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Nell’ultima fila, dove le sedie erano addossate alle spalliere della palestra, sedeva un uomo dall’aspetto robusto, che indossava una giacca di pelle nera. Aveva una quarantina d’anni, gli occhi scuri e i capelli più grigi su un lato della testa che sull’altro. Sembrava a disagio e un po’ confuso. Si voltò verso l’uomo seduto accanto a lui.

«Tutte balle» disse Thorne.

L’ispettore capo Russell Brigstocke lo fissò, severo. Un poliziotto rosso di capelli, seduto un paio di file più avanti, li zittì. Un sostenitore di Ellis, evidentemente.

«Balle» ripeté Thorne.

Di solito, a quell’ora del lunedì mattina, la palestra del Peel Centre era piena di allievi poliziotti scalpitanti. Tuttavia, poiché era l’unico spazio abbastanza grande in cui tenere quell’“Incontro per una giustizia riparatrice”, i giovani aspiranti agenti erano andati a fare le loro flessioni da un’altra parte. Il pavimento della palestra era coperto da un telo verde plastificato e da una cinquantina di sedie, su cui erano seduti i sostenitori sia del criminale, sia delle vittime. C’erano anche alcuni funzionari, invitati perché potessero aggiornarsi su quell’ultima iniziativa.

Becke House, l’edificio in cui Thorne e Brigstocke avevano i loro uffici, faceva parte dello stesso complesso. Mezz’ora prima, mentre percorrevano il breve tratto che li separava dalla palestra, Thorne non aveva fatto altro che lamentarsi.

«Se si tratta solo di un invito, perché non posso declinarlo?»

«Piantala» l’aveva zittito Brigstocke. Erano in ritardo e lui camminava in fretta, cercando di non versare il caffè bollente dal bicchiere di plastica che aveva in mano.

Thorne lo seguiva a un passo o due di distanza. «Oh, accidenti, ho dimenticato il biglietto d’invito. Forse non mi lasceranno entrare.»

Brigstocke era rimasto indifferente alla battuta.

«E se non sono abbastanza elegante? Forse è obbligatorio l’abito scuro…»

«Non ti sto ascoltando, Tom…»

Thorne aveva scosso la testa, sferrando un calcio a un ciottolo, come un ragazzino imbronciato. «Sto solo cercando di capire. Quello schifoso animale lega un’anziana coppia con un filo elettrico, dà un paio di calci al vecchio rompendogli… quante costole?»

«Tre…»

«Tre, grazie. Piscia sulla moquette, si frega tutti i loro risparmi, e ora noi corriamo a vedere quanto gli è dispiaciuto d’averlo fatto?»

«Hanno usato questo sistema in Australia e i risultati sono stati ottimi. Il tasso di recidività è sceso parecchio.»

«In pratica, si tratta di una bella riunione prima della sentenza e, se tutti sono d’accordo che il criminale è davvero pentito, la condanna sarà più mite. Giusto?»

Brigstocke aveva bevuto un ultimo sorso di caffè bollente e aveva gettato il bicchiere ancora mezzo pieno in un bidone. «Non è così semplice.»

Giugno era iniziato da più di una settimana, ma l’aria non aveva ancora avuto il tempo di riscaldarsi.

Thorne aveva affondato le mani nelle tasche della giacca di pelle. «No, ma è semplicistica la mente di chi ha avuto questa bella pensata.»

Nella palestra, il pubblico vide Darren Ellis abbassare le mani strette a pugno con cui si era coperto il volto, rivelando occhi rossi e umidi. Thorne osservò i presenti in sala. Alcuni scuotevano la testa con aria triste. Altri prendevano appunti. In prima fila, gli avvocati di Ellis si passavano fogli di carta.

«Se dicessi che anch’io mi sono sentito una vittima, ridereste di me?» chiese Darren.

Il vecchio lo fissò con calma prima di rispondere. «No, ma ti spaccherei volentieri i denti.»

«Le cose non sono sempre così chiare» disse Darren.

Il vecchio si piegò verso di lui attraverso il tavolo. «Ti dirò io che cosa è chiaro.» Gettò una rapida occhiata alla moglie. «Lei non dorme più dalla notte in cui sei entrato in casa nostra. Bagna il letto…» La sua voce divenne un sussurro «…ed è diventata così magra…»

Qualcosa a metà tra un singhiozzo e un sospiro echeggiò nella palestra, quando Darren si prese di nuovo il viso tra le mani e diede libero sfogo alle emozioni. Un avvocato si alzò in piedi. Un ispettore anziano si avvicinò al tavolo.

