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— E ora non puoi farlo, va bene. — Annuii. — Lo capisco. E questo t’impedirebbe di dirigere altri musicisti?

— Quali altri musicisti?

Sogghignai. — Il nome che si sono dato è Orchestra Filarmonica di Palm Springs. Attualmente sono tutti dilettanti. Non malvagi, intendiamoci. Per loro è un lavoro part-time, visto che fanno parte del nostro collettivo.

— Quale collettivo?

— Io sono l’amministratore del Desert Agricultural Consort — la informai. — È una specie di kibbutz, solo che non lo chiamiamo così perché non siamo ebrei. Un giorno riusciremo a mettere su una buona orchestra di professionisti. Ora come ora… be’, potresti dedicarti anche a un paio d’altri lavori.

— Quale paio di altri lavori?

— Be’, uno sarebbe d’insegnare la musica ai bambini. E anche agli adulti che volessero imparare. Non abbiamo nessun insegnante di musica.

Lei si passò la lingua sulle labbra. Il coniglio in stufato venne deposto sul tavolo, e lo annusò con piacere. — L’altro? chiese, prendendo il cucchiaio per assaggiare il sugo.

— Ecco, l’altro non sarebbe esattamente un lavoro. Voglio dire, ho pensato che potresti, uh, considerare l’idea di sposarmi.

Non credo che prima d’allora qualcosa di me fosse riuscito a sorprenderla. Sono abbastanza sicuro di non aver mai dato a nessuno sorprese di qualche genere, anzi. Neppure a me stesso. Mi fissò intensamente, a lungo, mentre la coscia di coniglio che s’era messa nel piatto diventava fredda… la sua. La mia l’avevo già divorata e me n’ero servito ancora. Avevo fame e quello stufato era delizioso.

— Che mi dici di Greta Comesichiama, la stewardess?

Scossi le spalle. — Le chiesi di venire. Un bell’ologramma di un minuto, col sonoro. Lei rispose di no. — Sorrisi, perché adesso in retrospettiva la cosa mi sembrava divertente. — Mi mandò una di quelle olocartoline tipo auguri, sai? — Ricordavo d’essermela portata in camera un pomeriggio, mentre il senatore non c’era; l’avevo infilata nella fessura del computer e lei era comparsa sullo schermo, bella più che mai. Non ci avevo pianto, ma quasi. — Mi disse: «Nicky, tu sei un caro ragazzo, però non sai tenerti fuori dai guai. Io non ho bisogno di altri guai. Voglio soltanto vivere la mia vita».

Nyla rise. Sapevo che cosa ci stava trovando di comico: il fatto che qualcuno riuscisse a vedere in me un tipo troppo avventuroso per i suoi gusti. — Be’, sei un caro ragazzo, Nicky — ammise.

— Dominic.

— Dominic, d’accordo.

— Questo per quanto riguarda Greta. E di Moe, che mi dici?

Mi considerò fra stupita ed irritata. — Quel gorilla? Che fottuta specie di donna pensi che io sia, Ni… Dominic, eh? — Assaggiò la coscia di coniglio, intingendola nel sugo. — Comunque — disse, — ha cambiato aria. Lui e gli altri due Moe… si sono, per così dire, scoperti l’un l’altro, tutti e tre. E non erano mai stati omosessuali, prima! Però… a sedurli dev’essere stato il pensiero di avere amanti che sapessero tutto di loro. Voglio dire, capisci, sapere esattamente cos’è che ti dà piacere. — Esitò, gettandomi uno sguardo indagatore. — Sai di cosa sto parlando? Intendo il fatto di sapere esattamente come fare, be’, tutto quanto, cosicché…

— So di cosa stai parlando, certo — dissi con fermezza. — E allora che ne pensi?

— Vuoi dire che ne penso di sposarti? — Per qualche minuto s’industriò a spolpare le ossa del coniglio, accigliata. Si stava accigliando sull’idea, non sullo stufato, che era ottimo… anzi meditavo di farmi dare la ricetta dal cuoco. Finì l’ultima cucchiaiata di sugo, vuotò il bicchiere di vino e si guardò attorno con l’aria di chi adesso aspetta il caffè. Feci cenno al cameriere di portarne due tazzine.

— Be’ — disse, dubbiosa. — È sempre simpatico sentirselo chiedere.

