Cosa aveva fatto Cullen, si chiese Gundersen, perché lo volessero tanto?
Ai vecchi tempi, Cullen gli era sembrato del tutto normale: un uomo allegro e rubicondo che collezionava insetti, non diceva mai parole aspre e reggeva bene l’alcool. Quando Gundersen era agente capo alla Punta di Fuoco, nel Mare di Polvere, Cullen era stato suo assistente. Per mesi di fila, c’erano solo loro due alla stazione, e Gundersen era arrivato a conoscerlo piuttosto bene, immaginava. Cullen non aveva alcun piano per fare carriera nella Compagnia; diceva di aver firmato un contratto di sei anni, e di non avere alcuna intenzione di rinnovarlo; avrebbe preso un incarico universitario, una volta finito il lavoro sul Mondo di Holman. Era lì solo per stagionare, e per il prestigio che viene da un servizio su un mondo extraterrestre. Poi la situazione politica sulla Terra si era complicata, e la Compagnia era stata costretta ad abbandonare moltissimi pianeti che aveva colonizzato. Gundersen, come la maggior parte dei quindicimila dipendenti della Compagnia, aveva accettato il trasferimento a un altro incarico. Cullen, con grande stupore di Gundersen, era stato fra i pochi che avevano scelto di rimanere, anche se questo aveva significato tagliare i legami con il loro mondo natale. Gundersen non gli aveva chiesto il perché; non si discuteva di certe cose. Ma gli era sembrato singolare.
Vedeva chiaramente Cullen nella sua mente: a caccia di insetti nel Mare di Polvere, la bottiglia che gli penzolava dalla cintura mentre correva da un affioramento roccioso all’altro… un ragazzo troppo cresciuto, in realtà. La bellezza del Mare di Polvere gli era del tutto estranea. Nessun settore del pianeta era più alieno di quello, né più spettacolare: un letto oceanico prosciugato, più grande dell’Atlantico, ricoperto da uno spesso strato di finissimi cristalli minerali, brillanti come specchi quando il sole li colpiva. Dalla stazione di Punta di Fuoco si poteva vedere la luce del mattino avanzare come un fiume di fuoco che straripasse, finché l’intero deserto era in fiamme. I cristalli assorbivano energia tutto il giorno e la rilasciavano la notte, cosicché già al tramonto una bizzarra luminescenza si alzava dal letto oceanico, e dopo il tramonto del sole un bagliore rossastro, pulsante, perdurava per ore. In questo deserto quasi senza vita, ma di meravigliosa bellezza, la Compagnia aveva trovato una dozzina di metalli rari e una trentina di pietre preziose e semipreziose. Le macchine estrattive partivano dalla stazione e giravano in lungo e in largo, macinando bellezza e tornando con tesori; non c’era molto da fare lì per un agente, tranne che tenere l’inventario della crescente ricchezza e fare da anfitrione ai turisti che venivano a vedere la bellezza del luogo. Gundersen si era annoiato terribilmente, e anche lo splendore del paesaggio alla fine lo aveva stancato, ma Cullen, per cui il deserto incandescente era soltanto un appariscente fastidio, si divertiva con il suo hobby, e riempiva bottiglia dopo bottiglia di insetti. Chissà se le macchine estrattive erano ancora nel Mare di Polvere, si chiese Gundersen, in attesa di un comando per riprendere le operazioni? Se la Compagnia non le aveva portate via dopo l’indipendenza, sarebbero senza dubbio rimaste lì per tutta l’eternità, senza arrugginire, inutili, fra i tremendi solchi che avevano scavato. Le macchine avevano spazzato via il manto cristallino fino a scoprire il basalto sottostante, poi avevano sputato fuori grandi cumuli di residui e detriti, mentre trituravano sabbia alla ricerca di ricchezza. Probabilmente la Compagnia le aveva lasciate, come monumento al commercio. Le macchine costavano poco, i trasporti interstellari molto; perché portarsele via? “Fra mille anni,” aveva detto una volta Gundersen “il Mare di Polvere sarà interamente distrutto, e non ci saranno altro che detriti al suo posto, se le macchine continuano a macinare roccia a questa velocità.” Cullen aveva alzato le spalle, sorridendo. “Be’, così non ci sarà più bisogno di questi occhiali scuri, senza quella luce infernale” aveva detto. “Eh?” E adesso la rapina del deserto era finita e le macchine erano ferme; e adesso Cullen era un fuggiasco nel paese delle nebbie, ricercato per un crimine così terribile che i nildor non volevano neppure dargli un nome.
