Ischermo di savere e di ricchezza,
di nobiltate ancora e di prodezza
vale niente ai colpi di costei,
con alcune altre parole, che malamente s'intendono. Di sotto poi, nell'ornamento di questa storia, sono nove Angeli, che tengono in alcune accomodate scritte, motti volgari e latini, posti in quel luogo da basso, perché in alto guastavano la storia; et il non gli porre nell'opera, pareva mal fatto all'auttore, che gli reputava bellissimi, e forse erano ai gusti di quell'età; da noi si lasciano la maggior parte per non fastidire altrui con simili cose impertinenti e poco dilettevoli, senzaché, essendo il più di cotali brevi cancellati, il rimanente viene a restare poco meno che imperfetto. Facendo dopo queste cose l'Orgagna il Giudizio, collocò Gesù Cristo in alto sopra le nuvole in mezzo ai dodici suoi Apostoli, [a] giudicare i vivi et i morti, mostrando con bell'arte e molto vivamente, da un lato i dolorosi affetti de' dannati, che, piangendo, sono da furiosi Demonii strascinati all'inferno; e dall'altro la letizia et il giubilo de' buoni, che da una squadra d'Angeli guidati da Michele Arcangelo sono, come eletti, tutti festosi tirati alla parte destra de' beati. Et è un peccato veramente che, per mancamento di scrittori, in tanta moltitudine d'uomini togati, cavallieri et altri signori che vi sono effigiati e ritratti dal naturale, come si vede di nessuno o di pochissimi, si sappiano i nomi o chi furono. Ben si dice che un papa, che vi si vede, è Innocenzio Quarto, amico di Manfredi. Dopo quest'opera et alcune sculture di marmo fatte con suo molto onore nella Madonna, ch'è in su la coscia del ponte Vecchio, lasciando Bernardo suo fratello a lavorare in Camposanto da per sé un Inferno, secondo che è descritto da Dante, che fu poi l'anno 1530 guasto e racconcio dal Sollazzino, pittore de' tempi nostri, se ne tornò Andrea a Fiorenza, dove nel mezzo della chiesa di Santa Croce a man destra, in una grandissima facciata, dipinse a fresco le medesime cose che dipinse nel Camposanto di Pisa, in tre quadri simili, eccetto però la storia dove San Macario mostra a' tre re la miseria umana; e la vita de' romiti, che servono a Dio in su quel monte. Facendo dunque tutto il resto dell'opera, lavorò in questa con miglior disegno e più diligenza, che a Pisa fatto non avea, tenendo nondimeno quasi il medesimo modo nell'invenzioni, nelle maniere, nelle scritte e nel rimanente senza mutare altro che i ritratti di naturale: perché quelli di quest'opera furono parte d'amici suoi carissimi, quali mise in Paradiso e parte di poco amici che furono da lui posti nell'Inferno. Fra i buoni si vede in profilo col regno in capo, ritratto di naturale Papa Clemente Sesto, che al tempo suo ridusse il Giubileo dai cento ai cinquanta anni, e che fu amico de' Fiorentini, et ebbe delle sue pitture che gli furon carissime; fra i medesimi è maestro Dino del Garbo, medico allora eccellentissimo, vestito come allora usavano i dottori, e con una berretta rossa in capo foderata di vai, e tenuto per mano da un Angelo, con altri assai ritratti, che non si riconoscono. Fra i dannati ritrasse il Guardi, messo del Comune di Firenze stra[s]cinato dal Diavolo con un oncino, e si conosce a' tre gigli rossi, che ha in una beretta bianca, secondo che allora portavano i messi et altre simili brigate; e questo, perché una volta lo pegnorò; vi ritrasse ancora il notaio et il giudice, che in quella causa gli furono contrari. Appresso al Guardi è Cecco da Ascoli, famoso mago di que' tempi. E poco di sopra, cioè nel mezzo, è un frate ipocrito, che, uscito d'una sepoltura, si vuole furtivamente mettere fra i buoni, mentre un Angelo lo scuopre e lo spigne fra i dannati. Avendo Andrea, oltr'a Bernardo, un fratello chiamato Iacopo che attendeva ma con poco profitto alla scultura, nel fare per lui qualche volta disegni di rilievo e di terra, gli venne voglia di fare qualche cosa di marmo e vedere se si ricordava de' principii di quell'arte in che aveva, come si disse, in Pisa lavorato; e così, messosi con più studio alla pruova, vi fece di sorte acquisto, che poi se ne servì, come si dirà, onoratamente. Dopo si diede con tutte le forze agli studi dell'architettura, pensando, quando che fusse, avere a servirsene. Né lo fallì il pensiero, perché l'anno 1355, avendo il Comune di Firenze compero appresso al palazzo alcune case di cittadini, per allargarsi e fare maggior piazza, e per fare ancora un luogo dove si potessero ne' tempi piovosi e di verno ritirare i cittadini e fare quelle cose al coperto che si facevano in su la ringhiera quando il mal tempo non impediva, feciono fare molti disegni per fare una magnifica e grandissima loggia vicina al palazzo a questo effetto, et insieme la Zecca, dove si batte la moneta; fra i quali disegni fatti dai migliori maestri della città, essendo approvato universalmente et accettato quello dell'Orgagna, come maggiore, più bello e più magnifico di tutti gl'altri, per partito de' signori e del Comune fu, secondo l'ordine di lui, cominciata la loggia grande di piazza sopra i fondamenti fatti al tempo del duca d'Atene, e tirata inanzi con molta diligenza di pietre quadre benissimo commesse. E, quello che fu cosa nuova in que' tempi, furono gl'archi delle volte fatti non più in quarto acuto, come si era fino a quell'ora costumato, ma con nuovo e lodato modo, girati in mezzi tondi, con molta grazia e bellezza di tanta fabrica, che fu in poco tempo, per ordine d'Andrea, condotta al suo fine, e se si fusse avuto considerazione di metterla allato a Santo Romolo e farle voltare le spalle a tramontana, il che forse non fecero per averla commoda alla porta del palazzo, ella sarebbe stata, com'è bellissima di lavoro, utilissima fabrica a tutta la città, là dove per lo gran vento la vernata non vi si può stare.
