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— Nessun rapporto in merito, signore. — Almeno, nessuno fatto a me. — Signore? Posso chiederle notizie del Dr. Douglas?

Anche la sua risatina era pura carta vetrata. — È sotto sorveglianza nella sua tenda, e ben poco allegro. Cos’avete incercettato sulla reazione del nemico?

Si riferiva all’ascolto della radio e della TV. — Non ne emerge un disegno chiaro, signore. Si limitano a ritrasmettere il discorso del Presidente. Lo riceviamo forte e chiaro.

Il colonnello emise un suono disgustato che avrebbe potuto essere «quella parola». Harlech era uno dei giannizzeri di Magruder, e come gli altri non faceva mistero di ciò che pensava del Presidente. Brown s’era opposto vigorosamente all’idea di un raid «preventivo»… finché il capo del suo staff non gli aveva sussurrato all’orecchio che le prigioni erano piene di politici che s’erano opposti ai militari circa questioni essenziali alla difesa degli Stati Uniti.

Quando riattaccai il telefono collegato all’altra linea temporale mi chiesi se non fosse il caso di tornare agli studi TV per uno scambio di vedute coi tre scienziati-politici. Sarebbe stato interessante sapere perché, secondo loro, un’America militarmente attiva come la nostra aveva un Presidente di pastafrolla come Jerry Brown, mentre quest’altra, grassa e pacifica, aveva eletto quella sputafuoco della Reagan. Ma io ero un soldato, non uno studioso, e c’erano altre cose che m’incuriosivano maggiormente. Gridai che mi mandassero un’ordinanza, e quando il caporale Harris mise dentro la testa dalla porta gli ordinai di scendere al recinto e di portarmi uno dei prigionieri, il senatore Dominic DeSota.

Seduto lì, nella mia tuta da fatica, era così uguale a me da mettermi in imbarazzo. Non gli avevo ancora tolto gli occhi di dosso, e in quanto a lui mi stava studiando con una certa durezza. Non sembrava preoccupato, o almeno non lo mostrava. Il suo sguardo era fra risentito e interessato, con un velo di freddezza che avevo sempre notato anche in me.

— Tu fai parte delle alte sfere, Dominic — dissi. — Sentiamo. Secondo te come la stanno prendendo?

Prima di rispondere si massaggiò le reni. Anche lui aveva dormito, ma senza dubbio su qualcosa meno confortevole del divano dello scienziato capo. — Parli di quella che può essere la risposta del Presidente Reagan a un’invasione armata?

— Questo è un modo un po’ drastico di considerare la cosa.

— Drastico è il modo in cui l’avete condotta. Cosa sperate di guadagnarci?

— La pace. — Sogghignai. — La vittoria. Il trionfo della democrazia sulla tirannide. Non intendo la vostra tirannide, naturalmente. Parlo del nostro comune nemico, i russi.

Scosse il capo, paziente. — Dom, io non ho nessun nemico russo. I russi non hanno rilevanza nel mondo… il mio mondo. Sarebbero già morti di fame tutti quanti se non li avessimo aiutati, dopo la loro guerra con la Cina.

— Avreste dovuto lasciarli crepare!

Sospirò e mi guardò storto. — E così avete avuto la bella pensata di invaderci. Senza preavviso. — Poi scosse le spalle. — Chiedi a me come vanno le cose? Siete voialtri che avete la palla.

— Dovranno andare a modo nostro, Dom — dissi, e sorrisi. — E più presto voi lo capite, più facile sarà per voi. — A questo non rispose. Neppure io l’avrei fatto, del resto. Cercai d’avere un tono persuasivo. — È la nostra patria, anche se non siamo dalla stessa parte della barricata. Avete il dovere di collaborare perché abbiamo lo stesso interesse di fondo, il bene degli Stati Uniti d’America. Giusto?

— Di questo dubito, Dom. Sicuro come l’inferno — disse.

— Ah, Dom, avanti! Sai bene che la penseresti come me, se fossi al mio posto… a proposito — aggiunsi, — come va la prostata?

Mi fissò sorpreso. — Di che stai parlando? Sono troppo giovane per avere dei guai con la prostata.

— Già — borbottai. — Questo è quel che dissi anch’io, quando il dottore mi tolse le mani di dosso. Ti consiglio di farti dare un’occhiata.

