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I Vivi restarono immobili a fissarla, sconcertati e impotenti.

Entrai insieme con Colin nell’Edificio G-14 mostrando un’espressione abbacinata, come avrebbe avuto, occasionalmente, una vittima del morbo di Gravison.

2

Billy Washington: East Oleanta, Stato di New York

Quando ho scoperto del procione che c’aveva la rabbia la prima cosa che ho fatto è stato di correre dritto filato giù nel caffè per dircelo ad Annie Francy. Ho corso per tutta la strada, io. Non è più così facile. Tutto quello che riuscivo a pensare era che forse Lizzie era già al sicuro, lei, con Annie in cucina, forse Lizzie non era nel bosco. Forse.

— Corri, vecchio! Corri, vecchio cazzone! — mi strillò un ragazzino da un vicolo fra l’albergo e il deposito. Stavano sempre lì i delinquentelli, quando il tempo era bello. Me lo ero dimenticato, io, altrimenti me ne passavo per la via più lunga, quella del fiume. Ma quel pomeriggio erano troppo pigri, o troppo pochi, per darmi la caccia. Non gli ho detto un cazzo di niente del procione.

Alla servo-entrata del caffè, dove ci dovrebbero entrare solo i robot, bussai, il più forte che potevo, gridando come un ossesso. — Annie Francy! Fammi entrare!

I cespugli alla mia destra si sono agitati e mi è venuto quasi un collasso, a me. I procioni vengono lì per prendere la roba che casca giù dai robot da trasporto. Ma era solo un serpente. — Annie! Sono io… Billy! Fammi entrare!

La bassa porta si è aperta. Io mi sono trascinato dentro a ginocchioni. Era stata Lizzie, proprio lei, che era riuscita a capire come fare aprire la servo-entrata senza un segnale da robot. Annie non ci sarebbe mai riuscita.

Erano lì tutte e due. Annie stava pelando mele e Lizzie armeggiava con il robot che avrebbe dovuto pelare le mele. Che ormai non funzionava più da un mese. Non che Lizzie lo poteva mettere a posto. Era sveglia, lei, ma aveva ancora solo undici anni.

— Billy Washington! — mi ha detto Annie. — Stai tremando tutto! Che è successo?

— Procioni con la rabbia — ho boccheggiato io. Il cuore mi stava battendo forte come una cascata. — Quattro. Registrati sul monitor della zona. Vicino al fiume, dove Lizzie… Lizzie va a giocare…

— Sssttt! — ha detto Annie. — Ssssttt, caro. Lizzie è qui, adesso. È al sicuro, lei.

Annie mi ha abbracciato mentre io me ne stavo a boccheggiare sul pavimento come una specie di orsacchiotto afflitto. Lizzie mi ha guardato, lei, coi grossi occhi neri sbarrati e scintillanti. Pensava probabilmente che un procione con la rabbia era una cosa interessante. Non ne ha mai visto uno, lei. Io sì.

Annie era grande e morbida, una donna color del cioccolato con due seni che sembravano cuscini. Non mi aveva mai voluto dire quanti anni aveva, lei, ma tutto quello che avevo dovuto fare era stato chiederlo al terminale al caffè o all’albergo. Aveva trentacinque anni. Lizzie non assomigliava manco per niente a sua madre. Aveva la pelle più chiara ed era ossuta, lei, con i capelli rossastri legati in treccine. Non aveva ancora né i fianchi né il seno. Quello che aveva era il cervello. Annie era molto preoccupata per questo. Lei non riusciva a ricordarsi di un tempo quando eravamo solo persone, non Vivi. Io me lo ricordavo, io. A sessantotto anni si ricordano un sacco di cose. Io mi ricordavo di un tempo quando Annie poteva essere orgogliosa del cervello di Lizzie.

Io mi ricordavo di un tempo quando essere stretto da una donna come Annie significava più che boccheggiare per il cuore malconcio.

— Stai meglio, caro? — ha detto Annie. Mi ha tolto le braccia e a me mi sono mancate subito. Sono un vecchio pazzo, io. — Adesso dicci tutto da capo, piano piano.

Io avevo ripreso fiato. — Quattro procioni con la rabbia. Il monitor della zona urlava a morte. Devono essere venuti giù, quelli, dalle montagne. Il monitor li faceva vedere vicino al fiume che si muovevano verso il paese. I bio-allarmi lampeggiavano rosso scuro. Poi il monitor si è spento e non c’è stato verso di farlo riaccendere di nuovo. Jack Sawicki l’ha preso a calci, lui, e l’ho fatto anche io. Quei procioni potrebbero essere dappertutto.

— È stato mandato il robot di guardia per ammazzarli, prima che il monitor si è rotto?

— Anche il robot di guardia è rotto.

— Merda. — Annie ha fatto una smorfia. — La prossima volta voto contro quel Samuelson.

— Pensi che fa una differenza? Sono tutti uguali. Ma tu tieni dentro Lizzie, tu, fino che qualcuno non fa qualcosa contro quei procioni, Lizzie, tu rimani dentro, mi hai sentito?

Lizzie ha annuito. Poi, visto che era Lizzie, si è messa a discutere. — Ma chi, Billy?

— Chi, cosa?

— Chi farà qualcosa contro i procioni? Se il robot di guardia è rotto?

Nessuno le ha risposto. Annie ha preso in mano il coltello e ha ricominciato a pelare le mele. Io mi sono accomodato meglio contro il muro. Niente sedie, ovviamente: nella cucina del caffè non ci doveva stare nessuno, a parte i robot. Annie ci aveva fatto irruzione per la prima volta nel settembre scorso. Non aveva mai dato fastidio ai robot mentre che preparavano la roba da mangiare per la catena del cibo. Si era presa solo un po’ di zucchero qui, un po’ di soia sintetica lì, un po’ di frutta fresca dai rifornimenti del servo-bidone e si era messa a cucinare delle cose. Cose deliziose; nessuno sapeva cucinare come Annie. Torte di frutta che ti facevano venire l’acquolina in bocca solo a guardarle. Polpettoni fumanti e piccanti. Biscotti leggeri come l’aria.

Lei aggiungeva quella roba direttamente nei cestini della catena del cibo che finivano nel caffè per venire presi con i gettoni-pasto della gente. Quei pazzi probabilmente non se n’erano manco accorti, loro, di quanto erano più buoni i suoi piatti rispetto alla solita roba che girava sul nastro trasportatore giorno e notte. E ovviamente, con l’olo-terminale che andava a tutta birra e la musica da ballo che suonava tutto il tempo, nessuno aveva mai sentito lei e Lizzie lì dietro, anche se avessero fatto saltare per aria l’intera, maledetta cucina.

Ad Annie piaceva cucinare, diceva lei. Le piaceva tenersi occupata. A volte pensavo che per essere una che cercava di tirar su Lizzie come una buona Viva, Annie stessa era più che un po’ Mulo. Ovviamente io non glielo avevo mai detto a lei, Annie. Io ci tenevo alla mia testa.

Annie ha cominciato a canticchiare mentre pelava le mele. Ma Lizzie non l’ha smessa con le domande. Ha detto di nuovo: — "Chi" farà qualcosa contro i procioni?

Annie ha corrugato la fronte. — Forse arriverà qualcuno ad aggiustare il robot di guardia.

I grossi occhi di Lizzie sono rimasti immobili. Fa venire i brividi quando fissa con uno sguardo così duro senza mai strizzare gli occhi. — Non è venuto nessuno ad aggiustare il robot che pela le mele. Non è arrivato nessuno ad aggiustare il robot pulitore nel caffè. Tu hai detto ieri che pensavi che i Muli non ci mandavano nessuno, nemmeno se si rompeva il robot principale della soia sintetica.

— Be’, non lo pensavo davvero, io — ha detto Annie. Si è messa a pelare più in fretta. — Se "quello" si rompe nessuno mangia più in paese!

— Si potrebbe dividere. Dividere il cibo che la gente ha preso dalla catena del cibo prima che quella si rompeva.

Io e Annie ci siamo guardati a vicenda. Una volta io avevo visto un paese dove si era rotto il caffè. Erano finite morte sei persone. E quello quando la ferrovia a gravità funzionava regolarmente, e la gente si era potuta trasferire in un altro paese del distretto.

— Sì, tesoro — ha detto Annie. — La gente può dividere.