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Non molta gente, in passato, aveva provato dispiacere nel vedermi partire.

Così, mentre il dirigibile s’abbassava lentamente di quota sulle paludi deserte del New Jersey e ricontrollavo le cassette di avocado e di lattuga, i miei pensieri erano già al momento in cui sarei tornato a casa. La mia vera casa. Quella alla periferia di Palm Springs.

Ero molto vicino a tutto ciò che avevo sognato da ragazzo. Ero stato un bambino molto religioso… avevo forse altra scelta? La Lega per la Morale aveva acquistato una gran forza, specie nei sobborghi di Chicago. Volevo essere buono. Soprattutto ciò che volevo era evitare d’essere arso vivo per l’eternità nelle orride fiamme dell’Inferno, dove (così mi prometteva ogni domenica il Reverendo Manicote) sarei senza dubbio finito se avessi bevuto, marinato la scuola domenicale o fatto il bagno a petto indecentemente nudo. Di tanto in tanto egli faceva anche menzione del Paradiso. Esso appriva una specie di Tahiti alla mente di un bambino di sei anni: sapevo che era là, ma non vedevo molte probabilità di riuscire a visitarlo di persona… almeno, non senza un buon avvocato che mi consentisse di filtrare fra le maglie della legge. Voglio dire, come poteva Iddio darmi il lasciapassare ignorando il carico di peccati che a sei anni mi portavo addosso? Avevo detto delle bugie. Sgraffignavo monetine dal barattolo in cui mia madre teneva i soldi. Non sempre ubbidivo a quel che mi dicevano i grandi. Oh, ero proprio un discolo, certo! Ma spesso facevo sogni a occhi aperti su quel che avrei visto del Paradiso, se fossi riuscito a sbirciare oltre il muro di cinta. E quello che sognavo non era molto dissimile dalla vita nel Desert Agricultural Consort, perfino riguardo al fatto che (come il Reverendo Manicote, accigliatissimo, una volta mi aveva risposto) non c’era modo di fidanzarsi o sposarsi in Paradiso. Questo era risultato abbastanza vero per me anche in California. Le donne non mancavano — erano il quarantadue per cento della popolazione — ma quasi tutte erano venute per raggiungere i loro mariti o fidanzati, cosicché ne restava una percentuale molto ristretta a disposizione degli scapoli come me.

E il motivo per cui m’ero procacciato quel passaggio fino a New York era di vedere se potevo far qualcosa in merito.

Fluttuammo giù verso Great Meadow, dove gli ormeggiatori erano in attesa di agguantare i nostri cavi, e aprii l’oblò della cabina. New York City non era cambiata molto dall’ultima volta. Non c’era ragione per cui avrebbe dovuto cambiare: erano trascorse solo sei settimane da quando ero partito per il mio nuovo lavoro in California. Ma, santo cielo, avevo l’impressione che fosse passato un sacco di tempo.

Appena gli ormeggi furono assicurati calammo la scaletta e uscii in quello che risultò un giorno grigio e piovoso tipico dell’autunno di New York, e fin dal primo passo le mie scarpe da tennis s’inzupparono di fango.

Lì ad aspettarmi c’era già Herby Madigan, che allungava il collo per cercare di vedere cosa ci fosse oltre gli oblò della stiva. Mi strappò di mano le bolle di carico prima ancora di darmi il buongiorno, e lesse la lista dei prodotti. — Pomodori? — protestò, indignato. — Perché diavolo ci hai portato dei pomodori? Ne abbiamo fin troppi negli orti del New Jersey e di Long Island.

— Da qui a un paio di settimane non ne raccoglierete più — gli dissi. — E allora vi metterete a piangere per avere i nostri. Comunque ci sono anche datteri e avocados. — Vidi il suo sguardo schiarirsi. — E ho parecchie cassette di arance e noci di cocco, tanto per farvi sorridere.

— Aranci! — esclamò.

— Ho paura che non ne vedrete molto — lo avvertii, — perché ci vorrà ancora del tempo prima che gli aranceti forniscano una produzione reale. E mentre parliamo, non potremmo levarci un momento dalla pioggia?

