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Al suo arrivo le chiavi non erano ancora state trovate, e ciò lasciò il tempo di sopraggiungere all'ambulanza, seguita da Calderón e infine da Felipe e Jorge della Policía Científica.

Alle sette e venti un vicino trovò il mazzo di chiavi di riserva e Falcón entrò nella casa con Calderón. Entrambi si erano infilati i guanti di lattice e si diressero subito alla grande stanza sul retro. La parete di fondo era interamente occupata da una libreria, al centro della stanza c'era una scrivania composta da un piano di vetro spesso tre centimetri sostenuto da due cubi di legno nero. Il computer, un iMac, era acceso. Sulla parete dietro la scrivania, quattro riproduzioni di grande qualità dei nudi Falcón. Ramón Salgado giaceva sul fianco tra quel muro e la scrivania, legato a una sedia dall'alto schienale di pelle, un polso intrappolato sotto di lui, l'altro assicurato alla gamba posteriore della sedia in modo che la mano fosse rivolta verso il basso. Una caviglia nuda era legata alla gamba anteriore della sedia e l'altro piede era stato sollevato verso il soffitto per mezzo di un cordone che stringeva l'alluce con un nodo scorsoio. Il cordone passava attraverso una piccola carrucola nascosta sotto una barra di acciaio con quattro faretti, fissata al soffitto, e scendeva fino al collo, probabilmente rotto, di Salgado, stringendolo e tirandolo verso l'alto, tanto che la testa ciondolante rimaneva sollevata dal suolo. Un'ispezione più attenta rivelò che la fune era bloccata contro la carrucola da un nodo.

«Non appena la sedia si è rovesciata», disse Falcón, «è morto.»

Calderón girò intorno alla pozza di sangue sul pavimento.

«Che diavolo è successo qui prima che morisse?» domandò.

Il Médico Forense, lo stesso che aveva esaminato Raúl Jiménez, comparve sulla soglia.

Falcón non aveva mai visto qualcuno di sua conoscenza morto assassinato e non riusciva a togliersi dalla mente l'ultima volta che si era incontrato con Salgado e avevano bevuto manzanilla nel bar Albariza. Nel vederlo ora privo di vita, sul pavimento insanguinato, nel constatare quella morte così indegna, fu preso dal rimorso di aver provato antipatia nei suoi confronti. Si spostò verso la libreria per vedere la faccia di Salgado. Era sporca di sangue, le guance gonfie a causa dei calzini che gli erano stati ficcati a forza in bocca, il colletto della camicia inzuppato. Gli occhi lo fissavano e Falcón sussultò. Nel sangue non ancora del tutto coagulato sul pavimento vide ciò che aveva temuto di vedere: un piccolo semicerchio con ciglia sottili.

Furono scattate fotografie, Felipe e Jorge cominciarono a raccogliere campioni da ogni chiazza sul pavimento, finché non fu possibile ripulire uno spazio sufficiente perché il medico legale si inginocchiasse accanto al cadavere e cominciasse a borbottare le sue osservazioni nel registratore: una descrizione fisica di Salgado, un elenco delle lesioni subite e la probabile causa della morte.

«… perdita di sangue dovuta alle ferite alla testa provocate dagli urti contro gli spigoli e i lati taglienti dello schienale… palpebre rimosse… segni di asfissia… collo probabilmente spezzato… ora del decesso: entro le otto ore precedenti…»

Falcón porse a Calderón il suo cellulare e gli fece sentire la chiamata delle 2.45. Caderón ascoltò e passò il telefono al Médico Forense.

«'Sai che cosa fare'?» Calderón ripeté le istruzioni di Sergio a Salgado, disorientato.

«Quella carrucola non è stata messa lì dall'assassino», intervenne Falcón. «C'era già. Chissà come, Sergio era al corrente della predilezione di Salgado per l'autostrangolamento. Gli ha detto che poteva mettere fine a tutto spingendo la sua predilezione sessuale oltre il limite.»

«Autostrangolamento?» ripeté Calderón.

«Essere vicini all'asfissia durante un'esperienza sessuale rende più intenso il godimento», spiegò Falcón. «Sfortunatamente, la pratica ha i suoi rischi.»

