccellenza per determinare l'ordine tutto, e poi mettere gran parte in opera, e far finire il già detto grandissimo apparato, fatto in Fiorenza per le nozze del signor principe illustrissimo: di far fare con miei disegni in dieci quadri, alti braccia quattordici l'uno et undici larghi, tutte le piazze delle città principali del dominio, tirate in prospettiva, con i loro primi edificatori et insegne, oltre di far finire la testa di detta sala, cominciata dal Bandinello; di far fare nell'altra una scena, la maggiore e più ricca che fusse da altri fatta mai, e finalmente di condurre le scale principali di quel palazzo, i loro ricetti, et il cortile, e colonne in quel modo che sa ognuno e che si è detto di sopra, con quindici città dell'imperio e del Tiruolo, ritratte di naturale in tanti quadri.

Non è anche stato poco il tempo che ne' medesimi tempi ho messo in tirare innanzi, da che prima la cominciai, la loggia e grandissima fabrica de' magistrati, che volta sul fiume d'Arno, della quale non ho mai fatto murare altra cosa più difficile, né più pericolosa, per essere fondata in sul fiume e quasi in aria. Ma era necessaria, oltre all'altre cagioni, per appiccarvi, come si è fatto, il gran corridore, che attraversando il fiume, va dal palazzo ducale al palazzo e giardino de' Pitti. Il quale corridore fu condotto in cinque mesi con mio ordine e disegno ancor che sia opera da pensare che non potesse condursi in meno di cinque anni. Oltre che anco fu mia cura il far rifare, per le medesime nozze, et accrescere nella tribuna maggiore di Santo Spirito i nuovi ingegni della festa che già si faceva in San Felice in Piazza, il che tutto fu ridotto a quella perfezzione che si poteva maggiore, onde non si corrono più di que' pericoli che già si facevano in detta festa.