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«Pronto?»

«Oh… salve.» Una voce di donna.

Thorne incrociò lo sguardo di Holland. «Con chi desidera parlare?» Teneva il microfono a qualche centimetro dall’orecchio, perciò non riuscì a udire bene la risposta. «Mi scusi, la linea è disturbata, potrebbe parlare più forte?»

«Va bene così?»

«Perfetto. Allora, con chi desidera parlare?» chiese Thorne di nuovo, con tono indifferente.

«Oh, ecco… non lo so, in realtà…»

Thorne fissò di nuovo Holland e scosse la testa. Merda, non sarebbe stato facile. «Con chi parlo?»

«Prego?»

«Chi è lei?»

Ci fu una breve pausa prima della risposta. La voce si era fatta appena più tesa. Tranquilla, comunque, e ricercata. «Ascolti, non vorrei sembrarle scortese, ma qualcuno da lì mi ha chiamato. E io non ho particolarmente voglia di lasciare il mio…»

«Sono l’ispettore Thorne, dell’Unità per i Reati Gravi…»

Un’altra pausa. Poi: «Credevo di aver chiamato un hotel…».

«Infatti, è così. Ora può dirmi il suo nome?» Thorne guardò di nuovo Holland, che aspettava con il taccuino aperto e la penna in mano, e mimò uno sbuffo.

«Lei potrebbe essere chiunque» obiettò la donna.

«Ascolti, se questo può servire a tranquillizzarla, la richiamo. Anzi, le darò un numero che lei potrà chiamare per controllare. Chieda dell’ispettore capo Russell Brigstocke. E le darò anche il mio cellulare…»

«A cosa mi serve il suo cellulare, se ha detto che mi richiamerà lei?»

Quella conversazione cominciava a diventare grottesca. A Thorne sembrò di cogliere una nota divertita, forse anche un po’ seduttiva, nella voce della donna. Il che non sarebbe stato affatto sgradevole, in una mattina del genere, ma non era dell’umore giusto.

«Signora, il telefono da cui le parlo si trova in una stanza d’hotel in cui è avvenuto un delitto e io devo sapere il motivo della sua chiamata.»

Sembrò che la donna avesse afferrato il messaggio. Con voce un po’ spaventata, rispose alla richiesta.

«Stamattina, appena arrivata al lavoro, ho controllato i messaggi sulla segreteria. Questo era il primo. L’uomo che ha chiamato ha lasciato il nome dell’hotel e il numero della stanza per la consegna…»

“L’uomo che ha chiamato”: si trattava del morto?

«Che cosa diceva il messaggio?»

«Era un’ordinazione. Ma a un’ora un po’ assurda. Per questo prima ero diffidente. Pensavo che potesse trattarsi dello stupido scherzo di qualche ragazzino.»

«Quell’uomo le ha lasciato il suo nome?»

«No, e questo è uno dei motivi per cui ho telefonato. Volevo un nominativo e un numero di carta di credito. Non faccio consegne in contrassegno.»

«Cosa intende dire quando parla di “un’ora un po’ assurda”?»

«L’ordinazione è stata fatta alle tre e dieci del mattino. La mia è una di quelle segreterie telefoniche che registrano l’ora precisa di ogni messaggio.»

Thorne abbassò la cornetta, premendosela contro il petto, e guardò Hendricks. «Conosco l’ora della morte. Scommetto dieci sterline che è stato al massimo mezz’ora prima o dopo…»

«Pronto?»

Thorne si portò di nuovo il ricevitore all’orecchio. «Mi scusi, stavo parlando con un collega. Le chiedo di mettere da parte la cassetta della sua segreteria telefonica, signora…»

«Eve Bloom.»

«Ha parlato di un’ordinazione, giusto?»

«Ah, non gliel’ho detto? Sono una fioraia. E lui ha ordinato dei fiori. Ecco perché ero un po’ spaventata…»

«Non capisco. Spaventata perché?»

«Ecco, un’ordinazione del genere in piena notte…»

«Può dirmi esattamente cosa diceva il messaggio?»