Scosse il capo. — DeSota — dichiarò, secco e determinato come penso che anch’io mi sarei mostrato al suo posto. — Lasciamo perdere i ghirigori. Ci avete aggrediti senza esser stati provocati, di sorpresa, e questa è stata un’azione sporca. Perché lo avete fatto?

Sorrisi. — Perché era a portata di mano. Non sai come vanno queste cose? Avevamo un problema, e potevamo vederne la soluzione tecnica. Quando hai la tecnologia la usi, e noi eravamo in possesso di questa tecnologia. — Non parlai di come l’avevamo ottenuta, cosa che d’altronde era irrilevante. — Vedi, vecchio mio, voi avete di fronte ciò che noi chiamiamo un’offerta che non si può rifiutare. Il nostro Presidente dice al vostro quello che deve esser fatto. Voi ce lo lasciate fare. Dopodiché noi ce ne andiamo e tutto finisce lì.

Mi diede un’occhiata tagliente. — Non lo credi neppure tu?

Scossi le spalle. Ci conoscevamo l’un l’altro troppo bene per ignorare che né lui né io lo credevamo. I miei pensieri non dovevano andare al di là dei compiti che m’erano stati assegnati — ufficialmente — ma sapevo fin troppo bene che, una volta cominciata a usare la loro linea temporale per prenderci cura del nostro principale nemico, non era molto probabile che ce ne andassimo. Ci sarebbero stati sempre altri piccoli lavoretti per cui avremmo potuto sfruttarla.

Questo era però troppo lontano nel futuro perché stessi a preoccuparmene… anche se vedevo chiaramente che preoccupava l’altro me stesso, e non poco. Dissi: — Torniamo alla mia domanda. Il vostro Presidente darà retta al nostro senza recalcitrare? Nel nostro universo i Reagan e Jerry Brown non sono precisamente amiconi.

— Questo che c’entra? Lei farà quel che deve fare. Ha giurato di difendere e proteggere gli Stati Uniti…

— Sì. Ma quali? — chiesi io. — Il nostro Presidente ha fatto lo stesso giuramento, e non fa altro che mantenerlo. — Lo manteneva perché ci era costretto, quel pappamolla. Ma questo non lo dissi. — E il miglior modo che la vecchia Nancy ha di proteggere voialtri è di lasciarci fare quel che vogliamo. Hai un’idea dell’alternativa che ci lascereste? Noi abbiamo i muscoli! Volete forse che piazziamo un po’ di anthrax nella Casa Bianca? O Smallpox-B sopra Times Square? — La sua espressione mi fece ridere. — Che c’è, credevi che potessimo usare le bombe all’idrogeno? No, non vogliamo distruggere delle ottime proprietà immobiliari.

— Ma le armi biologiche sono… — S’interruppe, accigliato. Stava per dire che erano contro le leggi internazionali o qualcos’altro.

— Dopo il Salt Due — spiegai, — dovevamo fare qualcosa. Perciò abbiamo lavorato in altre direzioni.

— Cos’è il Salt Due? — chiese. Poi sbuffò: — No, all’inferno, non voglio lezioni di storia da te. Tutto quello che voglio è che ve ne torniate tutti quanti da dove siete venuti e ci lasciate in pace. E dubito che lo farete. Se ti interessa saperlo, voialtri mi date il voltastomaco.

Che razza di testardo era! Avrei potuto esser fiero di quel me stesso, se non fosse stato così irritante. — Dom! — esclamai. — Voi pure vi stavate preparando, in un modo o nell’altro… altrimenti perché lavoravate a questo progetto, qui alla Casa dei Gatti?

— Perché… — cominciò lui, e tacque. La sua espressione era già una risposta. Cambiò argomento: — Hai una sigaretta?

— Ho smesso — rivelai, soddisfatto.

Lui annuì con fare pensoso. — Non credevo che avrebbe funzionato sul serio — mormorò.

— Però ci stavi provando, ragazzo, no? Così dove sta la differenza? Noi non facciamo nulla che non avreste fatto anche voi, se aveste finito queste ricerche prima di noi.

— Questo… questo è da vedersi — disse. Onesto, da parte sua. Non aveva detto «Questo non è vero».

— Allora, vuoi darci una mano a convincere il tuo presidente?