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Nella Compagnia de' Puraccioli, sopra la piazza di S. Agostino, fece in una capella una Nunziata molto ben colorita e nel chiostro di quel convento lavorò a fresco una Nostra Donna et un S. Iacopo e S. Antonio, e ginocchioni vi ritrasse un soldato armato, con queste parole: "Hoc opus fecit fieri Clemens Pucci de Monte Catino, cuius corpus iacet hic, etc. Anno Domini 1367, Die XV Mensis Maii". Similmente la capella che è in quella chiesa, di S. Antonio con altri santi, si conosce alla maniera che sono di mano di Spinello; il quale poco poi nello spedale di S. Marco, che oggi è monasterio delle monache di S. Croce per esser il loro monasterio che era di fuori stato gettato per terra, dipinse tutto un portico con molte figure e vi ritrasse per un S. Gregorio papa, che è a canto a una misericordia, papa Gregorio Nono di naturale.

La capella di San Iacopo e Filippo, che è in San Domenico della medesima città entrando in chiesa, fu da Spinello lavorata in fresco con bella e risoluta pratica, come ancora fu il Sant'Antonio dal mezzo in su, fatto nella facciata della chiesa sua, tanto bello che par vivo, in mezzo a quattro storie della sua vita; le quali medesime storie e molte più della vita pur di Sant'Antonio, sono di mano di Spinello similmente nella chiesa di San Giustino, nella capella di Sant'Antonio. Nella chiesa di San Lorenzo fece da una banda alcune storie della Madonna, e fuor della chiesa la dipinse a sedere, lavorando a fresco molto graziosamente. In uno spedaletto, dirimpetto alle monache di Santo Spirito, vicino alla porta che va a Roma, dipinse un portico tutto di sua mano, mostrando in un Cristo morto in grembo alle Marie tanto ingegno e giudizio nella pittura, che si conosce avere paragonato Giotto nel disegno et avanzatolo di gran lunga nel colorito. Figurò ancora nel medesimo luogo Cristo a sedere con significato teologico molto ingegnosamente, avendo in guisa situato la Trinità dentro a un sole, che si vede da ciascuna delle tre figure uscire i medesimi raggi et il medesimo splendore. Ma di quest'opera con gran danno veramente degl'amatori di quest'arte, è avvenuto il medesimo che di molte altre, essendo stata buttata in terra per fortificare la città. Alla Compagnia della Trinità si vede un tabernacolo fuor della chiesa, da Spinello benissimo lavorato a fresco, dentrovi la Trinità, San Piero e San Cosimo e San Damiano, vestiti con quella sorte d'abiti che usavano di portare i medici in que' tempi.

Mentre che quest'opere si facevano, fu fatto don Iacopo d'Arezzo generale della Congregazione di Mont'Oliveto, dicianove anni poi che aveva fatto lavorare, come s'è detto di sopra, molte cose a Firenze et in Arezzo da esso Spinello; per che standosi, secondo la consuetudine loro a Monte Oliveto maggior di Chiusuri in quel di Siena, come nel più onorato luogo di quella religione, gli venne desiderio di far fare una bellissima tavola in quel luogo; onde, mandato per Spinello dal quale altra volta si trovava essere stato benissimo servito, gli fece fare la tavola della capella maggiore a tempera; nella quale fece Spinello in campo d'oro un numero infinito di figure fra piccole e grandi con molto giudizio, fattole poi fare intorno un ornamento di mezzo rilievo, intagliato da Simone Cini fiorentino; in alcuni luoghi con gesso a colla un poco sodo o vero gelato le fece un altro ornamento che riuscì molto bello, che poi da Gabriello Saracini fu messo d'oro ogni cosa. Il quale Gabriello a' pie' di detta tavola scrisse questi tre nomi: "Simone Cini fiorentino fece l'intaglio, Gabriello Saracini la messe d'oro e Spinello di Luca d'Arezzo la dipinse l'anno 1385". Finita quest'opera, Spinello se ne tornò a Arezzo, avendo da quel generale e dagl'altri monaci, oltr'al pagamento, ricevuto molte carezze; ma non vi stette molto perché, essendo Arezzo travagliata dalle parti guelfe e ghibelline e stata in que' giorni saccheggiata, si condusse con la famiglia e Parri suo figliuolo, il quale attendeva alla pittura, a Fiorenza, dove aveva amici e parenti assai; là dove dipinse quasi per passatempo, fuor della porta a San Piero Gattolini in sulla strada Romana, dove si volta per andare a Pozzolatico, in un tabernacolo che oggi è mezzo guasto una Nunziata et in un altro tabernacolo, dove è l'osteria del Galluzzo, altre pitture.