«Attenda in linea…»

«No, aspetti…»

Ma la donna si era già allontanata. Pochi secondi dopo, Thorne udì il clic di un bottone e il rumore del nastro che si riavvolgeva. Una pausa, poi il tonfo della cornetta appoggiata accanto alla segreteria. «Eccolo» gridò la donna.

Un sibilo e il messaggio partì. Nessun accento identificabile, nessuna emozione. A Thorne sembrava che l’uomo ce la mettesse tutta per sembrare impassibile, lasciando tuttavia trapelare una nota divertita nella voce. La voce dell’uomo che, con ogni probabilità, era responsabile di quel cadavere legato e insanguinato che giaceva sul letto.

Il messaggio iniziava in modo molto semplice: «Vorrei ordinare una corona funebre…».

3 dicembre 1975

Avanzò lentamente fin quasi a toccare con il paraurti la porta del garage. Poi tirò il freno a mano e spense il motore. Afferrò la valigetta appoggiata sul sedile del passeggero, scese dall’auto e chiuse la portiera con un colpo d’anca.

Non erano ancora le sei ed era già buio. E freddo. Avrebbe dovuto cominciare a mettersi il cappotto, la mattina.

Mentre camminava verso la porta di casa iniziò a fischiettare di nuovo quella canzonetta che non riusciva a togliersi dalla testa. La trasmettevano alla radio ogni cinque minuti, tutti i giorni. E poi, che cavolo era un “silhouetto”? E che c’entrava il fandango? E per di più era lunghissima. Le canzonette non avrebbero dovuto essere brevi?

Si chiuse la porta alle spalle e si fermò un attimo, aspettandosi di sentire l’odore della cena. Gli piaceva quel momento della giornata, quando poteva far finta di essere un personaggio di un programma televisivo. In piedi sulla soglia, immaginava di essere da qualche parte in America e non in quel merdoso quartiere di periferia. Immaginava di essere un manager atletico, con una moglie perfetta che lo aspettava con l’arrosto nel forno e un drink già pronto per lui. Un Martini, o qualcosa del genere.

Era un divertimento non solo suo, ma di entrambi. Uno sciocco rituale. Lui la chiamava dall’ingresso e lei rispondeva. Poi si sedevano e mangiavano pancake surgelati, o uno di quei piatti al curry precotti con dentro troppa uva passa.

«Cara, sono a casa…»

Nessuna risposta. E nessun odore di cibo.

Lasciò la ventiquattrore accanto al tavolino del corridoio e si diresse nel soggiorno. Probabilmente lei non aveva avuto il tempo di cucinare. Doveva essere uscita dal lavoro alle tre passate, con ancora la spesa da fare. Mancavano tre settimane a Natale e c’era un sacco di regali da comprare…

L’espressione nei suoi occhi lo fece fermare di botto.

Era seduta sul divano, con una vestaglia blu. Aveva le gambe piegate sotto di sé e i capelli bagnati.

«Stai bene, amore?»

La moglie non rispose. Mentre lui si avvicinava, gli si impigliò la scarpa in qualcosa. Abbassò lo sguardo e vide il vestito.

«Ma cosa ci fa questo…?»

Lo raccolse e rise, in attesa di una reazione. Voi, tenendolo davanti a sé, vide lo strappo e ci infilò dentro le dita.

«Cristo, ma cosa gli hai fatto? Era un vestito da quindici sterline…»

Lei alzò gli occhi all’improvviso, fissandolo come se fosse impazzito. Cercando di non farsi scoprire, lui ispezionò la stanza con lo sguardo, alla ricerca di una bottiglia vuota, sforzandosi di mantenere il sorriso sul volto.

«Sei andata al lavoro, oggi, cara?»

Lei emise un gemito sommesso.

«E sei passata dalla scuola a prendere…?»

Lei annuì con forza e i capelli bagnati le ricaddero sul viso. Lui udì un rumore dal piano di sopra, lo schianto di un’auto giocattolo o di una pila di mattoncini da costruzione, e annuì a propria volta, sollevato.