Fece in questa loggia l'Orgagna fra gl'archi della facciata dinanzi, in certi ornamenti di sua mano, sette figure di marmo di mezzo rilievo, per le sette virtù teologiche e cardinali, così belle che, accompagnando tutta l'opera, lo fecero conoscere per non men buono scultore che pittore et architetto, senzaché fu in tutte le sue azzioni faceto, costumato et amabile uomo quanto mai fusse altro par suo. E perché non lasciava mai, per lo studio d'una delle tre sue professioni, quello dell'altra, mentre si fabricava la loggia fece una tavola a tempera, con molte figure grandi e la predella di figure piccole, per quella cappella degli Strozzi dove già con Bernardo suo fratello aveva fatto alcune cose a fresco; nella quale tavola, parendogli ch'ella potesse fare migliore testimonianza della sua professione che i lavori fatti a fresco non potevano, vi scrisse il suo nome con queste parole: "Anno Domini MCCCLVII. Andreas Cionis de Florentia me pinxit".
Compiuta quest'opera, fece alcune pitture pur in tavola, che furono mandate al Papa in Avignone, le quali ancora sono nella chiesa catedrale di quella città. Poco poi, avendo gl'uomini della Compagnia d'Or San Michele messi insieme molti danari di limosine e beni stati donati a quella Madonna per la mortalità del 1348, risolverno volerle fare intorno una capella o vero tabernacolo non solo di marmi in tutti i modi intagliati, e d'altre pietre di pregio ornatissimo e ricco, ma di musaico ancora e d'ornamenti di bronzo, quanto più desiderare si potesse, intanto che per opera e per materia avanzasse ogni altro lavoro insin a quel dì per tanta grandezza stato fabricato; perciò, dato di tutto carico all'Orgagna come al più eccellente di quell'età, egli fece tanti disegni che finalmente uno ne piacque a chi governava, come migliore di tutti gl'altri; onde alogato il lavoro a lui, si rimisero al tutto nel giudizio e consiglio suo, per che egli, dato a diversi maestri d'intaglio, avuti di più paesi, a fare tutte l'altre cose, attese con il suo fratello a condurre tutte le figure dell'opera; e finito il tutto le fece murare e commettere insieme molto consideratamente, senza calcina, con spranghe di rame impiombate, acciò che i marmi lustranti e puliti non si macchiassono; la qual cosa gli riuscì tanto bene, con utile et onore di quelli che sono stati dopo lui, che a chi considera quell'opera, pare, mediante cotale unione e commettiture trovate dall'Orgagna, che tutta la capella sia stata cavata d'un pezzo di marmo solo. E ancora ch'ella sia di maniera tedesca, in quel genere ha tanta grazia e proporzione, ch'ella tiene il primo luogo fra le cose di que' tempi, essendo massimamente il suo componimento di figure grandi e piccole e d'Angeli e Profeti di mezzo rilievo intorno alla Madonna, benissimo condotti, e maraviglioso ancora il getto de' ricignimenti di bronzo, diligentemente puliti, che girando intorno a tutta l'opera, la rachiuggono e serrano insieme, di maniera ch'essa ne rimane non meno gagliarda e forte che in tutte l'altre parti bellissima. Ma quanto egli si affaticasse per mostrare in quell'età grossa la sottigliezza del suo ingegno, si vede in una storia grande di mezzo rilievo nella parte di dietro del detto tabernacolo, dove in figure d'un braccio e mezzo l'una, fece i dodici Apostoli, che in alto guardano la Madonna mentre in una mandorla circondata d'Angeli saglie in cielo. In uno de' quali Apostoli ritrasse di marmo se stesso vecchio com'era, con la barba rasa, col capuccio avvolto al capo, e col viso piatto e tondo, come di sopra nel suo ritratto, cavato da quello, si vede. Oltre a ciò scrisse da basso nel marmo queste parole: "Andreas Cionis Pictor Florentinus Oratorii Archimagister extitit huius. MCCCLIX".