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Giovanni da Asciano, che fu creato del Berna, condusse a perfezzione il rimanente di quell'opera, e fece in Siena nello spedale della Scala alcune pitture e così in Fiorenza nelle case vecchie de' Medici alcun'altre che gli diedero nome assai. Furono l'opere del Berna sanese nel 1381. E perché, oltre a quello che si è detto, disegnò il Berna assai commodamente e fu il primo che cominciasse a ritrarre bene gl'animali, come fa fede una carta di sua mano che è nel nostro libro, tutta piena di fiere di diverse ragioni, egli merita d'essere sommamente lodato e che il suo nome sia onorato dagl'artefici. Fu anche suo discepolo Luca di Tomè sanese, il quale dipinse in Siena e per tutta Toscana molte opere, e particolarmente la tavola e la capella che è in S. Domenico d'Arezzo della famiglia de' Dragomanni, la quale capella, che è d'architettura tedesca, fu molto bene ornata, mediante detta tavola e il lavoro che vi è in fresco, dalle mani e dal giudizio e ingegno di Luca sanese.

FINE DELLA VITA DEL BERNA PITTORE SANESE

VITA DI DUCCIO PITTORE SANESE

Senza dubbio coloro che sono inventori d'alcuna cosa notabile hanno grandissima parte nelle penne di chi scrive l'istorie, e ciò avviene perché sono più osservate e con maggiore maraviglia tenute le prime invenzioni, per lo diletto che seco porta la novità della cosa, che quanti miglioramenti si fanno poi, da qualunque si sia, nelle cose che si riducono all'ultima perfezzione; atteso ché se mai a niuna cosa non si desse principio, non crescerebbono di miglioramento le parti di mezzo e non verrebbe il fine ottimo e di bellezza maravigliosa. Meritò dunque Duccio, pittore sanese e molto stimato, portare il vanto di quelli che dopo lui sono stati molti anni, avendo nei pavimenti del duomo di Siena dato principio di marmo ai rimessi delle figure di chiaro e scuro, nelle quali oggi i moderni artefici hanno fatto le maraviglie che in essi si veggono. Attese costui alla immitazione della maniera vecchia, e con giudizio sanissimo diede oneste forme alle figure, le quali espresse, eccellentissimamente nelle difficultà di tal arte. Egli di sua mano imitando le pitture di chiaro scuro ordinò e disegnò i principii del detto pavimento e nel Duomo fece una tavola, che fu allora messa all'altare maggiore e poi levatane per mettervi il tabernacolo del corpo di Cristo che al presente vi si vede. In questa tavola, secondo che scrive Lorenzo di Bartolo Ghiberti, era una incoronazione di Nostra Donna, lavorata quasi alla maniera greca, ma mescolata assai con la moderna; e perché era così dipinta dalla parte di dietro come dinanzi, essendo il detto altar maggiore spiccato intorno intorno, dalla detta parte di dietro erano con molta diligenza state fatte da Duccio tutte le principali storie del Testamento Nuovo, in figure piccole molto belle. Ho cercato sapere dove oggi questa tavola si truovi, ma non ho mai, per molta diligenza che io ci abbia usato, potuto rinvenirla o sapere quello che Francesco di Giorgio scultore ne facesse, quando rifece di bronzo il detto tabernacolo, e quelli ornamenti di marmo che vi sono. Fece similmente per Siena molte tavole in campo d'oro et una in Fiorenza in S. Trinita, dove è una Nunziata. Dipinse poi moltissime cose in Pisa, in Lucca et in Pistoia per diverse chiese, che tutte furono sommamente lodate e gl'acquistarono nome et utile grandissimo. Finalmente, non si sa dove questo Duccio morisse né che parenti, discepoli o facultà lasciasse; basta, che per avere egli lasciato erede l'arte della invenzione e della pittura nel marmo di chiaro e scuro, merita per tale benefizio nell'arte comendazione e lode infinita; e che sicuramente si può annoverarlo fra i benefattori, che allo esercizio nostro aggiungono grado et ornamento, considerato che coloro i quali vanno investigando le difficultà delle rare invenzioni, hanno eglino ancora la memoria che lasciano tra l'altre cose maravigliose.