Cose… che tu non saresti nemmeno capace di sognare, pensò Falcón.

Un agente si affacciò alla porta. Un poliziotto della stazione in fondo alla strada voleva parlare con Falcón a proposito di un'effrazione della quale si era occupato, avvenuta nella casa di Salgado due settimane prima. Falcón parlò con il poliziotto nell'ingresso e gli domandò dove fosse avvenuta.

«È questa la cosa strana, Inspector Jefe, non c'era nessun segno visibile e il signor Salgado aveva detto che non era stato rubato nulla. Però era sicuro che qualcuno fosse entrato e avesse trascorso il fine settimana nella casa.»

«Perché ne era convinto?»

«Non l'ha saputo dire.»

«Il sabato e la domenica viene la domestica?»

«No, mai. E il giardiniere lavora qui il fine settimana solo durante l'estate, ha il compito di annaffiare le piante. Al signor Salgado non piaceva essere disturbato quando era a casa.»

«Stava via spesso?»

«Così mi ha detto.»

«Lei ha controllato bene?»

«Certamente, e lui mi veniva dietro.»

«Nessun punto debole?»

«A pianterreno no, ma c'è una mansarda con un terrazzo e una porta dalla serratura ridicola.»

«Per arrivarci?»

«Una volta sul tetto del garage, quasi chiunque sarebbe in grado di salire fin lassù», disse il poliziotto. «Io gli ho consigliato di cambiare la serratura, di mettere un chiavistello alla porta… non ascoltano mai…»

Falcón salì in mansarda. Il poliziotto confermò che la serratura non era stata cambiata; la chiave era caduta sul pavimento e il battente si muoveva nello stipite.

Nello studio di Salgado l'esame del medico era terminato; Felipe e Jorge, di nuovo chini sul pavimento, raccoglievano campioni di sangue. Falcón chiamò Ramírez, lo aggiornò sull'accaduto e gli disse di raggiungerlo a El Porvenir con Fernández, Serrano e Baena: c'era molto da fare anche solo per interrogare i vicini prima che uscissero per andare al lavoro.

«Sul desktop del computer c'è un'icona», disse Calderón, «Familia Salgado, e sotto la tastiera c'è un cartoncino con su scritto: 'Lezione di vista numero tre'.»

Era passato mezzogiorno quando Calderón firmò il levantamiento del cadaver. Felipe e Jorge avevano impiegato ore per raccogliere campioni da ogni singolo schizzo di sangue, nel caso uno di questi appartenesse all'assassino. Salgado venne portato via, gli addetti alla pulizia del luogo del delitto disinfettarono la stanza, la sedia fu avvolta nella plastica e trasportata al laboratorio della polizia. Alle 12.45 Falcón, Ramírez e Calderón potevano sedere davanti al computer e guardare Familia Salgado.

Il filmato cominciava con numerose riprese di Salgado che usciva di casa con la cartella e saliva su un taxi, seguite da altre, altrettanto numerose, di Salgado che scendeva dal taxi in plaza Nueva e percorreva a piedi la calle Zaragoza fino alla sua galleria. Seguiva una serie di stacchi: Salgado in un caffè, Salgado in un ristorante, Salgado davanti al bar La Company, Salgado che guardava le vetrine, Salgado al Corte Inglés.

«Sì, va bene… e con questo?» disse Ramírez.

«Quell'uomo passava molto tempo da solo», osservò Calderón.

La scena successiva mostrava Salgado che arrivava alla porta di una casa, una classica porta sivigliana di legno verniciato con borchie di ottone lucido. Tornava più e più volte a quella casa, riconoscibile per la facciata color terracotta, con la cornice della porta e i fregi di un giallo crema.

«Sappiamo dov'è quella casa?» domandò Calderón.

«Sì, lo sappiamo», rispose Falcón, «è casa mia… la casa di mio padre. Salgado era il suo gallerista.»

«Se suo padre è morto», osservò Calderón, fermando il filmato, «perché Salgado…?»

«Cercava continuamente di ottenere il permesso di entrare nello studio di mio padre. Aveva le sue ragioni, ma non ha voluto rivelarmele.»