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— Buon giorno a voi — li salutò. — Mi è giunta voce che presto partirete di nuovo alla volta delle terre del Lupo.

— Infatti — confermò Gweniver, — e le libereremo dei vermi che le infestano.

Nevyn piegò il capo da un lato e lasciò scorrere lo sguardo da uno all’altra dei due, con espressione improvvisamente fredda.

— Cos’è che hai sul polso, Ricco? — chiese quindi. — E sembra che la tua signora abbia una ferita simile alla tua.

Con una risata, Gweniver sollevò il polso per mostrare la piccola macchia di sangue secco.

— Ricyn ed io abbiamo pronunciato un voto insieme — spiegò. — Non potremo mai condividere un letto, ma condivideremo una tomba.

— Stupidi, giovani idioti — sussurrò Nevyn.

— Suvvia — intervenne Ricyn. — Pensi che non siamo in grado di mantenere il nostro impegno?

— Oh, tutt’altro. Sono certo che lo manterrete splendidamente e che avrete esattamente la ricompensa che cercate, una morte prematura in battaglia. Di sicuro i bardi canteranno di voi per anni e anni a venire.

— Allora perché hai quell’aria così turbata? — volle sapere Gweniver. — Non abbiamo mai chiesto nulla di meglio.

— Lo so — replicò il vecchio, voltando loro le spalle, — ed è questo che turba il mio cuore. Ah, comunque è il vostro Wyrd, non il mio.

Senza aggiungere una sola parola tornò ad inginocchiarsi e riprese ad estirpare erbacce.

Quella sera Nevyn non se la sentì di sedere nella grande sala dove avrebbe avuto modo di vedere ancora Gweniver e si ritirò invece nella propria camera; dopo aver acceso le candele, prese a camminare avanti e indietro, chiedendosi quale fosse la componènte della sua razza che la induceva a trarre piacere dalle proprie sofferenze e ad amare la morte nella stessa misura in cui le altre razze amavano invece le comodità e le ricchezze. Gweniver e Ricyn, per esempio, erano convinti di amarsi a vicenda mentre invece amavano soltanto quella nera tendenza presente nell’anima di Deverry.

— Oh, dèi — mormorò. — Adesso è un loro affare, non mi riguarda più.

La candela tremolò, quasi scuotendo la sua fiamma dorata in un gesto di diniego: quello era un affare che lo riguardava, sia che fosse riuscito ad aiutarli nella loro vita attuale o che fosse stato costretto ad attendere quella successiva, e adesso la sua responsabilità non investiva più soltanto Gweniver ma anche Ricyn. Sia che avessero mantenuto o infranto il voto, infatti, quei due erano riusciti a legarsi uno all’altra con una catena di Wyrd che soltanto la saggezza di Re Bran avrebbe potuto districare e la forza di Vercingetorige spezzare. Pensare a quei due eroi dell’Alba dei Tempi servì soltanto ad incupire ulteriormente l’umore di Nevyn: un dannato giuramento di sangue, qualcosa che sembrava uscito di netto da un’antica saga! Avrebbe voluto spiegare loro ogni cosa, spiegare che era sempre più facile cadere che salire, perché lasciarsi precipitare generava sempre un meraviglioso senso di scioltezza e di potere, ma sapeva che non lo avrebbero mai ascoltato e che probabilmente era ormai troppo tardi.

Lasciatosi cadere su una sedia, rimase a fissare il focolare spento. Sentiva l’intero regno scivolare di nuovo nella barbarie a mano a mano che la guerra civile aveva l’effetto di infrangere i lunghi anni di cultura e di apprendimento, di onore nobiliare e di preoccupazione per i poveri… tutte cose civili che molti uomini avevano radicato nell’animo di Deverry a prezzo di anni e anni di fatiche. Amaramente, si chiese quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che la gente ricominciasse a ragionare, e per la prima volta nella sua vita innaturalmente lunga si domandò se valesse la pena di servire la Luce, se davvero ci fosse una Luce da servire, considerata la facilità con cui ogni cosa poteva scivolare di nuovo nell’oscurità. Mai prima di allora era stato tanto consapevole della fragilità della civiltà, che fluttuava come olio sulla superficie del nero oceano costituito dalla mente degli uomini.