Dicono a Siena che Duccio diede l'anno 1348 il disegno della capella che è in piazza nella facciata del palazzo principale; e si legge che visse ne' tempi suoi e fu della medesima patria Moccio scultore et architetto ragionevole, il quale fece molte opere per tutta Toscana, e particolarmente in Arezzo nella chiesa di S. Domenico una sepoltura di marmo per uno de' Cerchi, la quale sepoltura fa sostegno et ornamento all'organo di detta chiesa; e se a qualcuno paresse che ella non fusse molto eccellente opera, se si considera che egli la fece, essendo giovanetto, l'anno 1356, ella non sarà se non ragionevole. Servì costui nell'opera di S. Maria del Fiore per sotto architetto e per scultore, lavorando di marmo alcune cose per quella fabrica; et in Arezzo rifece la chiesa di S. Agostino, che era piccola, nella maniera che ell'è oggi, e la spesa fecero gl'eredi di Piero Saccone de' Tarlati, secondo che aveva egli ordinato prima che morisse in Bibbiena, terra del Casentino. E perché Moccio condusse questa chiesa senza volte e caricò il tetto sopra gl'archi delle colonne, egli si mise a un gran pericolo e fu veramente di troppo animo. Il medesimo fece la chiesa e convento di S. Antonio, che inanzi all'assedio di Firenze era alla porta a Faenza e che oggi è del tutto rovinato, e di scultura la porta di S. Agostino in Ancona, con molte figure et ornamenti simili a quelli che sono alla porta di S. Francesco della città medesima; nella quale chiesa di S. Agostino fece anco la sepoltura di fra' Zenone Vigilanti, vescovo e Generale dell'Ordine di detto Santo Agostino, e finalmente la loggia de' Mercatanti di quella città, che dopo ha ricevuti, quando per una cagione e quando per un'altra, molti miglioramenti alla moderna et ornamenti di varie sorte. Le quali tutte cose, come che siano a questi tempi molto meno che ragionevoli, furon allora, secondo il parere di quegl'uomini, assai lodate.

Ma tornando al nostro Duccio, furono l'opere sue intorno a gl'anni di nostra salute 1350.

FINE DELLA VITA DI DUCCIO, PITTORE SANESE

VITA DI ANTONIO VINIZIANO PITTORE

Molti, che si starebbono nelle patrie loro dove son nati, essendo trafitti dai morsi dell'invidia et oppressi dalla tirannia de' suoi cittadini, se ne partono, e que' luoghi dove trovano essere la virtù loro conosciuta e premiata elegendosi per patria, in quella fanno l'opere loro, e sforzandosi d'essere eccellentissimi per fare in un certo modo ingiuria a coloro da chi sono stati oltraggiati, divengono bene spesso grand'uomini, dove nella patria standosi quietamente, sarebbono per aventura poco più che mediocri nell'arti loro riusciti.

Antonio Viniziano, il quale si condusse a Firenze dietro a Agnolo Gaddi per imparare la pittura, apprese di maniera il buon modo di fare, che non solamente fu stimato et amato da' Fiorentini, ma carezzato ancora grandemente per questa virtù e per l'altre buone qualità sue. Laonde, venutogli voglia di farsi vedere nella sua città per godere qualche frutto delle fatiche da lui durate, si tornò a Vinegia; dove, essendosi fatto conoscere per molte cose fatte a fresco et a tempera, gli fu dato dalla signoria a dipignere una delle facciate della sala del consiglio; la quale egli condusse sì eccellentemente e con tanta maestà che secondo meritava n'arebbe conseguito onorato premio; ma la emulazione o, più tosto, invidia degl'artefici et il favore che ad altri pittori forestieri fecero alcuni gentiluomini, fu cagione che altramente andò la bisogna; onde il poverello Antonio, trovandosi così percosso et abbattuto, per miglior partito se ne ritornò a Fiorenza, con proposito di non volere mai più a Vinegia ritornare, deliberato del tutto che sua patria fusse Fiorenza. Standosi dunque in quella città, dipinse nel chiostro di Santo Spirito, in un archetto, Cristo che chiama Pietro et Andrea dalle reti, e Zebedeo et i figliuoli. E sotto i tre archetti di Stefano, dipinse la storia del miracolo di Cristo ne' pani e ne' pesci, nella quale infinita diligenza et amore dimostrò, come apertamente si vede nella figura d'esso Cristo, che nell'aria del viso e nell'aspetto, mostra la compassione che egli ha delle turbe e l'ardore della carità con la quale fa dispensare il pane. Vedesi medesimamente in gesto bellissimo l'affezione d'uno Apostolo, che dispensando con una cesta il pane grandemente s'affatica; nel che s'impara da chi è dell'arte a dipignere sempre le figure in maniera che paia ch'elle favellino, perché altrimenti non sono pregiate. Dimostrò questo medesimo Antonio nel frontespizio di sopra, in una storietta piccola della Manna con tanta diligenza lavorata e con sì buona grazia finita, che si può veramente chiamare eccellente. Dopo, fece in Santo Stefano al ponte Vecchio, nella predella dell'altar maggiore, alcune storie di Santo Stefano con tanto amore che non si può vedere né le più graziose né le più belle figure, quand'anche fussero di minio. A Santo Antonio ancora al ponte alla Carraia, dipinse l'arco sopra la porta che a' nostri dì fu fatto insieme con tutta la chiesa gettare in terra da monsignor Ricasoli, vescovo di Pistoia, perché toglieva la veduta alle sue case; benché, quando egli non avesse ciò fatto, a ogni modo saremmo oggi privi di quell'opera, avendo il prossimo diluvio del 1557, come altra volta si è detto, da quella banda portato via due archi e la coscia del ponte, sopra la quale era posta la detta piccola chiesa di Sant'Antonio.