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Ma, ovviamente, lo strano giovane non era un Progressore. Fra parentesi, non sarebbe potuto diventare Progressore: non aveva il tipo di organizzazione nervosa adatta. No, non era un Progressore, ma un artista, un pittore che aveva subìto un grosso insuccesso creativo. E non era il primo e nemmeno il decimo caso nell’ampia casistica del dottor Goannek. Si ricordava… E il dottor Goannek cominciò ad enumerare un caso più bello dell’altro, ovviamente sostituendo i nomi originali con tutti i possibili X, Beta ed addirittura Alfa…

Il turista Kammerer, ex Progressore e uomo di natura piuttosto rozza, interruppe alquanto scortesemente questo istruttivo racconto, dichiarando che lui personalmente non sarebbe stato d’accordo a vivere nello stesso posto di un artista matto. Era un’osservazione avventata, e il turista Kammerer venne rimesso subito al suo posto. Innanzi tutto, fu analizzata la parola “matto”, fu esaminata fin nei minimi particolari e fu rilevato che si trattava di un termine scorretto in senso medico e per di più approssimativo. E solo dopo il dottor Goannek, con tono insolitamente sarcastico, comunicò che il summenzionato artista “matto”, presentendo, evidentemente, l’arrivo del Progressore Kammerer e tutti i problemi legati a questo arrivo, si era anche lui rifiutato di convivere nello stesso posto, e la mattina presto se ne era andato coi primo bioplano che era capitato. Inoltre, aveva avuto tanta fretta di non incontrare il turista Kammerer che non aveva fatto neppure in tempo a salutare il dottor Goannek.

L’ex Progressore Kammerer non mostrò però alcun segno di astio, accettò per buono quello che gli si diceva ed espresse la sua piena soddisfazione per la circostanza che il luogo era adesso privo di artisti dai nervi esauriti e che perciò ora poteva senza problemi scegliersi il posto più adatto per il soggiorno.

— Dov’è che abitava questo nevrastenico? — chiese, e subito si affrettò a spiegare: — Lo chiedo, per non andare là pure io.

La conversazione ormai avveniva sul terrazzino con la balaustra. Il dottore, un po’ scioccato, indicò in silenzio un pittoresco cottage con un grande numero sei blu, leggermente discosto dalle altre costruzioni, proprio vicino alla scarpata.

— Magnifico, — annunciò il turista Kammerer. — Allora, non andremo là. Invece andiamo tutti e due da questa parte… Mi piace perché il sorbo selvatico per di qua è più folto…

Era chiarissimo fin dall’inizio che il cordiale dottor Goannek aveva intenzione di proporre e, in caso di rifiuto, anche di imporre la sua persona in qualità di accompagnatore e guida dei «Pioppi». Il turista ed ex Progressore Kammerer si era però rivelato una persona poco cortese e grossolana.

— Certo, — rispose freddamente. — Le consiglio di andare per questo sentiero. Da li si arriva al cottage numero dodici…

— Come? E lei?

— Mi scusi, ma di solito dopo il tè ho l’abitudine di fare un riposino sull’amaca…

Indubbiamente sarebbe bastato un unico sguardo avvilito perché il dottor Goannek si ammorbidisse subito e cambiasse le sue abitudini in nome delle leggi dell’ospitalità. Perciò il grossolano e coriaceo Kammerer si affrettò a dare l’ultima pennellata.

— Maledetti anni, — esclamò pieno di comprensione. Era il tocco finale.

Ribollendo di muta indignazione, il dottor Goannek si diresse verso la sua amaca, e io mi tuffai in mezzo ai cespugli di sorbo, aggirai il padiglione medico e, tagliando obliquamente il pendio, mi diressi al cottage del nevrastenico.

