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— È una storia famosa — aggiunse Anna.

— È una buona storia? — domandò il hwarhath.

— Credo di sì. In realtà non so cosa intendiate voi per buona.

— Storie su uomini o donne. Ma non storie su uomini e donne. Abbiamo scoperto che è difficile studiare la vostra cultura. Sembrate ossessionati dalle attività che sono contrarie al volere della Divinità.

Per una qualche ragione, la sua voce cauta le ricordò quella della guardia di Nicholas, il giovane alieno che si chiamava Hattin.

— Uno dei vostri faceva da guardia a Nicholas. Che fine ha fatto? Sta bene?

— Abbiamo trovato il suo corpo. Le sue ceneri verranno mandate a casa. È importante. A noi piace… alla fine… tornare a casa.

L’alieno si girò a guardare verso il fondo dell’aereo. — Possiamo scendere, ora, signora.

Lei lo seguì fuori, sotto una pioggerella fredda, velata di nebbia. Non appena si guardò attorno, disse: — Questa non è la stazione.

— La vostra stazione? No.

Le costruzioni erano squadrate, grigie e anonime. Non c’erano finestre né particolari architettonici, solo muri piatti. Dovevano esserci delle porte ma lei non le vedeva.

— Perché mi trovo qui?

— Il primo difensore vuole parlarle.

— Perché?

— Io non sono una persona importante, signora. Il primo difensore non mi dice cosa ha in mente.

Anna si fermò ancora un momento a guardare le costruzioni grigie e squadrate, poi scrollò le spalle. — Mi dica dove andare.

— Da quella parte. — L’alieno indicò la direzione.

Quando furono vicini alla costruzione, Anna scorse una porta, a filo di muro e difficilmente visibile. Entrarono in un corridoio con le pareti di metallo grigio. Il pavimento era ricoperto da moquette: una tonalità di grigio leggermente più scura. Ragazzi, agli alieni piaceva quel colore. L’aria aveva uno strano odore. Di cosa? Di un qualche animale sconosciuto. Due alieni armati di fucili erano fermi ai lati della porta. Uno parlò al compagno di Anna. L’altro rispose. Il primo che aveva parlato mosse leggermente la testa. Aveva annuito?

— Signora? — fece l’alieno di Anna.

Proseguirono per il corridoio. C’era grande attività. Alieni che passavano, muovendosi velocemente e con una grazia atletica che sembrava caratteristica della specie. Non c’erano persone goffe tra i hwarhath? Nessuno la guardava direttamente, ma lei aveva la sensazione d’essere osservata, e di traverso, anche. Metà degli alieni erano armati, tutti di fucili, ma Anna vide anche quelle che dovevano essere delle pistole infilate nelle fondine.

Raggiunsero un altro posto di guardia. Il suo compagno parlò a un altro alieno armato. Questo era grande e ben piazzato, con una peluria grigio chiaro che tendeva all’azzurro. I suoi occhi… li sollevò solo per un istante… erano dello stesso colore della peluria. Alla fine annuì e Anna e il suo alieno proseguirono.

La guardia era un fenomeno oppure esistevano hwar di colori diversi? Apparivano perlopiù in tutte le sfumature del grigio medio ma il suo compagno era quasi nero e lei aveva visto un altro individuo con una peluria di due tonalità: scura in punta e argentea sotto.

Un terzo posto di guardia. Un’altra conversazione e un altro cenno con la testa. Di nuovo andarono avanti e arrivarono alla fine del corridoio. C’era una porta con sopra un simbolo: una fiamma all’interno di uno strano anello di spine.

La guida toccò la porta e l’aprì. — Entri, signora. È attesa.

Anna entrò. La porta si chiuse alle sue spalle. Davanti a lei c’era un tavolo dietro al quale sedeva un alieno, grosso e dall’aspetto solido; Anna ebbe l’impressione che fosse più piccolo della media della sua gente. La peluria era ispida, d’un grigio quasi metallico. Sollevò la testa. Gli occhi erano azzurri e la guardavano direttamente.