Essendo poi chiamato a Pisa, a finire in Camposanto sotto le storie di S. Ranieri, il resto che mancava d'altre storie in un vano che era rimaso non dipinto, per congiugnerle insieme con quelle che aveva fatto Giotto, Simon sanese et Antonio Viniziano, fece in quel luogo a fresco sei storie di San Petito e S. Epiro, nella prima è quando egli giovanetto è presentato dalla madre a Diocliziano imperatore, e quando è fatto generale degl'esserciti che dovevano andare contro ai cristiani; e così quando cavalcando gl'apparve Cristo che mostrandogli una croce bianca gli comanda che non lo perseguiti. In un'altra storia si vede l'Angelo del Signore dare a quel Santo, mentre cavalca, la bandiera della fede con la Croce bianca in campo rosso, che è poi stata sempre l'arme de' Pisani, per avere Santo Epiro pregato Dio che gli desse un segno da portare incontro agli nimici. Si vede appresso questa un'altra storia dove appiccata fra il santo et i pagani una fiera battaglia, molti Angeli armati combattono per la vittoria di lui; nella quale Spinello fece molte cose da considerare in que' tempi, che l'arte non aveva ancora né forza né alcun buon modo d'esprimere con i colori vivamente i concetti dell'animo. E ciò furono, fra le molte altre cose che vi sono, due soldati i quali, essendosi con una delle mani presi nelle barbe, tentano con gli stocchi nudi che hanno nell'altra torsi l'uno all'altro la vita, mostrando nel volto et in tutti i movimenti delle membra il desiderio che ha ciascuno di rimanere vittorioso, e con fierezza d'animo essere senza paura e quanto più si può pensare coraggiosi; e così ancora fra quegli che combattono a cavallo, è molto ben fatto un cavalliere, che con la lancia conficca in terra la testa del nimico, traboccato rovescio del cavallo tutto spaventato. Mostra un'altra storia il medesimo Santo, quando è presentato a Diocliziano imperatore, che lo essamina della fede e poi lo fa dare ai tormenti e metterlo in una fornace, dalla quale egli rimane libero et in sua vece abruciati i ministri che quivi sono molto pronti da tutte le bande; et insomma tutte l'altre azzioni di quel Santo in fino alla decollazione; dopo la quale è portata l'anima in cielo; et in ultimo quando sono portate d'Alessandria a Pisa l'ossa e le reliquie di San Petito; la quale tutta opera per colorito e per invenzione è la più bella, la più finita e la meglio condotta che facesse Spinello; la qual cosa da questo si può conoscere che, essendosi benissimo conservata, fa oggi la sua freschezza maravigliare chiunche la vede. Finita quest'opera in Camposanto, dipinse in una capella in San Francesco, che è la seconda allato alla maggiore, molte storie di San Bartolomeo, di Santo Andrea, di San Iacopo e di San Giovanni Apostoli, e forse sarebbe stato più lungamente a lavorare in Pisa, perché in quella città erano le sue opere conosciute e guiderdonate, ma vedendo la città tutta sollevata e sotto sopra, per essere stato dai Lanfranchi, cittadini pisani, morto Messer Piero Gambacorti, di nuovo con tutta la famiglia, essendo già vecchio, se ne ritornò a Fiorenza, dove in un anno che vi stette e non più, fece in Santa Croce alla capella de' Machiavelli intitolata a S. Filippo e Iacopo, molte storie d'essi Santi e della vita e morte loro. E la tavola della detta capella, perché era desideroso di tornarsene in Arezzo sua patria o per dir meglio da esso tenuta per patria, lavorò in Arezzo, e di là la mandò finita l'anno 1400.