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«Non siamo nemmeno riusciti a vedere l’interno del loro grande cerchio,» brontolò Cathay. «Abbiamo visto solo una costruzione artificiale.»

«Uno scenario,» suggerì Vaffa.

«In ogni caso qualcosa che hanno costruito per farci sentire a nostro agio.»

Javelin era davanti alla cupola di vetro della Cavorite e guardava la ruota. «Non volevano che vedessimo l’interno, credo.»

Vaffa alzò lo sguardo. Stava rimuginando da quando erano tornati sulla nave, più di un’ora prima. Aveva ascoltato in silenzio Diana che narrava la sua storia, Lilo che faceva del suo meglio per raccontar loro le cose che aveva appreso, e in che modo. A metà storia, Lilo si rese conto che non riusciva a farsi capire. Javelin e Cathay sembravano decisamente scettici, anche se era chiaro che nessuno dei due era in grado di fornire una spiegazione migliore dell’accaduto. Javelin aveva avanzato la teoria — il più diplomaticamente possibile — che Diana fosse un impostore, qualcuno costruito dai Mercanti per ragioni note solo a loro.

Lilo e Diana non avevano neppure cercato di confutare l’accusa, e dopo poco essa era morta di morte naturale. Nessuno riusciva a immaginare un motivo per cui i Mercanti volessero infiltrarsi fra gli esseri umani in modo così evidente. La domanda che continuava a tormentarli era: perché i Mercanti avevano sentito la necessità di richiedere la cultura umana? non erano abbastanza forti da prendersela?

Venne raggiunta la decisione provvisoria di aspettare e vedere. Non sapevano niente del procedimento di cui i Mercanti intendevano servirsi per impadronirsi della cultura umana. Non sapevano quasi niente delle loro capacità.

«Cosa facciamo, allora?» domandò Vaffa. «Lo ammetto. Non sono mai stata così confusa.»

«Che vuoi dire?» chiese Javelin. «A proposito di che cosa?»

«A proposito di… tutto! Di tutto quello che ci hanno detto. Voi ci credete?»

Javelin osservò incerta Lilo e Diana, sinceramente perplessa. «Cos’è che la turba tanto? Capite di cosa stia parlando?»

«Ah… probabilmente è preoccupata per… lo sai, i guai che succederanno.»

«Guai?» gridò Vaffa. La sua voce era diventata pericolosamente acuta. «Guai? Chiamate la fine degli Otto Mondi ’guai’? È questo che succederà, vero? Ho capito bene?»

«Sì,» rispose Lilo. «È quello che hanno detto.»

«Bene…» si irrigidì per un attimo, a bocca aperta, con le mani alzate come se cercasse disperatamente di afferrare qualcosa, prima di sbattersele sulle ginocchia. «Sono la sola alla quale la cosa interessi?» Scrutò tutti i componenti del gruppo e alla fine si fermò su Javelin.

«Perché te la prendi con me?» disse Javelin, leggermente a disagio. «Certo, non mi piace l’idea che muoia tanta gente. Ma avranno la possibilità di andarsene, i Mercanti hanno detto anche questo. Basta che accettino la loro proposta. Quanto agli Otto Mondi…» Scorreggiò. «Perché dovrebbe importarmi? Non sono una cittadina.»

Vaffa guardò Cathay. Lui alzò le spalle. «Fare qualcosa, hai detto, vero? Senti, andrò a casa e pulirò la mia spada. Così saremo tu e io — posso contare su di te, no? — schiena contro schiena, spalla a spalla di fronte agli Invasori.»

«Oh, stai zitto,» disse Vaffa. Guardò Lilo e lo stesso fecero tutti gli altri.

«Succederà,» disse Lilo con calma, e Diana annuì. «Mi dispiace ammetterlo, ma non è che mi importi molto. Il governo non mi piace più di quanto piaccia a Javelin o a Cathay. O a te, Vaffa. Stai cercando di abbatterlo e di riportare il Capo al potere. Ma non importa. Succederà, questa è una cosa di cui sono certa. Immagino che voi non ci crediate, ma abbiamo veramente visto nel futuro, almeno fin dove arrivano le nostre vite. Molte persone moriranno. Gli Invasori stermineranno chiunque rimanga nel sistema solare.»

«E questo non ti interessa?» chiese Vaffa.

