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Furono discepoli di Giottino, il quale lasciò più fama che facultà, Giovanni Tossicani d'Arezzo, Michelino, Giovanni dal Ponte e Lippo, i quali furono assai ragionevoli maestri di quest'arte, ma più di tutti Giovanni Tossicani, il quale fece, dopo Tommaso, di quella stessa maniera di lui molte opere per tutta Toscana, e particolarmente nella Pieve d'Arezzo la capella di S. Maria Madalena de' Tuccerelli, e nella Pieve del castel d'Empoli in un pilastro un S. Iacopo; nel Duomo di Pisa ancora lavorò alcune tavole che poi sono state levate per dar luogo alle moderne. L'ultima opera che costui fece fu, in una capella del Vescovado d'Arezzo, per la contessa Giovanna moglie di Tarlato da Pietramala, una Nunziata bellissima e S. Iacopo e S. Filippo; la qual'opera, per essere la parte di dietro del muro volta a tramontana, era poco meno che guasta affatto dall'umidità quando rifece la Nunziata maestro Agnolo di Lorenzo d'Arezzo, e poco poi Giorgio Vasari, ancora giovanetto, i santi Iacopo e Filippo, con suo grand'utile, avendo molto imparato, allora che non aveva commodo d'altri maestri, in considerare il modo di fare di Giovanni e l'ombre et i colori di quell'opera così guasta com'era. In questa capella si leggono ancora, in memoria della contessa che la fece fare e dipignere, in uno epitaffio di marmo queste parole: "Anno Domini 1335. De mense Augusti, hanc capellam constitui fecit Nobilis Domina Comitissa Ioanna de Sancta Flora, uxor Nobilis Militis Domini Tarlati de Petra Mala ad honorem beatae Mariae Virginis".

Dell'opere degl'altri discepoli di Giottino non si fa menzione, perché furono cose ordinarie e poco somiglianti a quelle del maestro e di Giovanni Toscani loro condiscepolo. Disegnò Tommaso benissimo, come in alcune carte di sua mano, disegnate con molta diligenza, si può nel nostro libro vedere.

FINE DELLA VITA DI TOMMASO DETTO GIOTTINO

VITA DI GIOVANNI DA PONTE PITTORE FIORENTINO

Se bene non è vero il proverbio antico, né da fidarsene molto, che "a goditore non manca mai roba", ma sì bene in contrario è verissimo, ché chi non vive ordinatamente nel grado suo, in ultimo stentando vive e muore miseramente, si vede nondimeno che la fortuna aiuta alcuna volta più tosto coloro che gettano senza ritegno, che coloro che sono in tutte le cose assegnati e ratenuti. E quando manca il favore della fortuna suplisce molte volte al difetto di lei e del mal governo degli uomini, la morte, sopravenendo quando apunto cominciarebbono cotali uomini, con infinita noia, a conoscere quanto sia misera cosa avere sguazzato da giovane e stentare in vecchiezza, poveramente vivendo e faticando; come sarebbe avvenuto a Giovanni da Santo Stefano a Ponte di Fiorenza, se dopo avere consumato il patrimonio, molti guadagni che gli fece venire nelle mani più tosto la fortuna che i meriti, e alcune eredità che gli vennero da non pensato luogo non avesse finito in un medesimo tempo il corso della vita e tutte le facultà. Costui dunque che fu discepolo di Bonamico Buffalmacco e l'immitò più nell'attendere alle commodità del mondo che nel cercare di farsi valente pittore, essendo nato l'anno 1307 e giovanetto stato discepolo di Buffalmacco, fece le sue prime opere nella Pieve d'Empoli a fresco, nella capella di San Lorenzo, dipignendovi molte storie della vita d'esso Santo, con tanta diligenza, che sperandosi dopo tanto principio miglior mezzo, fu condotto l'anno 1344 in Arezzo, dove in San Francesco lavorò in una cappella l'assunta di Nostra Donna; e poco poi, essendo in qualche credito in quella città per carestia d'altri pittori, dipinse nella Pieve la capella di Santo Onofrio e quella di Santo Antonio, che oggi dalla umidità è guasta. Fece ancora alcune altre pitture, che erano in Santa Iustina et in S. Matteo, che con le dette chiese furono mandate per terra, nel far fortificare il duca Cosimo quella città, quando in quel luogo a punto fu trovato a' pie' della coscia d'un ponte antico, dove allato a detta Santa Giustina entrava il fiume nella città, una testa d'Appio Cieco et una del figliuolo, di marmo bellissime, con uno epitaffio antico e similmente bellissimo, che oggi sono in guardaroba di detto signor Duca.

