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In un attimo il cuore mi balzò in gola per l’emozione. Ma naturalmente la Nyla di cui stava parlando non era la mia Nyla. Si trattava della donna dell’FBI.

Bevvi il resto del caffè senza neppure sentirne il sapore, e ascoltai il resto delle chiacchiere di Larry Douglas senza udire una parola. Ciò che saturava del tutto la mia mente era una questione morale. La Nyla che amavo era definitivamente al di fuori della mia portata.

Stavo meditando di mettermi insieme a un’altra Nyla?

Non considerai neppure l’eventualità che all’altra Nyla, quella dura e arida poliziotta, non sarebbe mai passato per il capo di mettersi con me. Questo anzi non aveva realmente importanza. La risposta che stavo cercando era sepolta nella mia mente, non nella sua. Cos’era ciò che amavo? Era il corpo fisico di una femmina attraente al quale il mio s’era unito come per una reazione chimica? Erano il fascino e la grazia di quella donna che suonava deliziosamente il violino, e sapeva muoversi con calda femminilità nei più rarefatti ambienti sociali? Avrei amato di meno Nyla Bowquist se non fosse stata capace di mostrarmi la differenza fra Brahms e Beethoven… o se fosse stata una sconosciuta, estranea al mondo indaffarato ed eccitante di cui avevamo fatto parte? In breve, l’avrei amata lo stesso se non fosse stata ricca e famosa?

Oppure — tornando alle questioni di base, quelle che non hanno mai una risposta veramente sensata — cos’era, comunque, ciò che io chiamavo «amore»?

Quand’ero immerso in ciò che avevo nell’anima, un po’ come se mi osservassi l’ombelico, ci mettevo poco a perdere il contatto col mondo reale. Così non c’è da meravigliarsi se le chiacchiere di Larry Douglas rallentarono bruscamente e poi cessarono.

Tornai a lui. Mi stava fissando con disapprovazione. — Scusa — dissi. — Ero soprappensiero.

Sbuffò. — Cosa sei venuto a cercare qui?

— Speravo di trovare Dominic DeSota… quell’altro, lo scienziato.

— Ah, loro. Ce ne sono parecchi di loro, qui, che ammazzano il tempo discutendo dei paratempi e di tutta quella roba. C’è anche un paio di me. Potrai trovarli nel bar, probabilmente.

Fu li che andai. Le sue informazioni erano esatte. Nel bar c’erano dieci o undici persone che bevevano birra e parlavano animatamente. Due di loro erano Larry Douglas, quattro erano Stephen Hawking, ciascuno in un diverso stato di salute, due erano John Gribbin, dei quali avevo già incontrato una coppia al Floyd Bennet Field. Nessuno di loro si volse a guardarmi quando entrai: erano occupatissimi, come aveva detto il Larry all’ingresso, a confrontare le loro osservazioni.

Andai al bancone e mi servii una lattina di birra anch’io, con un orecchio alle loro chiacchiere ma di nuovo immerso nei miei problemi. Riflettere non era difficile visto che la conversazione non mi disturbava, o meglio, visto che non ne capivo una parola. — Noi siamo partiti con la fissione a oltroni — buttava lì uno di loro, e un altro lo interrompeva: — Cos’è un oltrone? — E il primo diceva qualcosa come: — Uh, è una carica, subluce mi spiego? Con una varianza di zero virgola cinque… — E un altro saltava su: — Varianza? — Dopodiché tutti cominciavano a disegnare diagrammi di reazioni subnucleari sui tovaglioli, finché uno diceva: — Ah, tu intendevi un corpo-Newmann! Giusto. E questo si scinde in un Aleph-A e in un gimmel, sicuro. — E quindi ripartivano a spiegarsi cosa fossero i gimmel. Lasciai che quei discorsi mi scivolassero dentro da un orecchio e fuori dall’altro, finché Dominic DeSota si girò a cercare la sua birra e mi vide.

— Ehi, Dom! — esclamò. — Già di ritorno? Senti un po’: Gribbin, qui, dice che loro negli acceleratori usavano piastre di vanadium, e ottenevano una brillanza quasi doppia. Tu che ne pensi?

Gli sorrisi. — Non molto — confessai. — Io sono il senatore con cui lui è tornato a casa, Dom. Ero con lui a Washington quando siamo stati prelevati.

