Trovasi che l'edifizio di questa loggia e del tabernacolo di marmo con tutto il magisterio costarono novantaseimila fiorini d'oro, che furono molto bene spesi, perciò che egli è per l'architettura, per le sculture et altri ornamenti così bello come qual si vogl'altro di que' tempi e tale, che per le cose fattevi da lui è stato e sarà sempre vivo e grande il nome d'Andrea Orgagna, il quale usò nelle sue pitture dire: fece Andrea di Cione scultore: e nelle sculture: fece Andrea di Cione pittore, volendo che la pittura si sapesse nella scultura, e la scultura nella pittura. Sono per tutto Firenze molte tavole fatte da lui, che parte si conoscono al nome, come una tavola in San Romeo, e parte alla maniera, come una che è nel capitolo del monasterio degl'Angeli. Alcune che ne lasciò imperfette furono finite da Bernardo suo fratello, che gli sopravisse, non però molt'anni. E perché, come si è detto, si dilettò Andrea di far versi et altre poesie, egli già vecchio, scrisse alcuni sonetti al Burchiello allora giovanetto. Finalmente, essendo d'anni sessanta, finì il corso di sua vita nel 1389, e fu portato dalle sue case, che erano nella via vecchia de' Corazzai, alla sepoltura onoratamente.
Furono nei medesimi tempi dell'Orgagna molti valent'uomini nella scultura e nella architettura, de' quali non si sanno i nomi, ma si veggono l'opere, che non sono se non da lodare e comendare molto; opera de' quali è non solamente il monasterio della Certosa di Fiorenza fatta a spese della nobile famiglia degl'Acciaiuoli, e particolarmente di Messer Nicola, gran siniscalco del re di Napoli, ma le sepolture ancora del medesimo, dove egl'è ritratto di pietra, e quella del padre e d'una sorella, sopra la lapide della quale, che è di marmo, furono amendue ritratti molto bene dal naturale l'anno 1366. Vi si vede ancora di mano de' medesimi la sepoltura di Messer Lorenzo, figliuolo di detto Nicola, il quale morto a Napoli, fu recato in Fiorenza, et in quella, con onoratissima pompa d'essequie, riposto. Parimente nella sepoltura del cardinale Santa Croce della medesima famiglia, ch'è in un coro fatto allora di nuovo dinanzi all'altar maggiore, è il suo ritratto in una lapide di marmo molto ben fatto l'anno 1390.
Discepoli d'Andrea nella pittura furono Bernardo Nello di Giovanni Falconi pisano, che lavorò molte tavole nel Duomo di Pisa, e Tommaso di Marco fiorentino, che fece oltr'a molte altre cose, l'anno 1392, una tavola che è in S. Antonio di Pisa, appoggiata al tramezzo della chiesa.
Dopo la morte d'Andrea, Iacopo suo fratello che attendeva alla scultura, come si è detto, et all'architettura, fu adoperato l'anno milletrecentoventiotto, quando si fondò e fece la torre e porta di San Piero Gattolini; e si dice che furono di sua mano i quattro marzocchi di pietra che furon messi sopra i quattro cantoni del palazzo principale di Firenze, tutti messi d'oro. La quale opera fu biasimata assai per essersi messo in que' luoghi senza proposito più grave peso che per avventura non si doveva, et a molti sarebbe piaciuto che i detti marzocchi si fussono più tosto fatti di piastre di rame, e dentro voti e poi dorati a fuoco, posti nel medesimo luogo; perché sarebbono stati molto meno gravi e più durabili. Dicesi anco che è di mano del medesimo il cavallo che è in Santa Maria del Fiore di rilievo tondo e dorato, sopra la porta che va alla Compagnia di San Zanobi, il quale si crede che vi sia per memoria di Piero Farnese, capitano de' Fiorentini; tuttavia non sapendone altro non l'affermerei. Nei medesimi tempi Mariotto, nipote d'Andrea, fece in Fiorenza, a fresco, il Paradiso di S. Michel Bisdomini nella via de' Servi, e la tavola d'una Nunziata che è sopra l'altare; e per Mona Cecilia de' Boscoli un'altra tavola con molte figure, posta nella medesima chiesa presso alla porta. Ma fra tutti i discepoli dell'Orgagna niuno fu più eccellente di Francesco Traini, il quale fece per un signore di casa Coscia, che è sotterrato in Pisa nella capella di S. Domenico, della chiesa di S. Caterina, in una tavola in campo d'oro, un San Domenico ritto, di braccia due e mezzo, con sei storie della vita sua, che lo mettono in mezzo, molto pronte e vivaci e ben colorite; e nella medesima chiesa fece nella capella di S. Tommaso d'Aquino una tavola a tempera con invenzione capricciosa, che è molto lodata, ponendovi dentro detto S. Tommaso a seder ritratto di naturale, dico di naturale perché i frati di quel luogo fecero venire un'immagine di lui, dalla Badia di Fossa Nuova, dove egl'era morto l'anno 1323. Da basso intorno al S. Tommaso, collocato a sedere in aria con alcuni libri in mano, illuminanti con i razzi e splendori loro il popolo cristiano, stanno inginocchioni un gran numero di dottori e cherici d'ogni sorte, vescovi, cardinali e papi, fra i quali è il ritratto di papa Urbano Sesto. Sotto i piedi di S. Tommaso stanno Sabello, Arrio et Averrois et altri eretici e filosofi con i loro libri tutti stracciati. E la detta figura di S. Tommaso è messa in mezzo da Platone che le mostra il Timeo, e d'Aristotile che le mostra l'Etica. Di sopra un Gesù Cristo, nel medesimo modo in aria, in mezzo ai quattro Evangelisti, benedice S. Tommaso, e fa sembiante di mandargli sopra lo Spirito Santo, riempiendolo d'esso e della sua grazzia. La quale opera finita che fu, acquistò grandissimo nome e lodi a Francesco Traini, avendo egli nel lavorarla avanzato il suo maestro Andrea nel colorito, nell'unione e nell'invenzione di gran lunga. Il quale Andrea fu molto diligente ne' suoi disegni, come nel nostro libro si può vedere.
