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Costui, se bene non fu eccellente come Simone, seguitò nondimeno quanto poté il più la sua maniera et in sua compagnia fece molte cose a fresco in Santa Croce di Firenze, a' frati Predicatori in S. Caterina di Pisa la tavola dell'altar maggiore et in S. Paulo a ripa d'Arno, oltre a molte storie in fresco bellissime, la tavola a tempera che oggi è sopra l'altar maggiore, dentrovi una Nostra Donna, S. Piero e S. Paulo e S. Giovanni Battista et altri Santi; et in questa pose Lippo il suo nome. Dopo queste opere, lavorò da per sé una tavola a tempera a' frati di S. Agostino in S. Gimignano, e n'acquistò tanto nome che fu forzato mandar in Arezzo al vescovo Guido de' Tarlati una tavola con tre mezze figure, che è oggi nella cappella di S. Gregorio in Vescovado. Stando Simone in Fiorenza a lavorare, un suo cugino architetto ingegnoso, chiamato Neroccio, tolse l'anno 1332 a far sonar la campana grossa del Comun di Firenze, che per spazio di 17 anni nessuno l'aveva potuta far sonar senza dodici uomini che la tirassino. Costui dunque la bilicò di maniera che due la potevano muovere, e, mossa, un solo la sonava a distesa, ancora ch'ella pesasse più di sedicimila libbre; onde, oltre l'onore, ne riportò per sua mercede trecento fiorini d'oro, che fu gran pagamento in que' tempi. Ma per tornare ai nostri due Memmi sanesi, lavorò Lippo oltre alle cose dette, col disegno di Simone, una tavola a tempera che fu portata a Pistoia e messa sopra l'altar maggiore della chiesa di S. Francesco, che fu tenuta bellissima. In ultimo tornati a Siena, loro patria, cominciò Simone una grandissima opera colorita sopra il portone di Camolia, dentrovi la coronazione di Nostra Donna, con infinite figure, la quale, sovravenendogli una grandissima infirmità, rimase imperfetta, et egli vinto dalla gravezza di quella, passò di questa vita l'anno 1345 con grandissimo dolore di tutta la sua città e di Lippo suo fratello, il quale gli diede onorata sepoltura in S. Francesco; finì poi molte opere che Simone aveva lasciate imperfette, e ciò furono una Passione di Gesù Cristo in Ancona sopra l'altare maggiore di S. Nicola, nella quale finì Lippo quello che aveva Simone cominciato, imitando quella aveva fatta nel capitolo di Santo Spirito di Fiorenza, e finita del tutto il detto Simone. La quale opera sarebbe degna di più lunga vita che per avventura non le sarà conceduta; essendo in essa molte belle attitudini di cavalli e di soldati, che prontamente fanno isvarii gesti, pensando con maraviglia se hanno o no crucifisso il figliuol di Dio. Finì similmente in Ascesi nella chiesa di sotto di S. Francesco alcune figure che avea cominciato Simone all'altare di S. Lisabetta, il qual è all'entrar della porta che va nelle cappelle, facendovi la Nostra Donna, un San Lodovico re di Francia et altri Santi che sono in tutto otto figure insino alle ginocchia, ma buone e molto ben colorite. Avendo oltre ciò cominciato Simone nel refettorio maggiore di detto convento in testa della facciata, molte storiette et un crucifisso fatto a guisa d'albero di croce, si rimase imperfetto e disegnato, come insino a oggi si può vedere, di rossaccio col pennello in su l'arricciato; il quale modo di fare era il cartone che i nostri maestri vecchi facevano per lavorare in fresco per maggior brevità; conciò fusse che, avendo spartita tutta l'opera sopra l'arricciato, la disegnavano col pennello, ritraendo da un disegno piccolo tutto quello che volevano fare, con ringrandir a proporzione quanto avevano pensato di mettere in opera. Laonde, come questa così disegnata si vede et in altri luoghi molte altre, così molte altre ne