Ma per tornare onde mi sono partito, dico che in detta porta di bronzo sono storiette di basso rilievo della vita di S. Giovanni Battista, cioè dalla nascita insino alla morte, condotte felicemente e con molta diligenza. E sebbene pare a molti che in tali storie non apparisca quel bel disegno né quella grande arte che si suol porre nelle figure, non merita però Andrea se non lode grandissima, per essere stato il primo che ponesse mano a condurre perfettamente un'opera, che fu poi cagione che gl'altri che sono stati dopo di lui hanno fatto quanto di bello e di difficile e di buono nell'altre due porte e negli ornamenti di fuori al presente si vede. Questa opera fu posta alla porta di mezzo di quel tempio, e vi stette insino a che Lorenzo Ghiberti fece quella che vi è al presente: perché allora fu levata e posta dirimpetto alla Misericordia, dove ancora si trova. Non tacerò che Andrea fu aiutato in far questa porta da Nino suo figliuolo, che fu poi molto miglior maestro che il padre stato non era, e che fu finita del tutto l'anno 1339, cioè non solo pulita e rinetta del tutto, ma ancora dorata a fuoco; e credesi ch'ella fusse gettata di metallo da alcuni maestri viniziani molto esperti nel fondere i metalli; e di ciò si truova ricordo ne' libri dell'Arte de' mercatanti di Calimara guardiani dell'Opera di S. Giovanni.
Mentre si faceva la detta porta, fece Andrea non solo l'altre opere sopra dette, ma ancora molte altre, e particolarmente il modello del tempio di S. Giovanni di Pistoia, il quale fu fondato l'anno 1337, nel quale anno medesimo a dì XXV di gennaio fu trovato, nel cavare i fondamenti di questa chiesa, il corpo del beato Atto, stato vescovo di quella città, il quale era stato in quel luogo sepolto centotrentasette anni. L'architettura, dunque, di questo tempio, che è tondo, fu secondo quei tempi ragionevole.
È anco di mano d'Andrea nella detta città di Pistoia, nel tempio principale, una sepoltura di marmo piena nel corpo della cassa di figure piccole, con alcune altre di sopra maggiori. Nella quale sepoltura è il corpo riposto di messer Cino d'Angibolgi dottore di legge, e molto famoso litterato ne' tempi suoi, come testimonia messer Francesco Petrarca in quel sonetto:
Piangete, donne, e con voi pianga Amore,
e nel quarto capitolo del Trionfo d'Amore, dove dice:
Ecco Cin da Pistoia, Guitton d'Arezzo,
che di non esser primo par ch'ira aggia etc.
Si vede in questo sepolcro di mano d'Andrea in marmo il ritratto di esso messer Cino, che insegna a un numero di suoi scolari che gli sono intorno, con sì bella attitudine e maniera, che in que' tempi, sebbene oggi non sarebbe in pregio, dovette esser cosa maravigliosa.
Si servì anco d'Andrea nelle cose d'architettura Gualtieri duca d'Atene e tiranno de' Fiorentini, facendogli allargare la piazza, e, per fortificarsi nel palazzo, ferrare tutte le finestre da basso del primo piano, dov'è oggi la sala de' Dugento, con ferri quadri e gagliardi molto. Aggiunse ancora il detto Duca dirimpetto a S. Piero Scheraggio le mura a bozzi che sono accanto al palazzo, per accrescerlo; e nella grossezza del muro fece una scala segreta per salire e scendere occultamente, e nella detta facciata di bozzi fece da basso una porta grande, che serve oggi alla dogana, e sopra quella l'arme sua, e tutto col disegno e consiglio di Andrea; la quale arme sebbene fu fatta scarpellare dal magistrato de' Dodici che ebbe cura di spegnere ogni memoria di quel Duca, rimase nondimeno nello scudo quadro la forma del leone rampante con due code, come può veder chiunque la considera con diligenza. Per lo medesimo Duca fece Andrea molte torri intorno alle mura della città; e non pure diede principio magnifico alla porta a San Friano e la condusse al termine che si vede, ma fece ancora le mura degl'antiporti a tutte le porte della città, e le porte minori per commodità de' popoli. E perché il Duca aveva in animo di fare una fortezza sopra la costa di S. Giorgio, ne fece Andrea il modello, che poi non servì per non avere avuto la cosa principio, essendo stato cacciato il Duca l'anno 1343. Ben ebbe in gran parte effetto il disiderio che quel Duca avea di ridurre il palazzo in forma di un forte castello, poiché a quello che era stato fatto da principio fece così gran giunta, come quella è che oggi si vede, comprendendo nel circuito di quello le case de' Filipetri, la torre e le case degl'Amidei e Mancini, e quelle de' Bellalberti. E perché dato principio a sì gran fabrica et a grosse mura e barbacani, non aveva così in pronto tutto quello che bisognava, tenendo indietro la fabrica del Ponte Vecchio, che si lavorava con prestezza come cosa necessaria, si servì delle pietre conce e de' legnami ordinati per quello senza rispetto nessuno. E sebbene Taddeo Gaddi non era per aventura inferiore nelle cose d'architettura a Andrea Pisano, non volle di lui in queste fabriche, per esser fiorentino, servirsi il Duca, ma sì bene d'Andrea. Voleva il medesimo duca Gualtieri disfare S. Cicilia per vedere di palazzo la strada Romana e Mercato Nuovo, e parimente S. Piero Scheraggio per i suoi commodi, ma non ebbe di ciò fare licenza dal Papa. Intanto fu, come si è detto di sopra, cacciato a furia di popolo.
