— Hah — commentò l’alieno, con una specie di lungo sospiro. Sembrava pensieroso, immerso. Lei, perlomeno, così lo vedeva.
Dopo un attimo, lui disse: — Noi crediamo che sia nella natura degli uomini combattere. Coloro che combattono rischiano di farsi male e di morire. Dobbiamo accettare le conseguenze di ciò che siamo e facciamo, Perez Anna. Sappiamo che le nostre vite devono probabilmente essere brevi. Sappiamo che probabilmente ci perdiamo l’un l’altro.
— Ma non è facile per noi perdere i nostri parenti e amici, e non userei mai la parola "sacrificabile", soprattutto per Nicky. Le persone che amiamo non sono mai sacrificabili.
Parve una buona frase sulla quale separarsi.
L’alieno di Anna, Hai Atala, era nel corridoio, in piedi e riusciva ad apparire sia in stato di allerta che a suo agio, come se gli fosse facile passare la giornata ad aspettare e a non agitarsi o a non lasciarsi sfuggire qualcosa di importante. Come un bravo giocatore lontano dal battitore. Sarebbe stato possibile insegnare a quella gente il baseball? Sarebbero stati interessati? Guardandoli muovere, Anna pensò che il football fosse assolutamente da escludere. Erano troppo aggraziati e troppo eleganti.
Tornarono all’ingresso della costruzione.
— Ho pensato a Moby Dick - disse Anna. — Tutti i personaggi importanti sono uomini, e la storia parla di caccia e di uccisione e di Dio e di follia. È molto probabile che lo troverebbe decente.
— Forse lo leggerò — ribatté Hai Atala. — La ringrazio per il consiglio. Non è facile studiare la vostra letteratura. Siete ossessionati dalla riproduzione. Non c’è da meravigliarsi che siate così numerosi.
Uscirono. La pioggia cadeva ancora, sottile e mista a nebbia. Oscurava il basso e ondulato paesaggio giallo dell’isola e faceva luccicare la pista d’atterraggio nera.
Si diressero insieme all’aereo.
16
Quando ho lasciato l’infermeria di bordo, la Hawata stava uscendo dal sistema. Il primo gigante gassoso era alle nostre spalle e stavamo guadagnando velocità. I corridoi cominciavano ad assumere l’aspetto che avevano durante i viaggi. Non sono sicuro di riuscire a trovare le parole giuste per esprimerlo. La funzione di una nave è viaggiare e quando una nave viaggia la gente che si trova a bordo fa ciò che deve fare. Si muove verso la meta; riposa al centro della vita. Ci sono una concentrazione e una sicurezza che mancano quando si ammazza semplicemente il tempo o si fanno parti meno importanti di lavoro.
Ma i hwarhath sono i peggiori patiti del lavoro che abbia mai conosciuto.
Ho fatto rapporto al generale nel suo ufficio, secondo le istruzioni. Era più piccolo dell’ufficio sul pianeta, anche se la cosa non era immediatemente evidente. Lui aveva un ologramma e una parete si era trasformata in una fila di alte finestre strette. Oltre le finestre c’era il paesaggio: colline ondulate coperte di una bassa vegetazione giallo chiaro. Avevo visto quella vegetazione da vicino. Assomiglia a erba, finché non noti che non ci sono steli e semi, solo lunghe foglie strette e flessibili, d’un giallo sbiadito simili alle foglie dell’acero alla fine dell’autunno. Alberi punteggiavano le colline. Erano ampi e frondosi… con la forma degli aceri, a pensarci bene… e gialli: una tinta vivace e appariscente. Grandi animali scuri pascolavano sui fianchi delle colline. Il cielo era d’un blu limpido e profondo.
La terra di Ettin. La vista era quasi sicuramente quella che si godeva da una delle case mandate avanti dalle donne della sua stirpe. (Sì.)
Mi sono seduto. Il generale camminava, il che era insolito per lui. Di tanto in tanto, si fermava presso il tavolo e giocherellava con qualcosa: la statua della Divinità sotto le spoglie di Protettrice del Focolare o il pugnale dall’aria pericolosa che era l’emblema del suo rango.
Mi ha chiesto come stavo. Ho detto bene.
— Mi avevi avvertito su quella gente e io non ho ascoltato a dovere.