— E io l’ho chiesto. A questo punto quello che succede, in genere, è che la ragazza risponde qualcosa.

— Lo so, Dom — disse. — Ci sto provando. Solo che non sono sicura di… insomma, tu che ne sai di me? Non sono esattamente quella che potresti chiamare una sposina vergine, questo lo sai. E, senza offesa, Dominic, tu mi hai sempre dato l’impressione di un classico maledetto bigotto per questo genere di cose.

Dissi: — Nyla, tu e io abbiamo alle spalle un passato che non ci fa precisamente credito. Come hai detto tu, senza offesa; ma eri affascinante quanto il morso di un crotalo. Io ero un sempliciotto. Passato remoto, Nyla. Nessuno ci costringe a essere ancora… no, aspetta un momento. — M’interruppi, mentre il cameriere portava il caffè e il conto. — Voglio dirlo un po’ meglio. Lasciami ricominciare. In un certo mondo noi dovevamo essere quello che eravamo, perché così ci ha fatto il mondo dove abbiamo vissuto. Dire «dovevamo» forse è eccessivo, dato che molto è stato solo per colpa nostra… prendiamo sempre la strada più facile. C’erano strade migliori, anche nel nostro mondo. Ma la colpa non è stata tutta nostra, e avremmo potuto essere migliori. Guarda i nostri duplicati! Il senatore, lo scienziato, e Nyla Bowquist. Potevamo essere come loro! E… possiamo ancora esserlo, cara.

Non era stata mia intenzione usare quell’ultima parola. L’avevo soltanto pensata, e senza che lo volessi m’era uscita di bocca. All’istante la vidi socchiudere leggermente le palpebre. Potei accorgermi che ne assaggiava il suono come analizzando un sapore nuovo. Non mi parve che lo trovasse repellente. M’affrettai a dire: — Il senatore si sta occupando dell’amministrazione della metà occidentale della città, adesso. Nyla è incinta. Quei due sono riusciti a cambiare le loro vite. Noi possiamo cambiare le nostre.

Lei sorseggiò il caffè, studiandomi da sopra il bordo della tazzina. — Dunque è di questo che stai parlando, Dom. Non solo matrimonio, ma anche bambini? Una bianca casetta di campagna, con le rose che si arrampicano sulla veranda e il caffè caldo fra i fiori profumati ogni mattina?

Sorrisi. — Non posso garantirti il caffè, perché il Consorzio non si può ancora permettere il superfluo. Ma il resto, certo. Anche le rose, se ti piacciono le rose.

Abbassò lo sguardo. Mi parve che le sue spalle s’incurvassero. — Dannazione! — disse. — Io amo le rose.

— Questo significa un sì oppure un no? — la incalzai.

— Be’, non c’è una legge che ci impedisca di provare questa cosa — disse. Mise giù la tazzina e mi fissò. — Perciò… sì. Desideri baciare la tua fidanzata, adesso?

— Ci puoi scommettere — sogghignai. E lo feci. Quella fu così la prima volta che la baciai. La sua bocca sapeva di caffè, di stufato di coniglio e di lei stessa, e lo trovai un delizioso miscuglio. — E ora — dissi, rimettendomi a sedere, — faremo meglio a muoverci. Tu devi prendere la tua roba, e poi dire alla gente là al museo che tagli la corda. Diciamo due ore, per questo. Ci restano ancora un paio d’ore, così magari possiamo andare in giro a comprare quello che pensi ti servirà in California, prima che il dirigibile decolli. Durante il volo costringeremo il capitano a sposarci a bordo.

S’era di nuovo portate alle labbra la tazzina di caffè e la sorseggiò. — Cristo, Dom! — protestò, come se solo in quel momento scoprisse dove stava andando a cacciarsi. — Agguanteresti un’anguilla coi denti se non ci riuscissi con le mani, tu. È una faccenda legale?

— Cara — dissi, stavolta di proposito. — Forse tu hai perso un po’ di vista come vanno le cose qui. È una vita nuova. Non dobbiamo preoccuparci di quello che una volta era legale o no. C’erano troppe leggi e di troppi generi nei mondi da cui tutti noi siamo venuti, così per andare avanti dobbiamo lasciarcela alle spalle. E fra le tante cose che abbiamo trovato qui, questa è la migliore.