«Io…» Anche Lilo era turbata. Ma la risposta fu chiara. «No, è come… come se fosse già successo. L’ho già visto. Possiamo tornare indietro e aggiungere la nostra storia a quella che i Mercanti stanno trasmettendo, fare del nostro meglio per convincere la gente ad andarsene. Ma molti non lo faranno. E questo è il massimo che possiamo fare. È inevitabile.»

Ma Vaffa non poteva accettarlo. Lilo la guardò, chiuse gli occhi e cercò di ricordarla. Stava per cambiare, ne era certa. Vaffa era sul punto di trascendere i propri limiti. Era forse la figlia di Tweed? A Lilo sembrava di ricordare che alla fine Vaffa le avrebbe detto così. Ma non era più sicura su molte cose che riguardavano il futuro. C’erano pezzi e frammenti che di solito non combaciavano. Sapeva che Vaffa si stava chiedendo se avesse curato gli interessi del Capo nel modo migliore. Ma contemporaneamente un dubbio si stava insinuando nella sua mente. La storia di Diana aveva fatto più impressione a Vaffa che a chiunque altro. Era la prima volta che considerava gli Invasori come reali, non come nemici di cartapesta.

Ma per il momento era sempre fedele al Capo. Non era il caso di dirle che era stata costretta ad abbandonare la Luna come risultato diretto delle azioni di un’altra Lilo e di un altro Cathay.

La conversazione proseguì, ma Lilo la ignorò. Stava osservando l’altra se stessa, il suo clone, e il clone stava osservando lei.

«Ricordo Makel,» mormorò Lilo.

«E io ricordo Javelin quando era una persona molto più sottile.» Diana sorrise e Lilo le rispose con un sorriso. «Ricordo anche l’impatto della Vendetta e di essere stata uccisa da Vaffa.»

«Vieni nella mia stanza,» disse Lilo.

Si sistemarono sulle poltroncine, una di fronte all’altra, e non dissero niente per molto tempo. Le voci che giungevano dal solarium erano come il ronzio di una mosca. Stavano discutendo degli eventi delle ultime ore, mentre Lilo se ne sentiva molto al di sopra. Conservava ancora alcune parti della propria esperienza trascendentale, dello sguardo che aveva dato alle cose, a come erano andate, a come sarebbero state sempre. Sapeva di avere una lunga vita davanti a sé, ma i particolari erano confusi e stavano svanendo.

«Se ne va, vero?» chiese Diana.

«Sì. Ricordo solo gli eventi principali del tuo passato, e l’altra… diventa complicato, no? Parlarne, voglio dire.»

Diana sorrise.

«Non ricordo molto del futuro,» disse.

«Ho solo l’impressione che vada avanti per un bel po’. Per ciascuna di noi.»

«Sì.»

Tacquero di nuovo. Lilo aveva la sensazione che non fosse stato detto qualcosa, ma sapeva che lo sarebbe stato. Osservò il cubo argenteo che Diana teneva in mano. Un oggetto comune.

Diana lo guardò come se avesse dimenticato di averlo in mano. Lo lanciò a Lilo.

L’oggetto percorse un metro, rallentò e si fermò a metà strada fra loro due. Lilo non riusciva a pensare a nessuna forza che avesse potuto rallentarlo; in assenza di peso avrebbe dovuto spostarsi in linea retta finché non avesse incontrato un ostacolo. Eppure era lì che galleggiava.

Allungò una mano e lo prese. Le oppose una leggera resistenza. Sembrava che preferisse rimanere immobile, anche se con non molta tenacia.

«Come funziona, mi domando?» chiese Lilo.

«Pensi che dovremmo aprirlo?»

Lilo lo stava tenendo vicino alla faccia e lo esaminava attentamente. Le era parso che ci fosse una lieve scoloritura su uno spigolo e lo stava toccando con l’unghia del pollice. «Io no, voglio solo…»

Si spiegò.

Non fu una cosa semplice. Non era solo questione di facce che si separavano o che si aprivano. Erano cubi più grandi che si sviluppavano da cubi più piccoli finché lei non ebbe quello che le sembrava una malferma pila di otto pezzi (e che però si rivelò un solo ipercubo). Lilo tirò indietro le mani spaventata e la cosa galleggiò.

«Uh… e adesso che faccio?»