Meritò dunque Andrea per l'onorate fatiche di tanti anni non solamente premii grandissimi, ma e la civiltà ancora; perché fatto dalla Signoria cittadin fiorentino, gli furono dati uffizii e magistrati nella città, e l'opere sue furono in pregio e mentre che visse e dopo morte, non si trovando chi lo passasse nell'operare, infino a che non vennero Nicolò aretino, Jacopo della Quercia sanese, Donatello, Filippo di ser Brunellesco e Lorenzo Ghiberti, i quali condussono le sculture et altre opere che fecero, di maniera che conobbono i popoli in quanto errore eglino erano stati insino a quel tempo, avendo ritrovato questi con l'opere loro quella virtù che era molti e molti anni stata nascosa e non bene conosciuta dagl'uomini. Furono l'opere d'Andrea intorno agli anni di nostra salute milletrecentoquaranta.
Rimasero d'Andrea molti discepoli, e fra gli altri Tommaso pisano architetto e scultore, il quale finì la cappella di Camposanto, e pose la fine del campanile del Duomo, cioè quella ultima parte dove sono le campane: il quale Tommaso si crede che fusse figliuolo d'Andrea, trovandosi così scritto nella tavola dell'altar maggiore di S. Francesco di Pisa, nella quale è intagliato di mezzo rilievo una Nostra Donna e altri Santi fatti da lui, e sotto quelli il nome suo e di suo padre.
D'Andrea rimase Nino suo figliuolo che attese alla scultura, et in S. Maria Novella di Firenze fu la sua prima opera, perché vi finì di marmo una Nostra Donna stata cominciata dal padre, la quale è dentro alla porta del fianco a lato alla cappella de' Minerbetti. Andato poi a Pisa, fece nella Spina una Nostra Donna di marmo dal mezzo in su, che allatta Gesù Cristo fanciulletto involto in certi panni sottili, alla quale Madonna fu fatto fare da messer Iacopo Corbini un ornamento di marmo l'anno 1522, et un altro molto maggiore e più bello a un'altra Madonna, pur di marmo e intera, di mano del medesimo Nino, nell'attitudine della quale si vede essa Madre porgere con molta grazia una rosa al Figliuolo, che la piglia con maniera fanciullesca e tanto bella, che si può dire che Nino cominciasse veramente a cavare la durezza de' sassi e ridurgli alla vivezza delle carni, lustrandogli con un pulimento grandissimo. Questa figura è in mezzo a un S. Giovanni et a un S. Piero di marmo, che è nella testa il ritratto di Andrea di naturale. Fece ancora Nino per un altare di S. Caterina pur di Pisa due statue di marmo, cioè una Nostra Donna et un angelo che l'annunzia, lavorate, sì come l'altre cose sue, con tanta diligenza, che si può dire che le siano le migliori che fussino fatte in que' tempi. Sotto questa Madonna annunziata intagliò Nino nella basa queste parole: A dì primo di febraio 1370. E sotto l'angelo: Queste figure fece Nino figliuolo d'Andrea Pisano. Fece ancora altre opere in quella città et in Napoli, delle quali non accade far menzione.