— Commettiamo tutti degli errori.
Lui ha guardato l’ologramma. — A me non piace farlo. Questo è vero.
— Abbiamo vuotato i loro computer. Non appena sarai in grado, voglio che cominci a guardare le informazioni. La cosa ti terrà molto occupato.
— Nessun problema.
— Shen Walha ti spiegherà come ha fatto a portarti via agli umani. È andato tutto liscio, tranne che per il male che ti hanno fatto. E non so cosa accadrà alla donna umana. La vostra specie mi è incomprensibile. È possibile che le facciano qualcosa. Una punizione, una vendetta.
Con questo come preambolo, mi ha raccontato della sua conversazione con Anna.
Alla fine, ho detto: — Perché le hai raccontato quella storia?
— Del primo anno che hai trascorso tra il Popolo?
Ho annuito. Lui ha preso la statua della Divinità e l’ha tenuta per un momento, poi l’ha posata nuovamente. — Lei non appartiene al perimetro. Nessuna donna vi appartiene. Ma la vostra specie fa di tutto un miscuglio. Niente è sicuro. Nessuno è protetto. Non so se tu le debba qualcosa. Ha tentato… quando l’ha capito… di salvarti la vita e, così facendo, si è messa in pericolo. Ho cercato di farle capire che non doveva intromettersi negli affari di uomini.
— Tanto per parlare.
È sembrato sorpreso e ha proseguito. — Di farle capire qualcosa sulla violenza del perimetro. La vostra gente deve mentire costantemente l’uno con l’altro sulla natura di tutto ma, soprattutto, sulla natura della violenza. Non penso veramente che abbia compreso in che cosa si era cacciata. Volevo darle qualche idea. Volevo spaventarla e farla sentire disgustata e inorridita.
— Probabilmente, ci sei riuscito.
— Bene. Come dico, non sono sicuro che le dobbiamo qualcosa. Ma se così fosse, mi piacerebbe tirarla fuori da questo pasticcio. — Prese il pugnale. L’impugnatura era d’oro con una gemma incastonata nel pomo che lanciava riflessi rosso-porpora e verdi. Un’alessandrite, ne ero quasi certo. La lama era lunga trenta centimetri, affilata come un rasoio.
— C’erano delle donne nella zona diplomatica. Ne abbiamo uccisa una, anche se, fortunatamente, l’abbiamo scoperto solo dopo, e nessuno sa chi l’abbia uccisa. Non è stato necessario che qualcuno chiedesse l’opzione. Abbiamo detto alla nave umana che l’avremmo distrutta se fosse uscita dall’orbita. So che ci sono donne a bordo. Abbiamo tenuto in ostaggio l’intera popolazione umana del pianeta, senza fare distinzione tra uomini e donne; e ci siamo lasciati alle spalle i missili per tenere d’occhio il pianeta fino alla nostra partenza. I loro programmi sono stati modificati e ora non fanno più discriminazioni. Non risparmieranno nessuno.
— Gesù Cristo — ho detto.
— Ho fatto questo perché non riuscivo a vedere un’alternativa; ma adesso devo andare dagli altri frontisti a chiedere loro come combatteremo un nemico simile. C’è un’altra domanda che non farò loro, dal momento che non mi fido del fatto che mi diano una buona risposta. Ma la porrò a te, Nicky. E da tanto che so di essere rahaka. Non accetterò l’opzione, se esiste un modo per evitarla. Come farò a vivere con quello che ho fatto?
Vivrai perché devi, maledetto pazzo. (Ah.)
Dopo averlo lasciato, sono andato a trovare Shen Walha, il capo delle operazioni del generale. La prima volta che ho visto quest’uomo, ho capito che era un Wally, un Inetto. È grande e grosso e dall’aria dolce con la peluria che si avvicina al bianco candido. Ha delle macchie sulla schiena e sulle spalle e sulla parte superiore delle braccia. Le macchie sono simili a quelle di un leopardo delle nevi: larghi anelli pelosi, vuoti al centro e spesso interrotti. Di un grigio pallidissimo.
Un tipo grande, grosso e chiazzato che assomiglia un po’ a un orsacchiotto. Naturale che sia un Wally. Mi sono accorto che quasi tutti lo usano come soprannome, perfino il generale.