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E io brindai col suo dannato champagne. Brindai, un po’ perché non ero particolarmente ansioso di contrariarla, un po’ perché un sensale d’ipoteche non si vede passare sotto il naso tutti i giorni quella roba d’importazione, e un po’ perché non sapevo cos’altro fare. Forse Douglas aveva ragione! Forse la faccenda era davvero così grossa da procurare una promozione a Nyla Christophe… e in quel caso forse aveva anche ragione per tutte le altre sue spiacevoli dichiarazioni.

Mi chiesi cos’avrebbe fatto Greta se non l’avessi rivista mai più. Mi avrebbero permesso di scriverle? O di dirle addio?

Quel che Nyla Christophe aveva detto non poteva essere una buona notizia per me. Tuttavia Douglas pensò che lo fosse per lui. — Questa è grande, bambola! — si entusiasmò. — Ragazzi! Gliela farai vedere a quelli di Washington. E ascolta me: ho un mare di idee per te! Questa faccenda di due soggetti con la stessa identificazione… dico, hai mai riflettuto su quel che può significare per il Bureau? Ad esempio, per infiltrare organizzazioni sovversive? Naturalmente non so ancora come funziona, ma…

La Christophe lo lasciò andare a ruota libera, con un sorrisetto sognante dipinto sul viso. Gli si accostò, annui e gli poggiò amichevolmente una mano su una spalla. — Caruccio — disse con affetto. — Sei davvero divertente. Comico.

Lui deglutì. — Tu… non vuoi prendermi con te? — balbettò.

— Prenderti con me? Questa è l’ultima fottuta cosa che farei mai, Larry, dolcezza.

Lui arrossì. — E allora lasciami perdere, dannazione! Se le cose stanno così, non ci guadagni niente a venirmi a lisciare a questo modo!

Lei lasciò svanire il sorriso. Bisogna dire che era veramente una gran bella femmina, quando voleva. Agli angoli della bocca le rimasero impercettibili increspature. — Larry — disse, morbida, — può darsi che ci sia qualcuno con cui vado a letto, quanto intendo fare quella cosa sul serio. Ma tu non sei certo uno di questi.

Io non avevo idea di quel che voleva dire. Lui, ovviamente, sì: divenne grigio in faccia. — Tu non sai un accidente — continuò la Christophe. — La cosa è molto più grossa di quel che potresti mai immaginare. — Si volse a me. — Vuole sapere cosa c’è in ballo?

Oh Dio, se lo volevo! Non riuscii neppure a rispondere. Ma lei me lo lesse in faccia e proseguì: — Vediamo di cominciare dal principio. Supponiamo…

Esitò. Poi scosse le spalle e con una smorfia ci mostrò le mani, a dita tese, esibendo la mancanza dei pollici come una sorta di oscena nudità. — Supponiamo che quando avevo diciassette anni non mi fossi messa nei guai con la legge. Supponiamo che io avessi avuto un’adolescenza normale. La mia vita sarebbe stata molto differente, no? — Le accennai che potevo fare lo sforzo d’immaginarlo, ma la mia fantasia non arrivava a elucubrare ipotesi. Douglas, abbacchiato, guardava altrove. — Così potrebbe esserci una vita in cui sono cresciuta e diventata quella che sono oggi. Giusto? E potrebbe essercene un’altra in cui sono diventata… oh, non saprei. Una musicista. Magari una suonatrice di violino.

La sua faccia era impassibile, ma dalla luce che le colsi negli occhi mi parve che stesse aspettando di vedere se mi sarei messo a ridere a quell’idea. Non risi. — Capite, c’è stato un tempo in cui questo mi sarebbe piaciuto — disse. — E il fatto è che non potete dire che una di queste possibilità è reale e l’altra soltanto immaginaria. Non più. Perché entrambe sono reali. Tutte le possibilità sono reali, forse. È solo che noi viviamo in una di queste possibilità, e non possiamo vedere le altre.

Indagai l’espressione di Douglas. Era confuso quanto me, e molto più preoccupato… probabilmente, pensai con un filo d’ansia, perché aveva le idee più chiare delle mie su quel che ci sarebbe capitato.

— Al diavolo tutto questo! — rinunciò lei all’improvviso. — Venite e vi farò vedere. Moe!