Thorne si chinò verso Brigstocke e disse, a voce non troppo bassa: «È bravissimo. Dove ha studiato, all’Accademia di arte drammatica?». Stavolta, tra le facce che si girarono a fissarlo con disapprovazione, c’erano quelle di molti superiori.

Dieci minuti dopo, erano tutti nell’atrio, fuori dalla palestra. Acqua minerale, biscotti e molte chiacchiere a bassa voce.

«Mi tocca anche scrivere un rapporto su questo evento» mugugnò Brigstocke.

Thorne rivolse un cenno di saluto a due membri della Squadra 6. «Meglio che sia toccato a te, piuttosto che a me.»

«Sto cercando il termine giusto per descrivere l’atteggiamento di alcuni membri del mio gruppo. Non collaborativo? Insolente? Hai qualche idea?»

«Questa è una delle messinscene più stupide cui abbia mai assistito. Non riesco a credere che tutta questa gente l’abbia presa sul serio e non me ne frega niente dei risultati ottenuti in Australia. Anzi, no, “stupido” non è l’aggettivo giusto. È stata una cosa oscena. Tutti quei deficienti intenti a studiare le espressioni sulla faccia di un bastardo. Quante lacrime? Quanto erano grosse? Quanta vergogna ha mostrato?» Thorne bevve un sorso d’acqua, lo tenne in bocca per qualche secondo, poi lo inghiottì. «Hai visto la faccia di quella donna, eh? L’hai vista?»

Il telefono cellulare di Brigstocke squillò. Lui si affrettò a rispondere, ma Thorne non smise di parlare. «Giustizia riparatrice! Per chi? Per quel vecchio e per quello scheletro ambulante di sua moglie?»

Brigstocke scosse la testa irritato e gli voltò le spalle.

Thorne appoggiò il bicchiere sul davanzale di una finestra. Vide un gruppo di persone emergere da una porta dall’altra parte dell’atrio e si diresse rapidamente verso di loro, facendosi strada a spintoni tra la folla.

Darren Ellis si era tolto giacca e cravatta. Era in manette, fiancheggiato da due ispettori.

«Bella esibizione, Darren» disse Thorne. Sollevò le mani e iniziò ad applaudire.

Ellis lo fissò, aprendo e chiudendo la bocca con un’espressione di disagio che, quella sì, appariva spontanea. Lanciò un’occhiata ai suoi accompagnatori, in cerca d’aiuto.

Thorne sorrise. «Non ci hai concesso il bis. Si dice che sia meglio finire sempre con una canzone…»

L’ispettore alla sinistra di Ellis, un tipo inagrissimo con il colletto della giacca bianco di forfora, fece del suo meglio per assumere un aspetto duro. «Va’ al diavolo, Thorne.»

Prima di avere la possibilità di controbattere, Thorne notò Russell Brigstocke che si dirigeva a passi lunghi verso di lui e smise di prestare attenzione ai due ispettori che, nel frattempo, stavano pilotando Ellis nella direzione opposta. L’espressione sulla faccia del suo ispettore capo gli fece venire un nodo allo stomaco.

«Se vuoi fare un po’ di giustizia riparatrice, ecco la tua occasione» disse.

Sull’insegna c’era scritto “hotel”, ma Thorne sapeva che certe definizioni, nelle zone più malfamate di Londra, non andavano prese troppo alla lettera. Se insegne del genere avessero detto il vero, molti uomini d’affari sarebbero rimasti seduti invano dentro presunte “saune”, in attesa di lavoretti di mano che nessuno avrebbe mai fatto loro.

Su quell’insegna avrebbe dovuto esserci scritto “buco merdoso”.

Era un posto che sarebbe stato lusinghiero definire spartano. La moquette marrone lisa lasciava intravedere in molti punti la sottostante base di gomma verde. Una pianta morta da tempo giaceva sul davanzale, coperta di polvere. Thorne scostò le sudicie tende arancioni e si affacciò sul traffico che dalla stazione di Paddington si spingeva lentamente verso Marylebone Road. Erano quasi le undici e sembrava ancora l’ora di punta.