— Perez Anna. — La voce era profonda e morbida. — È difficile per me guardare qualcuno negli occhi a meno che, naturalmente, non sia un parente o un amico. Ma Nicky mi dice che tra la vostra gente uno sguardo diretto indica onestà e spirito onorevole. Perciò, proverò. Si accomodi, la prego. — Mosse la testa per indicarle una sedia libera di fronte alla scrivania.

Anna si sedette. — Lei parla inglese.

— Conosco Nicholas da quasi vent’anni. Questa è la sua lingua d’origine ed è la lingua dei miei nemici. Certo che ho imparato l’inglese. — Lui prese un oggetto, una striscia di metallo, e lo rigirò tra le mani. Che cos’era? Una specie di penna? — Perché ha lanciato il messaggio?

— L’avete captato.

Lui rimase per un momento silenzioso. — Non direttamente e non subito. L’abbiamo scoperto questa mattina, quando stavamo interrogando i suoi… qual è la parola? Compagni? Compatrioti? Colleghi di lavoro? Avevamo già agito, signora. Il suo messaggio è stato intelligente e… credo… coraggioso. Non necessario.

— Allora perché avete chiesto di me, se non eravate a conoscenza del messaggio?

— Lei è una donna. Pensavo che potesse essere in pericolo. Non confidavo che gli umani la trattassero con rispetto.

Lui posò qualunque fosse la cosa con cui stava giocherellando e si appoggiò allo schienale della sedia. — Non intendo essere ingiurioso, ma perché la vostra specie dà potere a degli idioti? E questi prodotti di un’inseminazione mal riuscita come hanno potuto pensare… anche solo per un momento… che avrei creduto alla loro storia? Nicky, partito su una barca con un umano e donna per giunta? Perché?

— Li avevo avvertiti che non avrebbe retto.

Lui aggrottò la fronte. — Non capisco.

— Li avevo avvertiti che la storia non era plausibile.

— Aveva ragione. Naturalmente, abbiamo finto di credere alla storia. Abbiamo dovuto farlo, finché non siamo riusciti a tornare alla nostra base; e quei pazzi sconsiderati hanno creduto alla nostra finzione. Ci hanno lasciati partire. — Lui sollevò lo sguardo e parve arrabbiato. Dopo un momento o due, si rilassò. Anna lo vide lasciar cadere leggermente le spalle. Una mano ricoperta di peluria grigia si allungò e toccò l’oggetto di metallo. — Perché ha lanciato il messaggio?

Lei rimase zitta per un po’, cercando di capire esattamente perché aveva agito così. — Nicholas mi piace e non mi piacciono molto quelli della Intelligence militare. Mi hanno costretta a lavorare per loro. Io non intendevo farlo; e ho visto Nick dopo che l’avevano catturato. Era spaventato. Credo di non aver mai visto qualcuno tanto spaventato. Uno della Mi ha detto che Nick era un codardo. Io non la pensavo così. Mi sono detta: lui conosce questa gente e sa cosa gli faranno, e si tratta di qualcosa di veramente terribile.

Il primo difensore parve pensieroso. Lo era veramente? Anna interpretava correttamente la sua espressione? — Ha ragione sul fatto che Nick non è un codardo. Hah! È una brutta parola! Ma forse non ha compreso ciò che vedeva. Avevano intenzione di interrogarlo, signora. Lui deve averlo capito. Era ovvio. Non gli piace essere interrogato. — Fece un’altra pausa e parve di nuovo pensieroso. Poi si sporse in avanti, le braccia sul tavolo. Anna ebbe la sensazione che avesse preso una qualche decisione.

— Vent’anni fa, quando lo catturammo, era la prima volta che eravamo in possesso di un nemico che parlasse bene la nostra lingua. Sapevamo che era in grado di capire le nostre domande e che potevamo comprendere ciò che ci rispondeva. Era la nostra occasione per ottenere molte informazioni che non fossero ambigue. Nicky era insostituibile. Non potevamo provare niente su di lui che fosse in qualche modo sperimentale. Dovevamo… come dite, voi? …giocare sul sicuro. Dovevano usare i più antichi, più validi e più sicuri metodi d’interrogatorio.