Quanto a Gweniver, nei suoi confronti Nevyn nutriva un’ultima, disperata speranza: se soltanto fosse riuscito a farglielo capire, le avrebbe fatto scoprire che il dweomer offriva più potere di qualsiasi altra cosa sulla terra, e lei amava il potere. Forse avrebbe potuto allontanarla dalla corte… insieme a Ricyn, perché non lo avrebbe mai abbandonato… e ritirarsi in qualche regione selvaggia del settentrione o addirittura nel Bardek. Là avrebbe potuto aiutarla a liberarsi del fardello che si era addossata fino a farle vedere di nuovo le cose con chiarezza. Quella stessa sera si recò nella sua camera per parlarle.

Gweniver gli versò del sidro e lo fece sedere sulla sua sedia migliore: alla luce della lanterna i suoi occhi apparivano brillanti, il suo sorriso luminoso e fisso come se fosse stato intagliato sul suo volto con un coltello.

— Posso immaginare perché tu sia venuto qui — affermò quindi la ragazza. — Perché il tuo cuore è tanto turbato dal giuramento proferito da me e da Ricyn?

— Soprattutto perché mi sembra una decisione miope. È sempre meglio riflettere con cura prima di votarsi ad una singola strada perché alcune strade attraversano molte terre diverse e offrono prospettive diversificate.

— Mentre altre corrono dritte e brevi alla meta. Lo so, ma la Dea ha scelto la mia strada e adesso non posso più tornare indietro.

— Oh, certo che no, ma ci sono molti altri modi per servirla, oltre che impugnando una spada.

— Non per me. Caro Nevyn, davvero non m’importa se la mia strada sarà breve. È… oh, è come avere un quantitativo limitato di legna da ardere: alcune persone la centellinano un ramo per volta in modo da avere un piccolo fuoco per tutta la notte, mentre altri la ammucchiano e si godono un bel falò per il tempo che essa impiega a consumarsi.

— Per poi morire congelati?

Gweniver fissò il proprio boccale con espressione accigliata.

— Ecco — replicò infine, — non ho scelto l’esempio più adatto, vero? Oppure no, tutto sommato è adatto. Invece di morire congelate… quelle persone si gettano fra le fiamme.

Gweniver scoppiò a ridere del proprio scherzo e soltanto allora Nevyn si rese conto di una cosa di cui fino ad allora aveva rifiutato di accorgersi, e cioè che la ragazza era pazza. Molto tempo prima era stata spinta oltre il confine della sanità mentale e adesso la follia brillava nei suoi occhi e ammiccava dietro il suo sorriso teso. Tuttavia, c’era follia e follia, e in quel mondo impazzito lei sarebbe stata considerata meravigliosa, e avrebbe ricevuto onori e gloria da parte di uomini appena meno folli di lei. Restare là seduto a chiacchierare fu una delle cose più dure che Nevyn fosse mai stato costretto a fare, perché anche mentre parlava dei suoi piani per Blaeddbyr e per il clan del Lupo in effetti Gweniver era soltanto un’aspirante suicida in cerca dell’occasione giusta per attuare il suo intento.

Alla fine, il vecchio si congedò cortesemente e tornò nella sua camera. Adesso non avrebbe mai potuto portare Gweniver al dweomer, perché lo studio della magia richiedeva il possesso della più sana fra le menti, in quanto coloro che iniziavano a studiare il dweomer con la mente meno che equilibrata si trovavano ben presto lacerati dai poteri e dalle forze da essi stessi invocati. Ora sapeva che in quella vita Gweniver non avrebbe mai raggiunto il suo vero Wyrd, e mentre passeggiava per la camera fu assalito da un tremito improvviso. Lasciatosi cadere su una sedia si chiese se si stesse ammalando, e soltanto dopo un momento si rese conto che stava piangendo.

Le piogge estive avevano trasformato la fortezza del clan del Lupo in una pozza di melma, e la rocca sventrata e senza tetto sorgeva adesso fra il fango, le ceneri e le travi carbonizzate che giacevano sull’acciottolato, intasavano il pozzo e generavano un puzzo dolciastro di materia bruciata e in decomposizione. Qua e là, all’ombra delle pareti, si scorgevano chiazze di muffa simili a macchie di neve malsana. Fermi in sella nell’apertura che era stata un tempo la porta principale, Gwetmar e Gweniver stavano contemplando tanto sfacelo.