sono che erano state dipinte, le quali, scrostatosi poi il lavoro, sono rimase così disegnate di rossaccio sopra l'arricciato. Ma tornando a Lippo, il quale disegnò ragionevolmente, come nel nostro libro si può veder, in un Romito che incrocicchiate le gambe legge, egli visse dopo Simone dodici anni, lavorando molte cose per tutta Italia e particolarmente due tavole in Santa Croce di Fiorenza. E perché le maniere di questi due fratelli si somigliano assai, si conosce l'una dall'altra a questo, che Simone s'iscriveva a' piè delle sue opere in questo modo: "Simonis Memmi Senensis opus". E Lippo, lasciando il proprio nome e non si curando di far un latino così alla grossa, in quest'altro modo: "Opus Memmi de Senis me fecit". Nella facciata del capitolo di S. Maria Novella furono ritratti di mano di Simone, oltre al Petrarca e Madonna Laura, come s'è detto di sopra, Cimabue, Lapo architetto, Arnolfo suo figliuolo e Simone stesso; e nella persona di quel Papa che è nella storia, Benedetto XI da Traviso frate predicatore; l'effigie del qual papa aveva molto prima recato a Simone Giotto suo maestro, quando tornò dalla corte di detto papa, che tenne la sedia in Avignone. Ritrasse ancora nel medesimo luogo il cardinale Nicola da Prato, allato al detto Papa, il quale cardinale in quel tempo era venuto a Firenze legato di detto pontifice, come racconta nelle sue storie Giovan Villani. Sopra la sepoltura di Simone fu posto questo epitaffio: "Simoni Memmio pictorum omnium omnis aetatis celeberrimo. Vixit annos LX menses II. dies III". Come si vede nel nostro libro detto di sopra, non fu Simone molt'eccellente nel disegno, ma ebbe invenzione dalla natura e si dilettò molto di ritrarre di naturale, et in ciò fu in tanto tenuto il miglior maestro de' suoi tempi, che 'l signor Pandolfo Malatesti lo mandò insino in Avignone a ritrarre Messer Francesco Petrarca, a richiesta del quale fece poi con tanta sua lode il ritratto di Madonna Laura.

IL FINE DELLA VITA DI SIMONE SANESE PITTORE

VITA DI TADDEO GADDI FIORENTINO PITTORE

È bella e veramente utile e lodevole opera premiare in ogni luogo largamente la virtù et onorare colui che l'ha, perché infiniti ingegni, che talvolta dormirebbono, eccitati da questo invito, si sforzano con ogni industria di non solamente apprendere quella, ma divenirvi dentro eccellenti, per solevarsi e venire a grado utile et onorevole, onde ne segua onore alla patria loro, et a se stessi gloria e ricchezze, e nobiltà a' discendenti loro, che da cotali principii sollevati, bene spesso divengono e ricchissimi e nobilissimi, nella guisa che per opera di Taddeo Gaddi pittor fecero i descendenti suoi. Il quale Taddeo di Gaddo Gaddi fiorentino, dopo la morte di Giotto, il quale l'aveva tenuto a battesimo e dopo la morte di Gaddo era stato suo maestro ventiquattro anni, come scrive Cennino di Drea Cennini pittore da Colle di Val d'Elsa, essendo rimaso nella pittura, per giudizio e per ingegno fra i primi dell'arte e maggiore di tutti i suoi condiscepoli, fece le sue prime opere, con facilità grande datagli da la natura più tosto che acquistata con arte, nella chiesa di Santa Croce in Firenze nella cappella della sagrestia, dove insieme con i suoi compagni, discepoli del morto Giotto, fece alcune storie di S. Maria Maddalena, con belle figure et abiti di que' tempi bellissimi e stravaganti. E nella capella de' Baroncelli e Bandini, dove già aveva lavorato Giotto a tempera la tavola, da per sé fece nel muro alcune storie in fresco di Nostra Donna, che furono tenute bellissime. Dipinse ancora sopra la porta della detta sagrestia la storia di Cristo, disputante coi Dottori nel tempio, che fu poi mezza