Non potei però farlo in fretta come avevo sperato, perché uno degli addetti al traffico aereo mi bloccò per sapere se avevo notato segni di rimbalzi balistici nel tragitto dalla California a New York. Fu soddisfatto quando gli risposi di no, fu meno soddisfatto quando dissi che per metà del tempo avevo dormito e per l’altra metà m’ero occupato solo delle scartoffie. Tuttavia riuscì a sorridere nell’informarmi che da oltre un mese nessuno aveva più segnalato fenomeni del genere. Evidentemente i loro computer confermavano che gli effetti di risonanza si stavano smorzando.

Finalmente potemmo metterci al riparo nell’ufficio di Herby, un cubicolo illuminato vivamente in una delle strutture a bolla del parco. Per una mezz’ora discutemmo e mercanteggiammo sui prezzi, e intanto ne approfittai per togliermi le scarpe e farle asciugare. Aveva del vero caffè, di cui mi affrettai ad accettare una tazza, e mi chiesi se saremmo riusciti a metterne su una piantagione. Decisi di non tentare. Alcuni membri del Consorizio erano già stati a esplorare giù verso Baja e altre zone del Messico. Un giorno o l’altro forse avremmo mandato coloni laggiù, a produrre caffè, banane e papaya, ma i terreni adatti erano troppo lontani da Palm Springs perché l’idea fosse realizzabile in quel periodo. Comunque avevo progetti più che a sufficienza per l’anno prossimo.

— Fra circa un mese avremo spinaci e uva — dissi a Herby. — E verso Natale meloni Crenshaw. Però siamo a corto di mano d’opera. Sai se ci sono probabilità che emigrino qui dei contadini davvero esperti?

— Qui non arriva più nessun emigrante — disse con aria assente, rimuginando sui meloni Crenshaw che avevo promesso. — Hanno chiuso tutti i portali, eccetto un paio adibiti solo agli apparati-spia e alle comunicazioni. Comunque puoi avere mano d’opera non qualificata. Negli alberghi ci sono ancora circa duecento fra fisici, militari e altri in attesa di un lavoro fisso.

Sospirai. Riaddestrare fisici e soldati era già costato tempo prezioso a quelli che dovevano occuparsi dei campi e dei frutteti rimasti in abbandono. — Se mi trovi una ventina di volontari — dissi, — potremo imbarcarli con noi stasera. Preferirei famiglie al completo. O ragazze nubili di cui volete disfarvi.

Lui rise. Me l’ero aspettato, ormai era una specie di battuta. Quando terminammo di discutere sui prezzi e ci fummo accordati per i prossimi carichi di derrate, versò ancora un paio di tazze di caffè e si appoggiò allo schienale della poltroncina, osservandomi pensosamente. — Dominic — disse, — che ne diresti di sistemarti qui e lavorare per me come amministratore?

— No, grazie.

Lui insisté: — Avresti un lavoro molto più comodo. Io resterei qui a occuparmi del traffico, e tu potresti curare la distribuzione delle derrate in città. Adesso abbiamo elettricità e acqua in tutto il West Side. Fra non molto qui si starà davvero bene.

— Dopo che avrete spazzato via un miliardo di tonnellate d’immondezza — sogghignai io.

— Sicuro! Ci diamo da fare. Da qui a cinque anni…

— Da qui a cinque anni — lo interruppi, — noi avremo ripulito San Diego. E quello è un posto come si deve per una città! Per non parlare del clima.

Si fece pensieroso. — Sai, ti confesso che anch’io qualche volta penso di stabilirmi in California, dopo che avremo rimesso le cose a posto qui intorno. Non mi dispiacerebbe Los Angeles…

— Los Angeles! Chi vorrebbe tornare a vivere a Los Angeles? — Gettai uno sguardo al mio orologio. — Mi ha fatto piacere parlare con te, Herby, ma il dirigibile partirà stasera con o senza di me e ci sono delle cosette che vorrei fare. C’è la possibilità di trovare da qualche parte un paio di scarpe come si deve? E magari un impermeabile?

L’atrio del Plaza era molto più lindo di come l’avevo lasciato, e anche più vuoto. Dai centri di quarantena di New York City erano passati circa ventiduemila Peety-Deepies. Al Plaza ne restavano meno di duecento, mentre molti degli altri alberghi erano stati chiusi e sigillati, in attesa dei futuri turisti che sarebbero giunti in auto o in aereo invece che attraverso i portali.