Credevo disse: — Come fai a sapere che gli elefanti sono privi di g’rakh?
— Noi… loro… è chiaro che… — Gundersen si arrestò a disagio. Dopo aver pensato un momento, disse con cautela: — Non hanno mai dimostrato alcuna delle qualità del g’rakh. Non hanno una vita di villaggio, una struttura tribale, tecnologia, religione, continuità di cultura.
— Neppure noi abbiamo vita di villaggio o tecnologia — disse il nildor. — Vaghiamo nella giungla, riempiendoci la pancia di foglie e rami. Ho sentito dire questo di noi, ed è vero.
— Ma voi siete diversi, voi…
— In che senso siamo diversi? Anche gli elefanti vagano nella giungla, riempiendosi la pancia di foglie e rami, non è vero? Non portano pelli sopra la loro pelle. Non costruiscono macchine. Non hanno libri. Tuttavia tu ammetti che noi abbiamo g’rakh, e insisti che loro non l’hanno.
— Non possono comunicare le idee — disse disperatamente Gundersen. — Sanno dirsi l’un l’altro semplici cose, suppongo, circa il cibo, l’accoppiamento, i pericoli, ma questo è tutto. Se possiedono un vero linguaggio, noi non ce ne siamo mai accorti. Abbiamo individuato solo alcuni suoni fondamentali.
— Forse il loro linguaggio è così complesso che voi non siete capaci di individuarlo — suggerì Credevo.
— Ne dubito. Ci siamo accorti non appena siamo arrivati qui che i nildor parlavano un linguaggio; e siamo stati capaci di apprenderlo. Ma in tutte le migliaia d’anni in cui uomini ed elefanti hanno condiviso lo stesso pianeta, non abbiamo mai notato alcun segno che siano in grado di accumulare e trasmettere concetti astratti. E questa è l’essenza dell’avere g’rakh, no?
— Ripeto la mia affermazione: e se voi foste così inferiori ai vostri elefanti da non saper comprendere la loro profondità?
— Ben detto, Credevo. Ma non sono disposto ad accettarlo come una descrizione della realtà di fatto. Se gli elefanti possiedono g’rakh, come mai non sono riusciti ad arrivare da nessuna parte, durante tutto il tempo passato? Perché l’umanità domina la Terra, con gli elefanti relegati in un paio di angoli del pianeta e quasi estinti?
— Voi uccidete i vostri elefanti?
— Non più. Ma c’era un tempo in cui gli uomini uccidevano gli elefanti per piacere, per il cibo, o per usare le zanne come ornamenti. E c’era un tempo in cui gli uomini usavano gli elefanti come bestie da soma. Se gli elefanti avessero g’rakh…
Si rese conto di essere caduto nella trappola di Credevo.
Il nildor disse: — Anche su questo pianeta gli “elefanti” si lasciavano sfruttare dagli uomini. Non ci mangiavate, e raramente ci uccidevate, ma spesso ci facevate lavorare per voi. Eppure ammetti che siano esseri dotati di g’rakh.
— Quello che abbiamo fatto qui — disse Gundersen — è stato un gigantesco errore, e quando ce ne siamo resi conto, abbiamo abbandonato il vostro pianeta. Ma questo non significa che gli elefanti siano esseri razionali e senzienti. Sono animali, Credevo, grossi semplici animali, e nulla più.
— Città e macchine non sono le uniche dimostrazioni di g’rakh.
— Quali sono le loro realizzazioni spirituali, allora? Cosa pensa un elefante circa la natura dell’universo? Cosa pensa circa la Forza Plasmante? Come considera il suo ruolo nella società?
— Non lo so — disse Credevo — e neppure tu, amico del mio viaggio, perché il linguaggio degli elefanti ti è precluso. Ma è un errore presumere l’assenza di g’rakh quando sei incapace di vederlo.
— In questo caso forse anche i malidaror hanno g’rakh. E i serpenti velenosi. E gli alberi, i rampicanti, e…
— No — disse Credevo. — Su questo pianeta solo i nildor e i sulidoror possiedono g’rakh. Questo lo sappiamo al di là di ogni dubbio. Sul vostro pianeta, non è detto che solo gli uomini possiedano la qualità della ragione.