rovinata, quando Cosimo Vecchio de' Medici fece il noviziato, la capella e 'l ricetto dinanzi alla sagrestia, per metter una cornice di pietra sopra la detta porta. Nella medesima chiesa dipinse a fresco la capella de' Bellacci e quella di Santo Andrea, allato a una delle tre di Giotto, nella quale fece quando Iesù Cristo tolse Andrea dalle reti e Pietro, e la crucifissione d'esso Apostolo, cosa veramente, et allora ch'ella fu finita e ne' giorni presenti ancora, commendata e lodata molto. Fece sopra la porta del fianco, sotto la sepoltura di Carlo Marsupini aretino, un Cristo morto con le Marie, lavorato a fresco, che fu lodatissimo. E sotto il tramezzo che divide la chiesa, a man sinistra, sopra il Crocifisso di Donato, dipinse a fresco una storia di S. Francesco, d'un miracolo che fece nel resuscitar un putto che era morto cadendo da un verone, coll'apparire in aria. Et in questa storia ritrasse Giotto suo maestro, Dante poeta e Guido Cavalcanti; altri dicano se stesso. Per la detta chiesa fece ancora in diversi luoghi molte figure, che si conoscono dai pittori alla maniera. Alla Compagnia del Tempio dipinse il tabernacolo che è in sul canto della via del Crocifisso, dentrovi un bellissimo Deposto di croce. Nel chiostro di Santo Spirito lavorò due storie negl'archetti allato al capitolo, nell'uno de' quali fece quando Giuda vende Cristo e nell'altro la Cena ultima che fece con gl'Apostoli; e nel medesimo convento, sopra la porta del refettorio, dipinse un Crucifisso et alcuni Santi che fanno conoscer, fra gl'altri che quivi lavorarono, che egli fu veramente imitator della maniera di Giotto, da lui avuta sempre in grandissima venerazione. Dipinse in S. Stefano del ponte Vecchio la tavola e la predella dell'altar maggiore con gran diligenza, e nell'oratorio di S. Michele in Orto lavorò molto bene in una tavola un Cristo morto, che dalle Marie è pianto e da Nicodemo riposto nella sepoltura molto divotamente. Nella chiesa de' frati de' Servi dipinse la capella di S. Nicolò di quegli dal palagio con istorie di quel santo, dove con ottimo giudizio e grazia, per una barca quivi dipinta, dimostrò chiaramente com'egli aveva intera notizia del tempestoso agitare del mare e della furia della fortuna, nella quale, mentre che i marinari votando la nave gittano le mercanzie, appare in aria S. Niccolò e gli libera da quel pericolo; la quale opera, per esser piacciuta e stata molto lodata, fu cagione che gli fu fatto dipignere la capella dell'altare maggiore di quella chiesa, dove fece in fresco alcune storie di Nostra Donna et a tempera in tavola medesimamente la Nostra Donna con molti santi lavorati vivamente. Parimente, nella predella di detta tavola fece con figure piccole alcune altre storie di Nostra Donna, delle quali non accade far particolar menzione, poiché l'anno 1467 fu rovinato ogni cosa, quando Lodovico Marchese di Mantova fece in quel luogo la tribuna che v'è oggi, col disegno di Leon Battista Alberti, et il coro de' frati, facendo portar la tavola nel capitolo di quel convento, nel refettorio del quale fece da sommo, sopra le spalliere di legname, l'ultima Cena di Gesù Cristo con gl'Apostoli, e sopra quella un Crucifisso con molti santi. Avendo posto a quest'opere Taddeo Gaddi l'ultimo fine, fu condotto a Pisa dove in San Francesco, per Gherardo e Buonacorso Gambacorti, fece la capella maggiore in fresco molto ben colorita, con molte figure e storie di quel Santo e di S. Andrea e S. Nicolò. Nella volta poi e nella facciata è Papa Onorio che conferma la Regola, dove è ritratto Taddeo di naturale in proffilo con un capuccio avolto sopra il capo, et a' piedi di quella storia sono scritte queste parole: