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Henry Kuttner

Mimetizzazione

Talman era tutto sudato quando raggiunse il numero 16 di Knobhill Road. Fu con uno sforzo che premette la piastra di chiamata. Vi fu un sordo ronzio mentre le fotoelettriche controllavano e approvavano le sue impronte; infine la porta si aprì e Talman si addentrò nel corridoio in penombra. Guardò dietro di sé, là dove, dietro le colline, le luci dello spazioporto formavano un basso e pulsante alone.

Andò avanti; discese una rampa e si trovò in una stanza comodamente arredata, dove un uomo grasso, dai capelli grigi, sedeva in una poltrona giocherellando con un bicchiere pieno di whisky allungato col seltz. La voce di Talman suonò tesa, quando disse: «Ciao, Brown. Tutto bene?»

Un sogghigno si disegnò sulle guance cadenti di Brown. «Certo», replicò. «E perché no? La polizia non ti sta dando la caccia, vero?»

Talman si sedette e cominciò a prepararsi un drink, scegliendo dal vassoio lì accanto. Il suo volto sottile e sensibile si era incupito.

«Non ci si può mettere a discutere con le proprie ghiandole. In ogni caso, questo è l’effetto che lo spazio fa a me. Sin da quando ho lasciato Venere, aspetto che qualcuno mi si avvicini e mi dica: “La vogliono per interrogarla”».

«Nessuno l’ha fatto».

«Non sapevo cosa avrei trovato qui».

«La polizia non si aspettava che ci dirigessimo sulla Terra», obbiettò Brown, dandosi un’aggiustata ai capelli grigi. «Ed è stata un’idea tua».

«Già. Consulente di psicologia per…»

«… per criminali. Vuoi lasciare?»

«No», ribatté Talman, esplicito. «No, coi profitti che ci sono già in vista. Questa faccenda è grossa».

Brown sogghignò. «Certo che è grossa. Nessuno ha mai organizzato il crimine prima d’oggi in questo modo. Prima di noi, al confronto, non c’era nessun crimine che valesse una cartina di spilli».

«Tuttavia, come ci ritroviamo, adesso? Dobbiamo scappare».

«Fern ha trovato un nascondiglio assolutamente sicuro».

«Dove?»

«Nella Cintura degli Asteroidi. Ma ci serve ancora una cosa».

«Che cosa?»

«Una centrale atomica».

Talman lo fissò sbalordito. Ma vide che Brown non stava scherzando. Un attimo dopo mise giù il bicchiere e lo fissò torvo.

«Ma è impossibile. Una centrale atomica è troppo grossa».

«Già», annuì Brown, «salvo che, questa starà già viaggiando nello spazio, diretta a Callisto».

«Un dirottamento? Non abbiamo abbastanza uomini…»

Talman tirò indietro la testa: «Uh. È fuori dal mio campo…»

«Ci sarà un equipaggio minimo, naturalmente. Ma ci occuperemo noi di loro… e prenderemo il loro posto. Poi, dovremo soltanto staccare il transplant e inserire i comandi manuali. Non è affatto fuori dal tuo campo. Fern e Cunningham possono occuparsi degli aspetti tecnici, ma prima dobbiamo scoprire quanto possa essere pericoloso un transplant».

«Non sono un ingegnere».

Brown proseguì, ignorando l’interruzione. «Il transplant incaricato di questo trasporto su Callisto un tempo era Bart Quentin. Tu lo conoscevi, vero?»

Talman, colto di sorpresa, annuì. «Certo. Anni fa. Prima che…»

«Tu sei pulito, per ciò che riguarda la polizia. Va’ a trovare Quentin. Tiragli fuori tutte le informazioni che puoi. Scopri… Cunningham ti dirà quello che devi scoprire. Dopo saremo in grado di procedere. Spero».

«Non so. Non sono…»

Brown aggrottò le sopracciglia. «Dobbiamo trovare un nascondiglio. Ora è d’importanza vitale. Altrimenti, tanto vale che entriamo nella più vicina stazione di polizia e ci facciamo ammanettare. Siamo stati in gamba, ma adesso… dobbiamo nasconderci. E in fretta».

«Be’… questo l’ho capito. Ma tu sai cos’è veramente un transplant?»

«Un cervello libero. In grado di manovrare congegni artificiali».

«Da un punto di vista strettamente tecnico, sì. Hai mai visto un transplant che fa funzionare una scavatrice? Oppure una draga venusiana? Comandi d’una incredibile complessità che richiederebbero altrimenti una dozzina di uomini?»

