Выбрать главу

Gundersen disse: — Lo sdrucciolo è molto interessante. Ma non mi piace su di te.

— Va bene. — Si toccò alla base della pancia, appena sopra il nucleo dell’organismo. Questo si contrasse e scese lungo la sua gamba in un solo movimento ondeggiante, poi scivolò via, e si raccolse dalla parte opposta della veranda. — Va meglio così? — chiese Seena, nuda, luccicante di sudore, le labbra umide.

Quell’approccio così esplicito lo sconcertò. Nessuno dei due si era mai dato molto pensiero della nudità, ma c’era una deliberata aggressività sessuale in quell’esibizione che sembrava incongrua con quello che lui considerava il carattere di Seena. Erano vecchi amici, sì; un tempo erano stati amanti per parecchi anni; erano stati sposati in tutto, tranne che di nome, per molti mesi; ma con tutto ciò, l’ambiguità della loro separazione avrebbe dovuto distruggere qualsiasi intimità era un tempo esistita. E anche lasciando da parte la questione del suo matrimonio con Kurtz, il fatto che non si vedessero da otto anni gli sembrava consigliasse un più graduale ritorno all’intimità fisica. Gli sembrava che rendendosi così sfacciatamente disponibile a pochi minuti dal suo inatteso arrivo, lei commettesse un’infrazione non tanto morale, quanto estetica.

— Mettiti addosso qualcosa — disse sobriamente. — Ma non lo sdrucciolo. Non posso avere una conversazione seria con te, con tutte queste tentazioni davanti agli occhi.

— Povero Edmund, sempre convenzionale. Va bene. Hai cenato?

— No.

— Farò servire qui. E da bere. Torno subito.

Entrò nell’edificio. Lo sdrucciolo rimase sulla veranda; rotolò con qualche esitazione verso Gundersen, come se si offrisse di essere portato da lui per un po’, ma lui gli lanciò un’occhiata di fuoco, e la creatura dell’altopiano dovette percepire il sentimento, perché si allontanò subito. Un minuto dopo apparve un robot con un vassoio, su cui erano posati due cocktail dorati. Offrì un bicchiere a Gundersen, appoggiò l’altro sulla balaustra, e se ne andò silenziosamente. Poi arrivò Seena, castamente abbigliata con un abito dritto di morbido tessuto grigio, che le scendeva dalle spalle alle caviglie.

— Va meglio? — chiese.

— Per il momento. — Brindarono; lei sorrise; appoggiarono i bicchieri alle labbra. — Ti sei ricordata con non mi piacciono gli spruzzi.

— Dimentico molto poco, Edmund.

— Com’è la vita quassù?

— Serena. Non avrei mai immaginato che la mia vita potesse essere così calma. Leggo molto; aiuto i robot ad accudire il giardino; qualche volta arrivano degli ospiti; qualche volta viaggio. Spesso passano delle settimane senza che veda un altro essere umano.

— E tuo marito?

— Passano settimane senza che vediamo un altro essere umano — si corresse lei.

— Siete soli qui? Voi e i robot?

— Soli.

— Ma gli altri della Compagnia capiteranno qui di frequente.

— Alcuni. Non siamo restati in molti — disse Seena. — Meno di cento, credo. Circa sei al Mare di Polvere. Van Beneker all’hotel. Quattro o cinque alla vecchia stazione della fenditura. E così via… piccole isole di uomini, molto disperse. C’è una specie di circuito sociale, ma piuttosto irregolare.

— È questo che volevi quando hai scelto di stare qui?

— Non sapevo cosa volevo, tranne che volevo rimanere. Ma lo rifarei. Sapendo tutto quello che so, lo rifarei.

Gundersen disse: — Nella stazione appena a sud di questa, sotto le cascate, ho visto Harold Dykstra…

— Henry Dykstra.

— Henry. E una donna che non conoscevo.

— Pauleen Mazor. Era una delle ragazze della dogana, ai tempi della Compagnia. Henry e Pauleen sono i miei vicini più prossimi, credo. Ma sono anni che non li vedo. Non vado più a sud delle cascate, e loro non sono venuti qui.

— Sono morti, Seena.

— Oh?

— È stato come entrare in un incubo. Un sulidor mi ha portato da loro. La stazione era in rovina, muffe e fungoidi dappertutto, e qualcosa covava dentro di loro, le larve di una specie di spugna rossa a forma di cesto appesa a una parete, da cui colava olio nero…

— Cosa del genere succedono — disse Seena, che non sembrava particolarmente sconvolta. — Prima o poi questo pianeta prende tutti, anche se sempre in maniera diversa.

— Dykstra era privo di conoscenza, e la donna pregava di essere liberata dalla sua pena, e…

— Hai detto che erano morti.

— Non quando sono arrivato. Ho detto al sulidor di ucciderli. Non c’era speranza di salvarli. Li ha squarciati, poi io ho usato la torcia.

— Abbiamo dovuto farlo anche per Gio Salamone — disse Seena. — Era alla Punta di Fuoco, e uscì sul Mare di Polvere, e un parassita cristallino gli entrò in un taglio. Quando Kurtz e Ced Culìen lo trovarono, era tutto cubi e prismi, affioramenti di bellissimi minerali iridescenti, che spuntavano dalla pelle. Ed era ancora vivo. Per un po’. Vuoi ancora da bere?

— Sì, grazie.

La donna chiamò il robot. Faceva buio, ormai. Una terza luna era apparsa.

A bassa voce Seena disse: — Sono molto felice che tu sia venuto questa sera, Edmund. È stata una meravigliosa sorpresa.

— Kurtz non è qui, adesso?

— No — disse lei. — È via, e non so quando tornerà.

— Com’è stato per lui, vivere qui?

— Credo che sia stato abbastanza felice, in genere. Naturalmente è un uomo molto strano.

— È vero — disse Gundersen.

— Ha qualcosa del santo, penso.

— Un santo oscuro e gelido, Seena.

— Alcuni santi lo sono. Non assomigliano tutti a San Francesco.

— La crudeltà è uno dei caratteri della santità?

— Kurtz vedeva la crudeltà come una forza dinamica. È diventato un artista della crudeltà.

— Anche il marchese de Sade. Ma nessuno l’ha canonizzato.

— Sai cosa voglio dire — disse Seena. — Una volta mi hai descritto Kurtz come un angelo caduto. È esattamente così. L’ho visto fra i nildor, che ballava in mezzo a centinaia di loro, e loro andavano da lui e praticamente lo adoravano. Lui gli parlava, li accarezzava. E faceva la cosa più distruttiva per loro, eppure lo amavano.

— Che genere di cosa distruttiva?

— Non ha importanza. Non credo che approveresti. Lui… gli dava delle droghe, qualche volta.

— Il veleno dei serpenti?

— Qualche volta.

— Dov’è adesso? A giocare coi nildor?

— È ammalato. — Il robot aveva cominciato a servire la cena. Gundersen aggrottò la fronte di fronte alle strane verdure sul piatto. — Sono perfettamente sane — disse Seena. — Le coltivo io stessa, nell’orto. Sono diventata un’esperta.

— Non ricordo di averne mai viste.

— Vengono dall’altopiano.

Gundersen scosse la testa. — Quando ripenso a come eri disgustata dall’altopiano, quanto ti sembrava strano e disgustoso quella volta che atterrammo là…

— Ero una bambina allora. Quando è successo? Undici anni fa? Poco dopo averti conosciuto. Avevo solo vent’anni. Ma su Belzagor è necessario sconfiggere quello che ti spaventa, o si resta sconfitti. Sono tornata sull’altopiano. Più volte. E non l’ho più trovato strano, e così ha smesso di spaventarmi, e così ho cominciato ad amarlo. E ho portato molti dei suoi animali e delle sue piante a vivere qui con me. È così diverso dal resto di Belzagor… tagliato fuori da tutto il resto, quasi alieno.

— Ci sei andata con Kurtz?

— Qualche volta. E qualche volta con Cen Cullen. Ma di solito da sola.

— Cullen — disse Gundersen. — Lo vedi spesso?

— Oh, sì. Lui, Kurtz e io siamo stati una specie di triunvirato. Il mio secondo marito, quasi. In senso spirituale, voglio dire. Anche fisico, qualche volta, ma questo non è molto importante.