Tornato a casa in calle Bailén, andò dritto in cucina e bevve a collo dalla bottiglia di acqua gelida presa dal frigo. Il campanello della porta. Erano le nove e mezzo di sera, nessuno veniva mai a trovarlo a quell'ora.
Andò ad aprire. La signora Jiménez era in piedi a due metri di distanza dal portone, come se ci avesse ripensato.
«Stavo andando a prendere il mio bagaglio all'hotel Colón», spiegò. «Mi sono ricordata che lei abitava da queste parti e ho provato a vedere se era in casa.»
Una coincidenza notevole, considerando che era rientrato in quel momento.
La fece accomodare. Gli parve pettinata in modo diverso, un'acconciatura meno strutturata. Indossava un tailleur di lino nero e ciabattine di raso rosso con i tacchetti che alleggerivano quella tenuta da vedova. La donna si diresse per prima verso il patio e Falcón si avviò dietro di lei, lo sguardo sui talloni nudi e sulle gambe dai muscoli che si contraevano a ogni passo.
«Vedo che conosce la casa», osservò.
«Conosco soltanto il patio e la stanza dove suo padre mostrava i suoi lavori», spiegò la signora Jiménez. «Non ha fatto cambiamenti, mi pare.»
«Perfino i quadri sono rimasti dov'erano», disse lui, «dove li aveva esposti l'ultima volta. Encarnación li spolvera. Dovrei staccarli… sistemare le cose.»
«Mi meraviglia che non l'abbia fatto sua moglie.»
«Ha tentato. Ma io non mi sentivo ancora pronto allora, capisce, non ero pronto a spogliare completamente la casa della sua presenza.»
«Una presenza formidabile.»
«Sì, qualcuno ne era intimidito, ma non lo avrei detto di lei, signora Jiménez.»
«Sua moglie, però, forse si sentiva in soggezione… o sopraffatta. Sa, a una donna piace sistemare la casa in modo da sentirla sua e soffre un po' se…»
«Vuole dare un'occhiata?» domandò Falcón, avanzando nel patio, poco disposto a permetterle intrusioni nella sua vita privata.
Il ticchettio sexy dei tacchi risuonò sulle vecchie lastre di marmo intorno alla fontana. Falcón aprì la porta a vetri e, accesa la luce, la invitò a entrare, notando l'immediato stupore allarmato sul suo viso.
«Che c'è?» domandò.
Consuelo Jiménez fece lentamente il giro della stanza, osservando ogni dipinto, dalle cupole e i contrafforti della Iglesia de El Salvador all'Ercole sulla colonna dell'Alameda.
«Sono tutti qui!» esclamò guardandolo, stupefatta.
«Che cosa?»
«I tre quadri che ho comprato da suo padre.»
«Ah.» Falcón non fece mostra d'imbarazzo.
«Mi aveva detto che si trattava di originali.»
«Lo erano… quando li ha venduti.»
«Non capisco», disse lei, stringendosi la giacca alla vita, seccata ora.
«Mi dica, signora Jiménez, quando mio padre le ha venduto i quadri… prima le aveva offerto qualcosa da bere, qualche tapa nel patio? E poi, che cosa? L'ha presa per il gomito e l'ha portata qui, non è vero? Le ha per caso bisbigliato, stando in piedi dietro di lei: 'In questa stanza è tutto in vendita… tranne quello'?»
«È esattamente ciò che ha detto.»
«E lei ci è cascata tre volte?»
«Certo che no. Ha detto così la prima volta…»
«Ma è stato proprio quello il quadro che ha comprato, no?»
La signora Jiménez lo ignorò. «La volta dopo mi ha detto: 'Questo è troppo costoso per lei'.»
«La volta dopo ancora?»
«'La cornice è assolutamente sbagliata… non potrei mai venderglielo.'»
«E ogni volta lei ha comprato i dipinti che secondo mio padre non avrebbe dovuto o potuto comprare.»
La donna batté il piede per terra, furiosa per l'umiliazione a posteriori.
«Non si inquieti così, signora Jiménez», cercò di consolarla Falcón. «Nessun altro possiede i quadri che le appartengono, lui non era né stupido, né sbadato. Era solo un giochetto che lo divertiva.»