— Oh, quello — annuì, divertito. — Be’, d’altronde io non sono quel Dom. Lui è uscito un momento a cercare sua moglie.

Sospirai. — Va bene. Digli che ero venuto a parlargli, ti spiace? — E mi volsi per uscire, invidiando la sua maledetta fortuna. Se soltanto avessero rapito anche la mia Nyla, invece dell’Agente Senzapollici, allora le cose…

Mi fermai di colpo, deglutendo un groppo di saliva.

— Ehi! — dissi. — Non avranno portato qui anche sua moglie, no? Lei non s’era mossa dalla sua linea temporale, e non stava lavorando alle ricerche sul paratempo.

— No, naturalmente no — disse l’altro Dom. Mi fissò, perplesso. — Ha fatto richiesta per essere raggiunto da lei, ecco tutto. È uscito giusto per vedere se stava arrivando.

— Richiesta… per essere raggiunto! Vuoi dire…

Sì, voleva dire proprio quel che aveva detto. I nostri rapitori non erano inumani, e il loro programma prevedeva anche questo. Erano dispostissimi a trasportare lì le nostre famiglie, a patto che le persone interessate fossero d’accordo di venire.

E io non avevo altro che da farne richiesta.

Quaranta minuti dopo ero al Biltmore Hotel, in attesa del mio turno di… l’espressione esatta, suppongo, è «fare la mia proposta». Non ero il solo. C’erano almeno cinquanta persone in fila davanti a me per lo stesso motivo. Nessuno parlava molto, certo perché ciascuno di noi stava ripassando il discorsetto che era sul punto di fare. E quando mi sentii battere su una spalla sussultai.

Ma era soltanto Nicky. — Anche tu, Dom? — disse, e sorrise. — Io ho appena finito. E adesso, se soltanto Greta dirà di sì…

D’un tratto ci trovammo al centro dell’attenzione di quelli che mi precedevano e seguivano, curiosi di sentire il resoconto di uno che aveva appena fatto la richiesta. Lo afferrai per un braccio. — Ma non ti ha risposto?

— Risposto? No! Tu non le parli mica direttamente — spiegò. — Non hanno abbastanza linee telefoniche o qualcosa del genere, credo. Quello che fai è di andare in una stanza, e loro ti riprendono come in un film… be’, non so se sia proprio un film, comunque tu puoi dire quello che hai da dire. Poi loro localizzano tua moglie, o chiunque sia, e glielo trasmettono. Come chiamavano quella roba? Olografia? Sarà una specie di immagine olografica di te, e hai tempo un minuto per parlare. Poi dipenderà da lei…

Poi tutto sarebbe dipeso da lei.

Cosa si può dire a una donna per convincerla ad abbandonare tutto un mondo che la ama, in cambio dell’avventurosa incertezza e dell’esilio? Per tutto il tempo in cui avanzai un centimetro dopo l’altro nella fila, e anche mentre fornivo all’addetto le informazioni necessarie a rintracciare Nyla Bowquist, non feci altro che escogitare ragioni. No, non ragioni. Lusinghe. Dolci promesse su ciò che sarebbe stata la nostra vita insieme… come se già sapessi tutto di essa!

E quando infine fui davanti alle lenti, con le luci dell’apparecchiatura che mi abbacinavano gli occhi, dimenticai ogni ragione, ogni lusinga, ogni promessa. E tutto ciò che riuscii a dire fu: — Nyla, mia cara. Io ti amo. Per favore, vuoi venire qui e diventare mia moglie?

Quel sabato fummo dichiarati finalmente liberi dai microbi e pronti a cominciare una nuova vita. Quel sabato la donna al banco delle informazioni dell’Hotel Biltmore era già stanca di vedersi davanti la mia faccia e quella di Nicky. C’era un numero limitatissimo di canali di comunicazione con gli altri paratempi, spiegò con pazienza, e un numero eccessivo di richieste per il loro uso. No, non sapeva se Nyla avesse già ricevuto il mio messaggio. Sì, a Nyla sarebbe stato detto tutto quel che doveva sapere su questo mondo e su come sarebbe arrivata qui. No, lei non poteva neppure immaginare quanto tempo ci sarebbe voluto. In qualche caso erano bastate meno di ventiquattr’ore, ma certa gente stava ancora aspettando la risposta dopo tre settimane…