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Timida e diffidente, Pall uscì dalla Spina. «Non arrabbiarti, Jackson», disse. «Lo so che sei sconvolto». Allungò la mano e gli toccò il pugno. «So cosa provi. Trattavano così anche me. Ma ho imparato a ignorarlo. E non mi sono arresa. Ho continuato a cercare di migliorarmi, e un giorno…». Abbassò gli occhi. «Quello che devi fare», spiegò, di slancio, «è… be’, imparare a esprimerti. Esprimere te stesso. Vedi, se impari ad avere fiducia in te stesso, in ciò che sei, se sei sicuro di quel che sei, allora… Be’, hai visto cos’è successo. Se hai fiducia… e amare qualcuno può darti quella fiducia, e anche soltanto ammirare molto qualcuno può darti molta fiducia… bene, allora puoi tirare diritto e fare tutto quello che fanno gli altri, pur continuando a esprimere te stesso, quindi vedi, ecco, è così che puoi far parte del gruppo e continuare a essere te stesso. Voglio dire, conoscere te stesso ti permette di far parte di un gruppo. E hai visto come mi hanno accettata, finalmente. Be’, ciò lo rende molto bello, perché d’ora innanzi saprò sempre che essere parte di un gruppo è l’unica cosa che ti permette di essere te stesso. E io posso darti la stessa cosa. Lasciami stare con te. Ti farà bene».

Jackson alzò lo sguardo verso la spirale di baluginii. «Lo vedi?», chiese. «Lo senti?».

«Certamente. Ti piacerebbe vedere una attualità in diretta di Petra Jovans?».

Jackson rabbrividì. «No. Non mostrarmi mai Petra Jovans».

Pall gli prese la mano e se la portò alla bocca. «Ti prego, Jackson», disse. «Io ti comprendo veramente».

Gesù santo, pensò lui. E poi pensò: per me stesso, io sono l’unico uomo sano di mente concepibile. E lei è abbastanza matta per assecondarmi, se la porto con me. «Oh, vieni», disse, tenendola per il polso, e allontanandosi dalla Spina.

Pall gli trottò graziosamente al fianco. «Dove andiamo?».

«Non lo so». Jackson passò tra i padiglioni, si avviò tra i campi. C’era una specie di sentiero fiancheggiato dalle siepi, e lo percorse. Gli exterocettori li accompag narono.

«Magnifico!», stava dicendo Comp. «La ricerca del Nuovo Eden! L’uomo e la sua compagna, nell’interminabile viaggio verso…».

«Merda», disse Jackson.

Pall lo fissò. «Perché?».

Perché? Doveva essere sempre per qualcosa, no? Jackson scosse la testa. «Vuoi sapere davvero? Vuoi davvero che io mi esprima, giusto?».

Lei annuì. «Certamente».

D’accordo. Jackson esordì: «Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano e si estende fino agli orli. Gli orli si ergono alti e crudeli. Al tramonto, l’orizzonte occidentale è la parete più lontana del cratere. È nero. Nerazzurro…».

«Magnifico! Meraviglioso!», mormorò Comp al suo orecchio, in tono d’ammirazione. «Perdonami. Credevo che avresti prodotto soltanto una specie di cliché. Qualunque tuo cliché sarebbe ammirevolmente drammatico, certo, di grande richiamo. Ma non devi credere neppure per un istante che io non sappia apprezzare il suono crudo e onesto della verità viscerale. Non ha un pubblico altrettanto numeroso, certo, ma va benissimo. Non scendere a compromessi. Non inzuccherarlo solo perché vuoi che piaccia a lei. Toni echeggiami, ragazzo! Racconta com’era!».

«…E tu al mio fianco nel deserto», mormorò Jackson, mentre Pall gli trottava al fianco, con gli occhi lucenti come exterocettori. Jackson disse: «La luce del sole colpisce all’orlo superiore del cratere, che è color ruggine. Forma un lungo arco color ruggine che sembra abbassarsi a sinistra e a destra, come una muraglia, o un arco, o la scia di qualcosa che è saettata a tua insaputa da un orizzonte all’altro, e tu puoi vedere soltanto quella scia. Ci sono rocce, sul fondo del cratere. La luce del sole che le investe, un attimo prima di spegnersi, le colora d’arancio. Lassù si librano le stelle, dure e brillanti».

«Questo è l’orizzonte verso il quale ti dirigi, quando vai a caccia di amsir».

«In principio, io seguivo quell’uccellaccio…».

FINE