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Da una finestra un bambino disse: — Ehi, tu, uomo!

Marcovaldo alzò gli occhi. Dal piano rialzato di una ricca villa, un bambino stava con i gomiti puntati al davanzale, su cui era posato un piatto.

— Ehi, tu, uomo! Cosa mangi?

— Salciccia e rape!

— Beato te! — disse il bambino.

— Eh… — fece Marcovaldo, vagamente.

— Pensa che io dovrei mangiare fritto di cervella…

Marcovaldo guardò il piatto sul davanzale. C'era una frittura di cervella morbida e riccioluta come un cumulo di nuvole. Le narici gli vibrarono.

— Perché: a te non piace, il cervello?… — chiese al bambino.

— No, m'hanno chiuso qui in castigo perché non voglio mangiarlo. Ma io lo butto dalla finestra.

— E la salciccia ti piace?…

— Oh, sì, sembra una biscia… A casa nostra non ne mangiamo mai…

— Allora tu dammi il tuo piatto e io ti do il mio.

— Evviva! — II bambino era tutto contento. Porse all'uomo il suo piatto di maiolica con una forchetta d'argento tutta ornata, e l'uomo gli diede la pietan — ziera colla forchetta di stagno.

Così si misero a mangiare tutti e due: il bambino al davanzale e Marcovaldo seduto su una panchina lì di fronte, tutti e due leccandosi le labbra e dicendosi che non avevano assaggiato mai un cibo così buono.

Quand'ecco, alle spalle del bambino compare una governante colle mani sulle anche.

— Signorino! Dio mio! Che cosa mangia?

— Salciccia! — fa il bambino.

— E chi gliel'ha data?

— Quel signore lì, — e indicò Marcovaldo che interruppe il suo lento e diligente mastichio d'un boccone di cervello.

— Butti via! Cosa sento! Butti via!

— Ma è buona…

— E il suo piatto? La forchetta?

— Ce l'ha il signore… — e indicò di nuovo Marcovaldo che teneva la forchetta in aria con infilzato un pezzo di cervello morsicato.

Quella si mise a gridare: — Al ladro! Al ladro! Le posate!

Marcovaldo s'alzò, guardò ancora un momento la frittura lasciata a metà, s'avvicinò alla finestra, posò sul davanzale piatto e forchetta, fissò la governante con disdegno, e si ritrasse. Sentì la pietanzie — ra rotolare sul marciapiede, il pianto del bambino, lo sbattere della finestra che veniva richiusa con mal garbo. Si chinò a raccogliere pietanziera e coperchio. S'erano un po' ammaccati; il coperchio non avvitava più bene. Cacciò tutto in tasca e andò al lavoro.

Inverno
8 II bosco sull'autostrada

II freddo ha mille forme e mille modi di muoversi nel mondo: sul mare corre come una mandra di cavalli, sulle campagne si getta come uno sciame di locuste, nelle città come lama di coltello taglia le vie e infila le fessure delle case non riscaldate. A casa di Marcovaldo quella sera erano finiti gli ultimi stecchi, e la famiglia, tutta incappottata, guardava nella stufa impallidire le braci, e dalle loro bocche le nuvolette salire a ogni respiro. Non dicevano più niente; le nuvolette parlavano per loro: la moglie le cacciava lunghe lunghe come sospiri, i figlioli le soffiavano assorti come bolle di sapone, e Marcovaldo le sbuffava verso l'alto a scatti come lampi di genio che subito svaniscono.

Alla fine Marcovaldo si decise: — Vado per legna; chissà che non ne trovi —. Si cacciò quattro o cinque giornali tra la giacca e la camicia a fare da corazza contro i colpi d'aria, si nascose sotto il cappotto una lunga sega dentata, e così uscì nella notte, seguito dai lunghi sguardi speranzosi dei familiari, mandando fruscii cartacei ad ogni passo e con la sega che ogni tanto gli spuntava dal bavero.