Gundersen vide l’inutilità di insistere. O Credevo era uno sciovinista che difendeva la supremazia degli elefanti in tutto l’universo, oppure adottava deliberatamente una posizione estremistica per denunciare l’arroganza e la vulnerabilità morale dell’imperialismo terrestre. Gundersen non sapeva quale delle due cose fosse vera, ma non aveva molta importanza. Ripensò a Gulliver che discuteva dell’intelligenza dei cavalli con gli Houyhnhnms.
— Ti concedo il punto — disse brevemente. — Forse un giorno porterò un elefante su Belzagor, e mi potrai dire se possiede o no g’rakh.
— Lo accoglierei come un fratello.
— Saresti forse infelice nel dover constatare il vuoto nella mente del tuo fratello — disse Gundersen. — Vedresti un essere formato a tua immagine, ma non riusciresti a raggiungere la sua anima.
— Portami un elefante, amico del mio viaggio, e io sarò il giudice della sua anima — disse Credevo. — Ma dimmi un’ultima cosa, poi non ti disturberò più: quando la tua gente ci chiama elefanti, è perché ci ritiene semplici animali, vero? Gli elefanti sono “grossi semplici animali”, sono le tue parole. È così che ci vedono i visitatori della Terra?
— Si riferiscono solo alla somiglianza nella forma fra i nildor e gli elefanti. È una cosa superficiale. Vogliono dire che voi siete come elefanti.
— Vorrei poterlo credere — disse il nildor, e rimase in silenzio, lasciando solo Gundersen con la sua vergogna e la sua colpa. Ai vecchi tempi, non era mai stata sua abitudine discutere la natura dell’intelligenza con le sue cavalcature. Non gli era mai neppure venuto in mente che una simile discussione potesse essere possibile. Adesso avvertiva il risentimento soppresso di Credevo. Elefanti… sì, era così che anche lui aveva visto i nildor. Elefanti intelligenti, forse. Ma sempre elefanti.
In silenzio, seguirono il fiume ribollente verso nord. Poco prima di mezzogiorno raggiunsero la sorgente, un grande lago a forma di tazza incastrato fra una doppia catena di ripide colline. Nuvole di vapore oleoso si alzavano dalla superficie del lago. Alghe termofile striavano le acque, quelle rosa che formavano una schiuma sottile e quasi nascondevano l’intrico di piante più grosse, grigio-azzurre, poco più sotto.
Gundersen avrebbe voluto sostare per esaminare il lago e le sue insolite forme di vita, ma provava una strana riluttanza a chiedere a Credevo di fermarsi. Credevo non era solo la sua cavalcatura, era anche il suo compagno di viaggio; e dire, come un turista: “fermiamoci qui per un po’”, avrebbe potuto rinforzare l’idea del nildor che i terrestri pensavano ancora alla sua gente semplicemente come bestie da soma. Perciò si rassegnò a non vedere lo spettacolo. Non era giusto, si disse, che rallentasse il viaggio di Credevo verso la rinascita soltanto per gratificare la sua curiosità.
Ma mentre si avvicinavano a una curva del lago, si sentì un tale fracasso nel sottobosco, verso est, che l’intera processione di nildor si arrestò per vedere cosa succedeva. A Gundersen sembrava che un dinosauro stesse per sbucare dalla giungla, qualche gigantesco e goffo tirannosauro, inesplicabilmente trasportato nel tempo e nello spazio. Poi, emergendo da una frattura nella fila di colline, un piccolo veicolo tozzo avanzò lentamente sul terreno nudo che fiancheggiava il lago. Gundersen riconobbe lo scarafaggio dell’hotel, che si trascinava dietro un rimorchio assurdo e primitivo, fabbricato con rozze tavole e grosse ruote. Sopra questo sobbalzante e sferragliante rimorchio erano state montate quattro piccole tende, che lo occupavano quasi interamente; accanto alle tende, sopra le ruote, erano accatastati i bagagli, e sul retro, aggrappati a una ringhiera, si guardavano nervosamente intorno gli otto turisti che Gundersen aveva visto per l’ultima volta qualche giorno prima, all’albergo lungo la costa.