Poi Shandy si ritrovò ancora una volta a camminare sulle pietre del lastricato chiazzate di sangue.
«Ci stiamo avvicinando a quel maledetto posto?» chiese. Mentre parlava, ebbe timore che la voce tradisse la sua paura montante, ma l’aria morta lassù smorzò le parole, e a malapena le sentì lui stesso.
Continuarono a camminare. Un paio di volte Shandy credette di udire i rumori di una zuffa, e dei singhiozzi soffocati, davanti a loro sul ponte, ma era troppo buio perché potesse vedere con chiarezza.
L’aria sembrava pesante, come uno sciroppo così denso che un altro granello di zucchero ne avrebbe provocato la completa cristallizzazione; e, sebbene lo spaventasse farlo, Shandy non riuscì a impedirsi di voltarsi a guardare Barbanera… e così guardò, e per un po’ Shandy smise di essere Shandy.
Era un ragazzo di quindici anni conosciuto dai negri fuorilegge delle montagne come Johnny Con, anche se da quando aveva utilizzato maldestramente degli incantesimi dell’hungan che aveva servito, non era più idoneo per fare da assistente a un rispettabile sacerdote vodun, e non aveva più il diritto — né più l’inclinazione — di definirsi un adjanikon; Ed Thatch era il suo vero nome, il suo nome adulto, e nel giro di tre giorni avrebbe avuto il diritto di fregiarsene.
Quello era il primo giorno del suo battesimo del loa che sarebbe stato la sua guida per tutta la vita, e i cui scopi avrebbe dovuto condividere da quel momento in poi. I marron neri, che lo avevano cresciuto fin dall’infanzia, quella mattina lo avevano scortato giù dalle montagne azzurre fino alla casa di Jean Petro, un mago leggendario che era vissuto là, secondo testimonianze attendibili, per più di cento anni, e del quale si dice-eva che avesse davvero creato molti loa, e che dovesse vivere in una casa su palafitte poiché il suolo diventava rugginoso e sterile dopo essere stato a lungo nelle sue vicinanze; paragonati a Petro, tutti gli altri bocor dei Caraibi erano considerati dei semplici caplata, illusionisti da strapazzo che si esibivano agli angoli delle strade.
I marron erano degli schiavi fuggiaschi che, essendo in origine vissuti nel Senegal, e nel Dahomey, e nelle nazioni della costa del Congo, non avevano difficoltà ad adattarsi alla vita nella giungla delle montagne della Giamaica, e i coloni bianchi erano così snervati da questa popolazione pericolosa e implacabile da pagare ai negri dei tributi stagionali ottenendo in cambio che venissero risparmiati gli insediamenti e le fattorie periferici; ma anche i marron rifiutavano di avventurarsi a meno di un miglio dalla casa di Jean Petro, e il ragazzo discese da solo il lungo sentiero che conduceva al giardino e ai recinti di bestiame e, finalmente, alla casa sulle palafitte.
Un corso d’acqua scorreva dietro la casa, ed era là che stava il vecchio… Thatch poteva vedere le sue gambe nude, nodose e scure come ramoscelli ambulanti di prugnolo, sotto il pavimento sopraelevato. Thatch naturalmente stava a piedi nudi; con un gesto impose il silenzio ai polli che razzolavano sotto la casa e quindi avanzò attraverso lo spiazzo polveroso antistante la casa silenziosamente, come se stesse calpestando zolle di luce solare. Quando ebbe aggirato l’angolo della casa, poté vedere che il vecchio Petro stava camminando lungo l’argine del fiumiciattolo, fermandosi di tanto in tanto per sollevare una tozza bottiglia dopo l’altra fuori dall’acqua, scrutare nel vetro scuro, picchiettare le unghie lunghe contro di essa, portare la bottiglia gocciolante all’orecchio, e quindi scuotere la testa e accovacciarsi per rimetterla dentro e pescarne un’altra.