2 giugno dell’anno 78. Nell’isba numero sei

Era abbastanza chiaro che, con ogni probabilità, «I Pioppi» non avrebbero più rivisto Lev Abalkin e che, nella sua temporanea residenza, non avrei trovato niente di utile. Ma due cose non mi erano del tutto chiare. Come aveva fatto Lev Abalkin a finire proprio ai «Pioppi», e perché? Dal suo punto di vista, se si stava nascondendo sarebbe stato molto più logico e meno pericoloso rivolgersi ad un medico in una grande città. Per esempio, a Mosca, che distava dieci minuti di volo, oppure a Valdai, che distava appena due minuti di volo. Probabilmente era finito lì per puro caso: o non aveva fatto caso alla previsione della tempesta di neutrini, oppure per lui un posto valeva l’altro. Aveva bisogno di un medico, con urgenza, a ogni costo. Perché?

E un’altra cosa era strana. Possibile che un medico centenario e dalla lunga esperienza si fosse sbagliato al punto di giudicare un esperto Progressore come non adatto a questa professione? È difficile. Tanto più che la questione dell’orientamento professionale di Abalkin non è la prima volta che me la trovo davanti… Sembra una cosa senza precedenti. Una cosa è inviare alla scuola dei Progressori una persona nonostante le sue inclinazioni professionali, tutt’altra è far diventare Progressore una persona che non ha il sistema nervoso adatto. In un caso del genere bisognerebbe allontanarlo dal lavoro, e non temporaneamente, ma per sempre, perché puzza non di inutile spreco dell’energia umana, ma di morte… A proposito, Tristan è già morto… E pensai che, trovato Lev Abalkin, dopo avrei dovuto assolutamente trovare le persone per colpa delle quali è successo questo pasticcio.

Come mi aspettavo, la porta del temporaneo rifugio di Lev Abalkin non era chiusa. Il piccolo ingresso era vuoto, su un basso tavolino tondo, sotto la lampada a gas, troneggiava un giocattolo: un orsetto panda che chinava con solennità la testa, facendo lampeggiare gli occhietti color rubino.

Diedi un’occhiata a destra, nella camera da letto. Evidentemente, qui da almeno due o tre anni non entrava nessuno; persino l’impianto automatico di illuminazione non era stato messo in funzione, e sopra il letto rifatto pendevano, scure nell’angolo, le ragnatele intessute da ragni ormai stecchiti.

Aggirai il tavolino e mi diressi in cucina. Questa era stata utilizzata. Sul tavolo ribaltabile c’erano dei piatti sporchi, la finestrella della linea di approvvigionamento era aperta, e nella cassetta di ricevimento faceva bella mostra di sé un pacchetto non ritirato con alcune banane. Evidentemente, là nel quartier generale «Ž», Lev Abalkin era abituato a valersi dei servigi di un attendente. Però, poteva essere benissimo che non sapesse come far funzionare l’automa pulitore.

La cucina in un certo qual modo mi preparò a quello che avrei trovato in salotto. Per la verità, solo in parte. Il pavimento era completamente ricoperto di pezzi di carta, l’ampio divano in disordine, i cuscini colorati buttati qua e là, sul pavimento, negli angoli più lontani della stanza. La poltrona era rovesciata; sul tavolino, in disordine, piatti col cibo ormai secco e piatti sporchi; al centro svettava una bottiglia stappata di vino, mentre un’altra bottiglia, che aveva lasciato dietro di sé, sul tappeto, una scia appiccicosa, era appoggiata ad una parete. C’era, chissà perché, un solo boccale con residui di vino, ma poiché la tenda della finestra era strappata e rimaneva appesa solo per un pelo, pensai subito che il secondo boccale fosse volato fuori, attraverso la finestra aperta.

Carta spiegazzata se ne trovava non solo sul pavimento, e non tutta era spiegazzata. Alcuni fogli biancheggiavano sul divano, pezzi stracciati erano finiti nei piatti con il cibo, e piatti e vassoio erano stati spostati un po’ da una parte per far posto a un’intera risma di carta.

Feci cautamente qualche passo avanti, e subito qualcosa di duro mi rotolò sotto la pianta nuda del piede. Si trattava di un pezzetto di ambra, simile a un dente con due radici. Era stato traforato. Mi accoccolai, mi guardai in giro e trovai altri pezzettini uguali, e resti di una collana di ambra si trovavano sotto il tavolo, vicino al divano.

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