FINE DELLA VITA D'ANDREA ORGAGNA
VITA DI TOMMASO FIORENTINO PITTORE DETTO GIOTTINO
Quando, fra l'altre arti, quelle che procedono dal disegno si pigliano in gara e gl'artefici lavorano a concorrenza, senza dubbio, essercitandosi i buoni ingegni con molto studio, truovano ogni giorno nuove cose per sodisfare ai varii gusti degl'uomini; e parlando per ora della pittura, alcuni, ponendo in opera cose oscure et inusitate e mostrando in quelle la difficultà del fare, fanno nell'ombre la chiarezza del loro ingegno conoscere; altri, lavorando le dolci e delicate, pensando quelle dover essere più grate agl'occhi di chi le mira per avere più rilievo, tirano agevolmente a sé gl'animi della maggior parte degl'uomini; altri poi, dipingendo unitamente e con abagliare i colori, ribattendo a' suoi luoghi i lumi e l'ombre delle figure, meritano grandissima lode e mostrano con bella destrezza d'animo i discorsi dell'intelletto, come con dolce maniera mostrò sempre nell'opere sue Tommaso di Stefano, detto Giottino, il quale, essendo nato l'anno 1324, dopo l'avere imparato da suo padre i primi principii della pittura, si resolvé, essendo ancor giovanetto, volere, in quanto potesse con assiduo studio, essere immitatore della maniera di Giotto più tosto che di quella di Stefano suo padre; la qual cosa gli venne così ben fatta che ne cavò, oltre alla maniera, che fu molto più bella di quella del suo maestro, il sopra nome di Giottino che non gli cascò mai; anzi fu parere di molti, e per la maniera e per lo nome, i quali però furono in grandissimo errore, che fusse figliuolo di Giotto; ma in vero non è così, essendo cosa certa, o per dir meglio credenza (non potendosi così fatte cose affermare da ognuno), che fu figliuolo di Stefano pittore fiorentino. Fu dunque costui nella pittura sì diligente e di quella tanto amorevole che, se bene molte opere di lui non si ritrovano, quelle nondimeno che trovate si sono erano buone e di bella maniera, perciò che i panni, i capegli, le barbe et ogni altro suo lavoro furono fatti et uniti con tanta morbidezza e diligenza, che si vede ch'egli aggiunse senza dubbio l'unione a quest'arte e l'ebbe molto più perfetta che Giotto suo maestro e Stefano suo padre avuta non aveano. Dipinse Giottino nella sua giovanezza in S. Stefano al ponte Vecchio di Firenze una capella allato alla porta del fianco, che se bene è oggi molto guasta dalla umidità, in quel poco che è rimasto si vede la destrezza e l'ingegno dell'artefice; fece poi al canto alla Macine ne' frati Ermini, i Santi Cosimo e Damiano, che spenti dal tempo ancor essi oggi poco si veggono. E lavorò in fresco una capella nel vecchio S. Spirito di detta città, che poi nell'incendio di quel tempio rovinò; et in fresco sopra la porta principale della chiesa la storia della missione dello Spirito Santo, e su la piazza di detta chiesa, per ire al canto alla Cuculia, sul cantone del convento, quel tabernacolo che ancora vi si vede con la Nostra Donna et altri Santi d'attorno che tirano, e nelle teste e nell'altre parti, forte alla maniera moderna, perché cercò variare e cangiare le carnagioni et accompagnare nella varietà de' colori e ne' panni con grazia e giudizio tutte le figure. Costui medesimamente lavorò in S. Croce nella capella di S. Silvestro l'istorie di Costantino con molta diligenza, avendo bellissime considerazioni nei gesti delle figure, e poi dietro a un ornamento di marmo, fatto per la sepoltura di Messer Bettino de' Bardi, uomo stato in quel tempo in onorati gradi di milizia, fece esso Messer Bettino di naturale armato che esce d'un sepolcro ginocchioni, chiamato col suono delle trombe del Giudizio da due Angeli che in aria accompagnano un Cristo nelle nuvole molto ben fatto. Il medesimo in S. Pancrazio fece, all'entrar della porta a man ritta, un Cristo che porta la croce et alcuni Santi appresso, che hanno espressamente la maniera di Giotto. Era in S. Gallo, il qual convento era fuor della porta che si chiama dal suo nome e fu rovinato per l'assedio, in un chiostro dipinta a fresco una Pietà, della quale n'è copia in S. Pancrazio già detto, in un pilastro accanto alla capella maggiore.