Essendo poi tornato Giovanni a Firenze in quel tempo che si finì di serrare l'arco di mezzo del ponte a S. Trinita, dipinse in una cappella fatta sopra una pila et intitolata a S. Michelagnolo, dentro e fuori molte figure, e particolarmente tutta la facciata dinanzi; la qual capella insieme col ponte dal diluvio dell'anno 1557 fu portata via. Mediante le quali opere vogliono alcuni, oltre a quello che si è detto di lui nel principio, che fusse poi sempre chiamato Giovanni dal Ponte. In Pisa ancora l'anno 1355 fece in San Paulo a Ripa d'Arno alcune storie a fresco nella capella maggiore dietro all'altare, oggi tutte guaste dall'umido e dal tempo. È parimente opera di Giovanni in Santa Trinita di Fiorenza la capella degli Scali e un'altra, che è allato a quella, e una delle storie di San Paulo accanto alla capella maggiore dov'è il sepolcro di maestro Paulo strolago. In Santo Stefano al Ponte Vecchio fece una tavola et altre pitture a tempera et in fresco per Fiorenza e fuori, che gli diedero credito assai. Contentò costui gl'amici suoi, ma più nei piaceri che nell'opere, e fu amico delle persone leterate, e particolarmente di tutti quelli che per venire eccellenti nella sua professione frequentavano gli studii di quella, e se bene non aveva cercato d'avere in sé quello che desiderava in altrui, non restava però di confortar gli altri a virtuosamente operare. Essendo finalmente Giovanni vivuto LIX anni, di mal di petto in pochi giorni uscì di questa vita, nella quale poco più che dimorato fusse, averebbe patito molti incommodi, essendogli appena rimaso tanto in casa che bastasse a dargli onesta sepoltura in Santo Stefano dal Ponte Vecchio. Furono l'opere sue intorno al MCCCLXV.

Nel nostro libro de' disegni di diversi, antichi e moderni, è un disegno d'acquerello di mano di Giovanni, dove è un San Giorgio a cavallo che occide il serpente et un'ossatura di morto che fanno fede del modo e maniera che aveva costui nel disegnare.

IL FINE DELLA VITA DI GIOVANNI

VITA D'AGNOLO GADDI PITTOR FIORENTINO

Di quanto onore e utile sia l'essere eccellente in un'arte nobile, manifestamente si vide nella virtù e nel governo di Taddeo Gaddi, il quale, essendosi procacciato con la industria e fatiche sue oltre al nome buonissime faccultà, lasciò in modo accomodate le cose della famiglia sua, quando passò all'altra vita, che agevolmente potettono Agnolo e Giovanni suoi figliuoli dar poi principio a grandissime ricchezze et all'esaltazione di casa Gaddi, oggi in Fiorenza nobilissima et in tutta la cristianità molto reputata. E di vero è ben stato ragionevole, avendo ornato Gaddo, Taddeo, Agnolo e Giovanni colla virtù e con l'arte loro molte onorate chiese, che siano poi stati i loro successori dalla S. Chiesa Romana e da' sommi Pontefici di quella, ornati delle maggiori dignità ecclesiastiche.

Taddeo dunque, del quale avemo di sopra scritto la vita, lasciò Agnolo e Giovanni suoi figliuoli in compagnia di molti suoi discepoli, sperando che particolarmente Agnolo dovesse nella pittura eccellentissimo divenire; ma egli, che nella sua giovanezza mostrò volere di gran lunga superare il padre, non riuscì altramente secondo l'openione che già era stata di lui conceputa, perciò che, essendo nato e alevato negl'agi, che sono molte volte d'impedimento agli studii, fu dato più ai traffichi e alle mercanzie che all'arte della pittura. Il che non ci dee né nuova né strana cosa parere, attraversandosi quasi sempre l'avarizia a molti ingegni, che ascenderebbono al colmo delle virtù, se il desiderio del guadagno negl'anni primi e migliori non impedisse loro il viaggio. Lavorò Agnolo nella sua giovanezza in Fiorenza, in S. Iacopo tra' fossi, di figure poco più d'un braccio un'istorietta di Cristo quando resuscitò Lazero quatriduano, dove, immaginatosi la corruzzione di quel corpo stato morto tre dì, fece le fasce che lo tenevano legato macchiate dal fracido della carne, e intorno agl'occhi certi lividi e giallicci della carne, tra la viva e la morta, molto consideratamente; non senza stupore degl'Apostoli e d'altre figure, i quali con attitudini varie e belle, e con i panni al naso per non sentire il puzzo di quel corpo corrotto, mostrano non meno timore e spavento per cotale maravigliosa novità, che allegrezza e contento Maria e Marta che si veggono tornare la vita nel corpo morto del fratello; la quale opera di tanta bontà fu giudicata, che molti stimarono la virtù d'Agnolo dovere trapassare tutti i discepoli di Taddeo e ancora lui stesso, ma il fatto passò altramente perché, come la volontà nella giovanezza vince ogni difficultà per acquistare fama, così molte volte una certa stracurataggine che seco portano gl'anni fa che in cambio d'andare inanzi si torna indietro, come fece Agnolo; al quale per così gran saggio della virtù sua essendo poi stato allogato dalla famiglia d'i Soderini, sperandone gran cose, la capella maggiore del Carmine, egli vi dipinse dentro tutta la vita di Nostra Donna, tanto men bene che non avea fatto la ressurrezione di Lazzero, che a ognuno fece conoscere avere poca voglia d'attendere con tutto lo studio all'arte della pittura; perciò che in tutta quella così grand'opera, non è altro di buono che una storia, dove intorno alla Nostra Donna in una stanza sono molte fanciulle, che come hanno diversi gl'abiti e l'acconciature del capo secondo che era diverso l'uso di que' tempi, così fanno diversi essercizii: questa fila, quella cuce, quell'altra incanna, una tesse et altre altri lavori assai bene da Agnolo considerati e condotti.