La porta si aprì all’istante. Nyla spostò di lato il grosso individuo e ci accennò di seguirla. Fuori c’era un sole rovente. Tenendole dietro notai che non camminava in linea retta… un po’ per via dei tacchi alti sulla ghiaia, un po’ perché si boccheggiava per l’afa, e un po’ a causa dello champagne. Ma ebbi l’impressione che fosse già come ubriaca del suo futuro. Ci fece strada fino a un’altra camera, davanti alla quale stazionava un agente dell’FBI. Un cenno di Nyla Christophe e l’uomo aprì la porta. Lei guardò dentro poi si volse a me e a Douglas.

— Date un’occhiata — ci invitò. — Qui ci sono due buone possibilità per voi.

Non avevo ancora la più pallida idea di dove volesse andare a parare, comunque feci quel che mi veniva detto. Nella stanza c’erano due uomini. Uno era seduto in un angolo e si stava cautamente spalmando di crema il volto e il collo. A torso nudo era uno dei più bei casi di scottature solari che avessi visto, e in corrispondenza del colletto gli era rimasta una V di fiamma sulla pelle. Poiché si massaggiava gli zigomi, ciò che vidi della sua faccia fu solo una maschera di crema.

L’altro era più vicino. Giaceva immobile sul letto, ad occhi chiusi. Stava russando. Aveva l’aria di aver passato dei brutti momenti, e non intendo quei brutti momenti che si passano nelle mani dell’FBI. Sembrava mezzo morto. E sembrava anche, o meglio era…

— Douglas! — rantolai. — Ma quello sei tu!

Douglas non poté aprir bocca. La vista del dormiente l’aveva colpito assai più di me e lo fissava a occhi sbarrati, respirando come se fosse prossimo a strangolarsi. Vedendolo incapace di parlare fui io a fare quella domanda: — Cosa gli è successo?

Nyla Christophe si strinse nelle spalle. — Oh, sta bene. A parte l’insolazione e le scottature, si è fatto mordere da un serpente. Ma il dottore gli ha fatto qualche iniezione e dice che entro domani sarà come nuovo. Però, adesso, perché non date un’altra occhiata al suo amico, eh? — suggerì.

Fu quello che feci. S’era voltato e mi stava guardando. La sua faccia era piena di striature rosse e di crema bianca, ma anche così era una faccia che potevo riconoscere senza equivoci.

— Mio Dio! — sussurrai. — Dunque lui è l’uomo dei Laboratori Daley!

— Non proprio — mi corresse allegramente Nyla. — O almeno, lui dice di no. Ha detto un sacco di cose, DeSota, cose che lei non crederebbe. Ha parlato in continuazione fin da quando il macchinista di un treno li ha raccolti nel deserto, la notte scorsa. Afferma che tutte le possibilità sono reali, esistono, e che ci sono altri identici a lui nell’una o nell’altra di queste possibilità. Ma non ha ancora afferrato il punto, DeSota. La cosa che più di ogni altra afferma, e che tutti gli esami hanno confermato, è di essere lei.

A quell’ora di notte il grande parcheggio sotterraneo era deserto, e guardandosi attorno in cerca della sua auto l’avvocato cominciò a pentirsi d’essersi trattenuto in ufficio fino a tardi. Non ricordava più dove l’aveva posteggiata. E mai che ci fosse un poliziotto in giro, quando ce n’era bisogno. Perché in quel momento ne sentiva il bisogno: due rapine, un omicidio, e numerosi furti d’auto, erano il bilancio di quel garage negli ultimi sei mesi. Ma quando girò un angolo vide due poliziotti di ronda, col mitra appeso alla spalla. — Buonasera — li salutò. E si sentì più sollevato… finché non s’accorse che le loro uniformi erano grigioverdi, bordate di rosso, e i loro berretti non avevano nulla in comune con quelli della polizia di Chicago. Peggio ancora, quando gli rivolsero la parola lui riconobbe la lingua: russo! D’istinto si volse e scappò via, con la pelle d’oca e senza riflettere. Alle sue spalle risuonò una raffica di mitra, ma le pallottole rimbalzarono fra le auto in sosta senza colpirlo. Tuttavia quello era un vicolo cieco, e allorché all’estremità del parcheggio l’avvocato fu costretto a voltarsi, ansimando, si disse che quella era la fine. Ma i due uomini erano spariti.