Andare per legna in città: una parola! Marcovaldo si diresse subito verso un pezzette di giardino pubblico che c'era tra due vie. Tutto era deserto. Marcovaldo studiava le nude piante a una a una pensando alla famiglia che lo aspettava battendo i denti…

Il piccolo Michelino, battendo i denti, leggeva un libro di fiabe, preso in prestito alla bibliotechina della scuola. Il libro parlava d'un bambino figlio di un taglialegna, che usciva con l'accetta, per far legna nel bosco. — Ecco dove bisogna andare, — disse Michelino, — nel bosco! Lì sì che c'è la legna! — Nato e cresciuto in città, non aveva mai visto un bosco neanche di lontano.

Detto fatto, combinò coi fratelli: uno prese un'accetta, uno un gancio, uno una corda, salutarono la mamma e andarono in cerca di un bosco.

Camminavano per la città illuminata dai lampioni, e non vedevano che case: di boschi, neanche l'ombra.

Incontravano qualche raro passante, ma non osavano chiedergli dov'era un bosco. Così giunsero dove finivano le case della città e la strada diventava un'autostrada.

Ai lati dell'autostrada, i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la vista della pianura.

Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estese, dalle più strane forme e dai più strani colori, quando un'auto passando le illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di mano, di rasoio, di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere dell'alfabeto.

— Evviva! — disse Michelino, — questo è il bosco!

E i fratelli guardavano incantati la luna spuntare tra quelle strane ombre: — Com'è bello…

Michelino li richiamò subito allo scopo per cui erano venuti lì: la legna. Così abbatterono un alberello a forma di fiore di primula gialla, lo fecero in pezzi e lo portarono a casa.

Marcovaldo tornava col suo magro carico di rami umidi, e trovò la stufa accesa.

— Dove l'avete preso? — esclamò indicando i resti del cartello pubblicitario che, essendo di legno compensato, era bruciato molto in fretta.

— Nel bosco! — fecero i bambini.

— E che bosco?

— Quello dell'autostrada. Ce n'è pieno!

Visto che era così semplice, e che c'era di nuovo bisogno di legna, tanto valeva seguire l'esempio dei bambini.

Marcovaldo tornò a uscire con la sua sega, e andò sull'autostrada.

L'agente Astolfo della polizia stradale era un po' corto di vista, e la notte, correndo in moto per il suo servizio, avrebbe avuto bisogno degli occhiali; ma non lo diceva, per paura d'averne un danno nella sua carriera.

Quella sera, viene denunciato il fatto che sull'autostrada un branco di monelli stava buttando giù i cartelloni pubblicitari. L'agente Astolfo parte d'ispezione.

Ai lati della strada la selva di strane figure ammo — nitrici e gesticolanti accompagna Astolfo, che le scruta a una a una, strabuzzando gli occhi miopi. Ecco che, al lume del fanale della moto, sorprende un monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena: — Ehi! che fai lì, tu? Salta giù subito! — Quello non si muove e gli fa la lingua. Astolfo si avvicina e vede che è la réclame d'un formaggino, con un bamboccione che si lecca le labbra. — Già, già, — fa Astolfo, e riparte a gran carriera.

Dopo un po', nell'ombra di un gran cartellone, illumina una trista faccia spaventata. — Alto là! Non cercate di scappare! — Ma nessuno scappa: è un viso umano dolorante dipinto in mezzo a un piede tutto calli: la réclame di un callifugo. — Oh, scusi, — dice Astolfo, e corre via.

Il cartellone di una compressa contro l'emicrania era una gigantesca testa d'uomo, con le mani sugli occhi dal dolore. Astolfo passa, e il fanale illumina Marcovaldo arrampicato in cima, che con la sua sega cerca di tagliarsene una fetta. Abbagliato dalla luce, Marcovaldo si fa piccolo piccolo e resta lì immobile, aggrappato a un orecchio del testone, con la sega che è già arrivata a mezza fronte.