«Gradirei una spiegazione», disse la donna e Falcón si rallegrò di non essere un suo dipendente.
«Io posso dirle soltanto come andavano le cose, non sono mai stato certo del perché lo facesse», rispose Javier. «Non partecipavo mai ai suoi ricevimenti, rimanevo in camera mia a leggere gialli americani. Dopo che gli ospiti se n'erano andati, mio padre, che a quel punto era regolarmente ubriaco, spalancava la porta della mia stanza, che io dormissi o no, e gridava: 'Javier!', sventolandomi un fascio di banconote in faccia. Il suo incasso della sera. Se ero già addormentato borbottavo qualcosa di incoraggiante, se ero ancora sveglio gli facevo un cenno col capo al di sopra del libro. Poi lui andava dritto nello studio e dipingeva lo stesso identico quadro che aveva appena venduto. La mattina dopo era già incorniciato e appeso al muro.»
«Che individuo strano!» commentò lei, disgustata.
«Una volta sono stato a guardare mentre dipingeva quello là, il tetto della cattedrale. Sa quanto tempo ha impiegato?»
La signora Jiménez osservò il dipinto, una serie enormemente complicata di contrafforti volanti, di mura, di cupole eseguite con energia cubista.
«Diciassette minuti e mezzo», disse Javier. «Mi aveva chiesto di cronometrarlo. Era ubriaco e sotto l'effetto della droga in quel momento.»
«Ma qual era il punto?»
«Il cento per cento di utile di quella sera.»
«Ma perché un uomo come lui avrebbe dovuto…? Voglio dire, è assolutamente ridicolo. Erano cari, ma non credo di aver pagato più di un milione per nessuno dei tre. Che cosa cercava di fare? Aveva bisogno di quei soldi o qualcosa del genere?»
Silenzio mentre un vento caldo faceva il giro del patio.
«Le piacerebbe riavere i suoi soldi?» domandò Falcón.
La donna distolse lentamente lo sguardo dal quadro, girandosi verso di lui e fissandolo.
«Non li ha mai spesi», spiegò Falcón. «Nemmeno una peseta. Non li ha nemmeno depositati in banca. Sono tutti in una scatola di detersivo vuota nel suo studio.»
«E che cosa significa tutto questo, Don Javier?»
«Significa… che forse non dovrebbe prendersela tanto con Francisco Falcón, perché, in fondo, ciò che faceva danneggiava prima di tutto lui stesso.»
«Posso fumare?»
«Certamente. Usciamo sul patio, le porto qualcosa da bere.»
«Un whisky, se ce l'ha. Ho bisogno di qualcosa di forte dopo questa sorpresa.»
Si accomodarono sulle sedie di ferro battuto davanti a un tavolino di mosaico sotto l'unica lampada, sorseggiando il whisky. Falcón le chiese notizie dei bambini, lei rispose, la mente altrove.
«Sono andato a Madrid venerdì», disse Javier. «A parlare con il figlio maggiore di suo marito.»
«Lei è molto scrupoloso nelle indagini, Don Javier», osservò la donna. «Non sono abituata a tanto rigore professionale dopo tutti questi anni di vita tra gli indigeni.»
«Sono particolarmente scrupoloso, quando il caso mi affascina.»
La donna accavallò le gambe, flettendo le dita del piede sotto la fascia di raso rosso della ciabattina puntata verso di lui. Gli suggerì l'impressione di una donna che ci sapesse fare a letto e fosse molto esigente, ma che sapesse anche ricompensare. Pensieri lascivi seguirono i pensieri oziosi ed egli la vide davanti a sé, in ginocchio, con la gonna nera tirata su fino alle anche, la testa girata per guardarlo al di sopra della spalla. Scosse la testa, poco abituato a quelle fantasticherie incontrollate che gli si scatenavano nella mente. Compì uno sforzo consapevole per dominarsi, concentrandosi sul ghiaccio nel bicchiere.
«Voleva sapere perché Gumersinda si è suicidata», disse la signora Jiménez.