7
Quando ripresero il cammino, la mattina seguente, fu Credevo ad aprire, insolitamente, la conversazione.
— Raccontami degli elefanti, amico del mio viaggio. Che aspetto hanno, e come vivono?
— Come hai sentito parlare degli elefanti?
— I terrestri all’albergo ne parlavano. E anche in passato ho sentito questa parola. Sono esseri della Terra che assomigliano ai nildor, non è così?
— C’è una certa somiglianza — concesse Gundersen.
— Molto evidente?
— Ci sono molte analogie. — Avrebbe voluto che Credevo fosse stato capace di comprendere un disegno. — Sono lunghi e alti come voi, e hanno quattro zampe, una coda, una proboscide. E anche le zanne, ma solo due. I loro occhi sono più piccoli, e situati in una posizione peggiore. E qui… — indicò la cresta sul cranio di Credevo — non hanno niente. E le loro ossa non si muovono come le vostre.
— Mi sembra — disse Credevo — che questi elefanti assomiglino molto ai nildor.
— Immagino di sì.
— Come mai avviene questo? Credi che noi e gli elefanti possiamo essere della stessa razza?
— È impossibile — disse Gundersen. — È semplicemente una questione di… di… — Cercò le parole; il vocabolario nildororu non possedeva termini tecnici di genetica. — Semplicemente un modello di sviluppo della vita che si verifica in molti mondi. Certi modelli fondamentali delle creature viventi si riproducono ovunque. Il modello degli elefanti e dei nildor è uno di questi. Il corpo grande, la testa massiccia, il collo corto, la lunga proboscide che permette di raccogliere oggetti e di maneggiarli senza doversi chinare… queste cose si sviluppano ovunque si ritrovino le condizioni adatte.
— Dunque, tu hai visto elefanti su molti altri mondi?
— Su alcuni — disse Gundersen. — Seguono lo stesso modello di base, o almeno alcuni aspetti di esso, anche se la somiglianza più stretta è fra gli elefanti e i nildor. Potrei citarti una mezza dozzina di altre creature che sembrano appartenere allo stesso gruppo. E questo si applica anche a molte altre forme di vita: insetti, rettili, piccoli mammiferi eccetera. Ci sono certe nicchie, su ogni mondo, che devono essere riempite. I pensieri della Forza Plasmante viaggiano lungo lo stesso sentiero, ovunque.
— Dove sono, dunque, gli equivalenti degli uomini, su Belzagor?
Gundersen esitò. — Non ho detto che ci sono equivalenti esatti ovunque. La cosa che assomiglia più da vicino allo schema umano, sul vostro pianeta, suppongo che siano i sulidoror. E non ci assomigliamo molto.
— Sulla Terra gli uomini regnano. Qui i sulidoror sono la seconda razza.
— I casi dell’evoluzione. Il vostro g’rakh è superiore a quello dei sulidoror; sul nostro mondo non vi è alcuna altra specie che possieda g’rakh. Ma le somiglianze fisiche fra uomini e sulidoror sono molte. Camminano su due gambe, come noi. Mangiano sia carne che frutti, come noi. Hanno mani per prendere le cose, come noi. Hanno gli occhi di fronte, come noi. Certo, sono più grossi, più forti, più pelosi e meno intelligenti degli esseri umani, ma quello che volevo dimostrarti, è che i modelli sono simili su differenti pianeti, anche se non esiste alcuna relazione di parentela fra…