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— Mi piacerebbe venire — disse Anna, e fu sorpresa dall’intensità della propria voce.

Ormai aveva saputo molte cose sulla Regione Nordoccidentale: una pianura arida con montagne a est e a sud che bloccavano la pioggia. Le loro vette bianche sembravano nuvole nel cielo blu, e le antiche storie dicevano che lassù vivessero fantasmi e spiriti. Ora gli acquedotti portavano l’acqua nelle città fatte di adobe. Alcune persone vivevano ancora di pastorizia. Altre pescavano. L’oceano polare era molto ricco.

Una terra brulla ma tentatrice, come Samarcanda o Timbuctu. La donna di Harag parlò di ricami meravigliosi, di fini oggetti di metallo, di miniere che producevano pietre verdi e azzurre, di essiccatoi nelle città costiere con il pesce che si muoveva al vento e luccicava come… qual era la figura del discorso che Hwil aveva usato? "Una foresta di foglie d’argento."

Parlò anche dell’Autorità di Controllo della Risorsa Acquea (sempre motivo di conflitto nella regione) e del Rendere-tutti-gli-occhi-lucidi-e-i-progetti-chiari, dell’autorità della Pesca, delle Cooperative d’acquisto e vendita. (Alcuni di questi nomi Anna dovette segnarseli, dopo che Hwil ebbe descritto cosa faceva l’organizzazione in questione. Indil ebbe dei problemi quando si arrivò a tradurre il burocratese.) La donna di Harag mostrava un grande interesse per queste cose… forse di più… come per la terra e le città, sebbene amasse chiaramente la terra e le città.

Alla fine, Anna avrebbe voluto partire. Si immaginava a vagare per i mercati o mentre faceva il giro di un impianto di desalinizzazione. (Il che non era un optional, per quel che poteva capire da Hwil.) O mentre guidava da sola lungo qualche strada polverosa, passando accanto ad animali che non conosceva.)

La loro conversazione alla fine terminò e la donna di Harag se ne andò. Tsai Ama Indil si fermò. Anna si lasciò sfuggire un verso e allungò i piedi su un tavolo. — Gesù Maria, che donna!

— L’avevo avvertita — fece Indil.

— Che cosa voleva dire sul materiale genetico?

Indil rimase per un momento silenziosa. Poi disse: — Avevo intenzione di parlarle, Anna, dal momento che non è nostra abitudine avere dei bambini nello spazio, e questo significa che dovrò andarmene da qui e tornare a casa.

Anna la guardò. — Sta dicendo che è incinta?

— Certo che no! Come potrei? Sono lontano da casa da un anno. — Indil sembrava scioccata. — E non viaggerei mai nello spazio dopo l’inseminazione.

Il Popolo usava l’inseminazione artificiale. Anna se ne ricordava, ora. Dovevano esserci banche di sperma sul pianeta natio. Oppure i donatori dovevano fare un viaggio speciale per tornare a casa? Lo avrebbe chiesto a Nick. Certo non aveva intenzione di chiederlo a Indil. L’aliena si sentiva già imbarazzata.

Dopo qualche istante, Indil disse: — La mia stirpe e gli Tsai Ama sono giunti a un accordo con gli Ettin. È accaduto prima che Tsai Ama Ul partisse, ma si era deciso che sarei dovuta restare a tenerle compagnia. — Fece una pausa. — Non c’era alcuna fretta, e se qualcosa di spiacevole fosse accaduto, se i Lugala fossero riusciti a mettere seriamente in imbarazzo gli Ettin, allora avremmo potuto sempre tirarci indietro. Sebbene Tsai Ama Ul pensasse che non sarebbe accaduto. Ha un grande rispetto per gli Ettin, ed Ettin Gwarha è certamente il maschio migliore della sua generazione.

— Tornerà a casa e resterà incinta, ed Ettin Gwarha sarà il padre.

— Sì — disse Indil. — Una bambina. Fa parte dell’accordo. Io vorrei darle due nomi. A volte succede nella mia stirpe. Col suo permesso, mi piacerebbe che uno dei nomi fosse Anna.

Anna si sentì onorata e anche spaventata.

— Non deve dire niente, ora — fece Indil. — C’è molto tempo. Ma Tsai Ama Ul è d’accordo con la donna di Harag. Se dovremo dividere l’universo con la vostra specie, dobbiamo trovare il modo per intenderci.

