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Inverno
20 I figli di Babbo Natale

Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino danno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale. Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.

L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.

Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco — strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.

Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto — come ci ricorda il suono, firulì firulì, delle zampegne —, è ciò che conta.

In magazzino, il bene — materiale e spirituale — passava per le mani di Marcovaldo in quanto mercé da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra «tredicesima mensilità» e «ore straordinarie». Con quei soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.

Il capo dell'Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: — Ehi, tu! — disse a Marcovaldo. –

Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.

Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po' di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria.

La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini.

«Dapprincipio, — pensava, — non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo!»

I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena. — Ciao papa.

Marcovaldo ci rimase male. — Mah… Non vedete come sono vestito?

— E come vuoi essere vestito? — disse Pietruccio. — Da Babbo Natale, no?

— E m'avete riconosciuto subito?

— Ci vuoi tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!

— E il cognato della portinaia!

— E il padre dei gemelli che stanno di fronte!

— E lo zio di Ernestina quella con le trecce!

— Tutti vestiti da Babbo Natale? — chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché I sentiva in qualche modo colpito il prestigio azien—, dale.

— Certo, tal quale come te, uffa, — risposero i bambini, — da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, — e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.

Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più.

Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio. — Si può sapere cosa state complottando? — chiese Marcovaldo.

— Lasciaci in pace, papa, dobbiamo preparare i regali.

— Regali per chi?

— Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.

— Ma chi ve l'ha detto?

— C'è nel libro di lettura.

Marcovaldo stava per dire: «Siete voi i bambini poveri!», ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: — Bambini poveri non ne esistono più!

S'alzò Michelino e chiese: — È per questo, papa, che non ci porti regali?

Marcovaldo si sentì stringere il cuore. — Ora devo guadagnare degli straordinari, — disse in fretta, — e poi ve li porto.

— Li guadagni come? — chiese Filippetto.

— Portando dei regali, — fece Marcovaldo.

— A noi?

— No, ad altri.

— Perché non a noi? Faresti prima… Marcovaldo cercò di spiegare: — Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?

— No.

— Pazienza —. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. — Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, — disse, inforcando la sella del motofurgoncino.

— Andiamo, forse troverò un bambino povero, — disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.

Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofur — goncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.