«Vuoi dirmi che un transplant è un superuomo?»

«No», replicò Talman, lentamente, «non intendo dir questo. Ma ho idea che sarebbe più sicuro inguaiarsi con dodici uomini che con un solo transplant».

«Be’», riprese Brown, «tu ora andrai a Quebec a trovare Quentin. Ho scoperto che adesso si trova là. Ma prima parla con Cunningham. Studieremo ogni dettaglio. Dobbiamo soprattutto conoscere le capacità di Quentin e i suoi punti vulnerabili. E se è o no telepatico. Tu sei un vecchio amico di Quentin, e sei anche uno psicologo, perciò sei il tipo adatto per questo lavoro».

«Già».

«Dobbiamo impadronirci di quella centrale. Perché dobbiamo nasconderci… subito!»

Talman pensò che con ogni probabilità Brown aveva progettato tutta quella faccenda fin dall’inizio. Quell’uomo grasso era molto furbo; era stato abbastanza intelligente da rendersi conto che dei criminali comuni non avrebbero avuto nessuna possibilità in un mondo altamente tecnico e specializzato. Le forze di polizia potevano fare appello alle più svariate scienze per chiedere aiuto. Le comunicazioni erano ottime e veloci anche da un pianeta all’altro. C’erano congegni d’ogni tipo… L’unica possibilità di commettere con successo un crimine era di farlo in fretta e di darsi subito alla fuga.

Ma un crimine doveva esser progettato con cura. Quando si entra in competizione con un’unità sociale organizzata qual è la società umana, come ogni delinquente fa, è saggio procurarsi un’organizzazione di pari efficacia. Un’anitra non ha nessuna possibilità davanti a un fucile. Un bandito tutto muscoli è condannato al fallimento per lo stesso motivo. Le tracce da lui lasciate verrebbero analizzate con le tecniche più sottili; la chimica, la criminologia e la psicologia lo braccherebbero senza lasciargli scampo; e finirebbe comunque per confessare, senza nessun terzo grado. Per cui…

Così, Cunningham era un ingegnere elettronico. Fern era astrofisico. Talman era un psicologo. Il grosso e biondo Dalquist era un cacciatore, per libera scelta e professione, incredibilmente veloce e preciso con la pistola. Cotton era matematico… e Brown in persona era il coordinatore. La combinazione aveva funzionato alla perfezione per tre mesi, su Venere. Poi, com’era inevitabile, la rete si era chiusa su di loro. Ma la banda era riuscita a scivolar via tra le maglie e a rifugiarsi sulla Terra, pronta a compiere il passo successivo in quel piano dettagliato a lungo raggio. A tutt’oggi Talman non sapeva quale fosse questo piano. Ma poteva facilmente intuirne la sua logica.

Nell’immensa desolazione della cintura degli Asteroidi avrebbero potuto, se necessario, nascondersi per sempre, uscendone per fare un colpo tutte le volte che se ne offriva l’opportunità. Laggiù, al sicuro, avrebbero potuto creare un’organizzazione criminale clandestina, con un’efficiente rete d’informazione, stesa fra i pianeti… Sì, era uno sviluppo inevitabile. Però, si sentiva ugualmente incerto, ed esitante, alla prospettiva di misurare il suo intelletto contro quello di Bart Quentin. Quell’uomo… non era più umano.

Continuò ad esser preoccupato sulla via di Quebec. Per quanto fosse abituato ad affrontare ogni tipo di gente, non poteva fare a meno di sentirsi teso e imbarazzato in previsione dell’incontro con Quentin. Fingere d’ignorare quell’… incidente… sarebbe stato troppo ovvio. Tuttavia… Ricordò che sette anni prima Quentin aveva posseduto un fisico aitante e muscoloso, ed era stato orgoglioso della sua abilità di ballerino. In quanto a Linda, si chiese cosa ne fosse stato. Viste le circostanze, non poteva essere ancora la moglie di Bart Quentin. Oppure si?

Fece passare lo sguardo sul San Lorenzo, una striscia d’argento opaco, che scivolò sotto l’aereo quando questo s’inclinò per l’atterraggio. Piloti robot… un sottile raggio-guida. Soltanto durante le tempeste più violente i piloti umani prendevano i comandi. Nello spazio era una faccenda diversa. C’erano altre funzioni, di enorme complessità, per le quali un cervello umano era inadeguato. A meno che non fosse un cervello d’un tipo molto speciale…