Thatch rimase a guardare mentre ne sollevava una, e finalmente la faccia del vecchio bocor si coagulò in un sorriso quando ascoltò una bottiglia, e picchiettò di nuovo le unghie su di essa; e poi si limitò a stare là e a battere sulla bottiglia e ad ascoltare, alternativamente, come un prigioniero confinato in una segreta il cui misurato battere sui muri abbia alla fine suscitato, sebbene remotamente, una risposta.
«È il nostro ragazzo, sicuro,» disse con una stridente voce da vecchio. «Gede, il loa che è il… capo, diciamo, di colui che ti vuole.»
Thatch realizzò che il vecchio era consapevole della sua presenza e stava parlando con lui. Restò dove si trovava, ma gridò, «Mi vuole? Io ho scelto lui.»
Il vecchio ridacchiò. «Beh, ad ogni modo, quello non è qui nel ruscello, e abbiamo bisogno di Gede per chiamarlo. Naturalmente anche Gede è qui solo simbolicamente. C’è solo una parte di lui in questa bottiglia, il suo ombelico, potremmo dire… abbastanza da costringerlo.» Petro si voltò e tornò zoppicando nello spiazzo dov’era Thatch. «I morti diventano più potenti col tempo che passa, vedi, ragazzo. Quello che era solo un fantasma inquieto per tuo nonno potrebbe diventare un perfetto loa per i tuoi nipoti. Ed io ho imparato a piegarli, a trascinarli in certe direzioni come tu puoi fare con un rampicante. Il contadino pianta un seme nel suolo e un giorno avrà un albero… io ficco uno spettro in una bottiglia sotto l’acqua che scorre e un giorno avrò un loa.» Sogghignò, rivelando pochi denti in gengive bianche, e agitò la bottiglia in direzione del fiumiciattolo. «Ne ho cresciuti quasi una dozzina fino alla maturità. Non sono ancora della qualità dei loa di Rada, quelli che vengono con noi attraverso l’oceano dalla Guinea, ma posso crescerli finché non soddisferanno le mie esigenze.»
I polli nell’ombra sotto la casa si stavano riprendendo dal gesto di Thatch, e cominciavano a chiocciare e a svolazzare. Petro sbatté le palpebre, ed essi tornarono a tacere. «Naturalmente,» proseguì Petro, «quello che ti vuole — o che tu vuoi, se preferisci — il vecchio Baron Samedi, è una bestia di specie diversa.» Scosse la testa e i suoi occhi si strinsero in un’espressione che avrebbe potuto essere di soggezione. «Di tanto in tanto, non più di due o tre volte nella mia intera vita, credo di averne accidentalmente creato uno che era molto simile… una cosa che già esisteva, che era già qua fuori, e la somiglianzà era troppo perfetta per tenere le due cose separate. Così, all’improvviso, in una bottiglia ebbi una cosa che era troppo grossa per starci… anche solo simbolicamente. La mia dannata casa fu quasi fatta crollare quando il Baron Samedi divenne troppo grande — la bottiglia esplose come una bomba, abbatté gli alberi in ogni direzione, e il ruscello non tornò a scorrere per un’ora. C’è ancora una pozza ampia e profonda là. Niente è più cresciuto sull’argine e ogni primavera sono costretto a raccogliere girini morti con la rete.»
Il giovane Thatch fissò la bottiglia indignato. «Allora quello che hai nella tua bottiglia di birra è solo un servo del Baron Samedi?»
«Più o meno. Ma Gede è un loa di alto rango — è il numero due qui solo perché il Baron è troppo superiore. E come ogni altro loa Gede dev’essere invitato, e poi supplicato, usando i rituali che lui richiede, per fare ciò che noi vogliamo. Ora, ho procurato le lenzuola del letto in cui è morto un uomo malvagio, e una tunica nera per te, e oggi è sabato, il giorno consacrato a Gede. Arrostiremo un pollo e una capra per lui, e ho un barilotto intero di clairin — un rum — poiché Gede ne è un insaziabile consumatore. Oggi noi…»