Se ne andò. Che donne terrificanti! Facevano sentire Anna la benvenuta. Lei immaginò una bambina grigia e pelosa… la bambina di Indil, la figlia di Ettin Gwarha… con il suo nome. Probabilmente avrebbero cambiato la pronuncia della prima a di Anna in "ah". Ama Tsai Ana. Le venne la pelle d’oca.

Un paio di giorni dopo, incontrò Nick all’ingresso degli alloggi umani. Vaihar le stava facendo da scorta. — Mi occuperò io di lei — disse Nick, e proseguì con lei verso la sala d’osservazione. C’erano due sedie; Nick prese posto in una. — Ho pensato che avrei visto in che modo stanno accadendo tutte le cose.

— Non sei tornato a tradurre.

— Non stavo scherzando quando ho detto che il generale ha lasciato che il mio lavoro si accumulasse. Non ho tempo per questo compito. È quasi fatta, comunque, o non te ne sei accorta?

— Ho avuto da fare — disse Anna — con una grigia ondata di matrone. C’è una signora, qui, che proviene da Harag, che sarebbe in grado di sfidare le zie e di vincerle.

Nick rise. — Forse no. Ma è formidabile. Ha detto a Gwarha di smetterla di bighellonare e di concludere la pace, così la gente potrà tornare ai loro affari senza dover pensare a questa guerra oltremodo noiosa. C’è un grande lavoro da fare!

— Lo so — disse Anna. — Si devono sradicare le malattie degli occhi. Gli oceani devono essere desalinizzati. Mi ha invitata ad Harag per vedere gli essiccatoi del pesce.

Nick parve sorpreso.

— E per fare il giro di un impianto di desalinizzazione.

Adesso lui sembrava pensieroso. — Non credo che per il momento sia possibile… che tu vada sul pianeta natio, voglio dire. Ma è un invito importante.

— Fino a che punto è sicura questa stanza?

— Vieni. — Lui si alzò.

La condusse per una serie di corridoi sconosciuti, superando diversi posti di guardia. Le guardie riconoscevano Nick e facevano il gesto di presentazione. Lui annuiva per tutta risposta. Arrivarono a una porta. Lui la toccò, quella si aprì e Nick le indicò di entrare.

Anna si ritrovò in un soggiorno: moquette grigia, mobili marroni e grigi, un divano e due sedie, un paio di tavoli bassi di metallo. Era un ambiente molto più spartano delle sue stanze… nessun tocco di colore o di lusso, e sembrava estremamente impersonale. Non c’era niente che indicasse che la stanza fosse occupata.

La porta si chiuse.

— Siediti — disse Nick. — Ettin Gwarha ha deciso di fidarsi di nuovo di me. In queste stanze non ci sono cimici, neppure piazzate da lui.

— È il tuo alloggio.

Lui annuì.

— Che cosa sei, un monaco?

Nick rise. — Difficilmente. — Si guardò attorno, ancora in piedi, le mani in tasca. — Non mi piacciono gli aggeggi.

— Cosa?

— Lo sai. Le cose varie, le cianfrusaglie, la confusione. Le schifezze che si devono imballare quando si trasloca. Una volta ho letto un proverbio in un libro. "Colui che arreda la sua mente vivrà da re. Colui che arreda la sua casa avrà problemi di trasloco." Parole con cui vivere, e io lo faccio. E così la donna di Harag vuole che tu vada a trovarla. Desideri qualcosa? Caffè, tè, vino? Ho persino un nuovo tipo di cibo umano, che fa venir da ridere.

— No — rispose Anna. — Ama Tsai Indil mi ha chiesto il permesso di dare il mio nome a sua figlia.

Nick si girò e la guardò. — Dio, questa gente si muove velocemente quando ha deciso che è arrivato il momento di muoversi. — Si chinò su uno dei tavoli, lo toccò e parlò nella lingua aliena.

Il tavolo rispose nella stessa lingua. Nick parlò ancora e ricevette un’altra risposta, poi si raddrizzò e si girò verso Anna. — Che cosa hai detto ad Ama Tsai Indil?

— Ancora niente.

— Dovrò fare qualche controllo, ma non credo che ti ritroveresti bloccata dalle responsabilità. Farebbe parte delle buone maniere prestare un po’ d’attenzione alla bambina. Vegliare su di lei con gentilezza, darle di tanto in tanto qualche consiglio. Ma, soprattutto, è un complimento per te e un tentativo di creare un legame tra te e la sua famiglia… non un grosso legame, un filo, non una corda. Ma qualcosa di definitivo. Questa è una notizia molto interessante. Mi metterò a camminare. Spero che non ti dispiaccia.