Un robot gli venne incontro sulla prima veranda, e gli offrì la colazione.
— Attenderò la donna — disse Gundersen.
— Potrà vederla solo molto più tardi.
— È strano. Non aveva l’abitudine di dormire tanto.
— È insieme all’uomo — spiegò il robot. — Sta con lui e lo conforta, a quest’ora.
— Quale uomo?
— L’uomo Kurtz, suo marito.
Stupito, Gundersen disse: — Kurtz è qui alla stazione?
— Giace ammalato nella sua stanza.
Lei gli aveva detto che era via, pensò Gundersen. Che non sapeva quando sarebbe tornato. Disse: — Era nella sua stanza ieri sera?
— Sì.
— Da quanto tempo è tornato dall’ultimo viaggio che ha fatto?
— Un anno al solstizio — disse il robot. — Forse dovreste consultare la donna, su queste faccende. Vi raggiungerà fra poco. Devo portare la colazione?
— Sì — disse Gundersen.
Ma Seena arrivò quasi subito. Dieci minuti dopo che ebbe finito i succhi, la frutta e i pesci fritti che il robot gli aveva portato, lei apparve sulla veranda, indossando uno scialle bianco e diafano, attraverso cui si scorgevano con chiarezza i contorni del suo corpo. Sembrava avesse dormito bene. La sua pelle era limpida e lucida, il passo vigoroso, i capelli scuri si gonfiavano nella brezza del mattino; ma la strana espressione rigida e tormentata dei suoi occhi era immutata, e contrastava con l’innocenza del nuovo giorno.
Gundersen disse: — Il robot mi ha detto di non aspettarti per la colazione. Ha detto che non saresti scesa per un po’.
— Non importa. Di solito non scendo così presto, è vero. Vieni a fare una nuotata?
— Nel fiume?
— No, sciocco! — Si tolse lo scialle e corse giù per i gradini che portavano al giardino. Lui rimase immobile un momento, affascinato dal ritmo delle sue braccia oscillanti, dalle natiche ondeggianti; poi la seguì. Lei prese per una svolta del sentiero, che prima non aveva notato, e si fermò davanti a una pozza circolare che sembrava essere stata scavata nella viva roccia, lungo il fianco del fiume. Poi si tuffò con un arco perfetto, e parve rimanere sospesa per un attimo sulla superficie dell’acqua scura, i seni resi sorprendentemente rotondi dalla gravità. Poi si immerse. Prima che risalisse per riprendere fiato, Gundersen si era spogliato e si era tuffato a sua volta. Anche in quel clima mite l’acqua era gelida.
— Viene da una sorgente sotterranea — gli disse Seena. — Non è meraviglioso? Come un rito di purificazione.
Un viticcio grigio si alzò dall’acqua dietro di lei, con in cima artigli gommosi. Gundersen non riuscì a trovare parole per avvertirla. Indicò con gesti frenetici delle dita ed emise versi acuti di orrore. Un secondo viticcio salì a spirale dal fondo e rimase sospeso sopra di lei. Sorridendo Seena si voltò, e parve accarezzare qualche grande creatura; le acque si agitarono, poi i viticci sparirono.
— Cos’era quello?
— Il mostro dello stagno — disse lei. — Me l’ha portato Ced Cullen come regalo di compleanno, due anni fa. È una medusa dell’altopiano. Abitano nei laghi e pungono le prede.
— Quanto è grosso?
— Oh, come un grosso polipo direi. È molto affettuoso. Ho chiesto a Ced che mi catturasse un compagno, ma poi lui è andato a nord, e così dovrò pensarci io, prima o poi. Il povero mostro si sente solo. — Uscì dalla pozza e si stese su una lastra di liscia roccia nera, per asciugarsi al sole. Gundersen la seguì. Da quella parte della pozza, con la luce che penetrava nell’acqua all’angolo giusto, riuscì a scorgere sul fondo una grossa forma dai molti arti. Il regalo di compleanno di Seena.
Chiese: — Sapresti dirmi dove potrei trovare Ced Cullen, adesso?
— Nella zona delle nebbie.
— Questo lo so. È un territorio grande. In che punto, esattamente?
Lei rotolò sulla schiena e fletté le ginocchia. Il sole trasformò in prismi le goccioline d’acqua sui suoi seni. Dopo un lungo silenzio, disse: — Perché ci tieni tanto a trovarlo?
— Sto facendo un viaggio sentimentale, per rivedere i vecchi amici. Ced e io eravamo molto vicini, un tempo. Non è una ragione sufficiente?
— Non è una ragione per tradirlo, vero?
Lui la fissò. Teneva gli occhi chiusi, e i seni pesanti si alzavano e abbassavano lentamente, serenamente. — Cosa vorresti dire? — chiese.
— I nildor non ti hanno mandato a cercarlo?
— Che razza di assurdità sono queste? — esclamò lui, con voce che non suonò abbastanza indignata neppure alle sue orecchie.
— Perché fingere? — disse lei, parlando sempre dall’interno di quell’impenetrabile nucleo di sicurezza totale. — I nildor lo vogliono riportare indietro. A causa del trattato, non possono andare e prenderselo loro. I sulidoror non hanno voglia di estradarlo. Di certo nessuno dei terrestri che vivono su questo mondo lo andrà a prendere. Tu, come straniero, hai bisogno del permesso dei nildor per entrare nella zona delle nebbie, e dal momento che sei un tipo ligio alle regole, avrai probabilmente chiesto il permesso, e non c’è nessuna ragione per cui i nildor dovrebbero farti un favore, a meno che tu non faccia qualcosa in cambio. Eh? Come volevasi dimostrare.
— Chi ti ha detto tutto questo?
— Credimi, ci sono arrivata da sola.
Lui appoggiò la testa su una mano e con l’altra toccò la coscia di Seena, in segno di ammirazione. La sua pelle era asciutta e calda, adesso. Appoggiò la mano sulla carne ferma. Seena non mostrò alcuna reazione. A bassa voce disse: — È troppo tardi per fare un patto?
— Che patto?
— Un patto di non aggressione. Ci siamo lanciati stoccate fin da quando sono arrivato qui. Finiamo le ostilità. Io ti ho nascosto delle cose, e tu ne hai nascoste a me, e a che ci serve? Perché non possiamo semplicemente aiutarci a vicenda? Siamo due esseri umani su un mondo molto più strano e pericoloso di quanto sospetti la maggior parte della gente, e se non possiamo darci un po’ di conforto e di aiuto, che senso hanno i legami umani?
Lei disse sommessamente:
Le parole dell’antica poesia sgorgarono dal pozzo della sua memoria, e Gundersen riprese il verso:
— “Dove eserciti ignoranti si scontrano di notte” — finì Seena per lui. — Sì. È proprio da te, Edmund, dimenticarti un verso proprio nel momento cruciale, nel punto culminante.
— Allora niente patto di non aggressione?
— Mi spiace. Non avrei dovuto dirlo. — Si voltò verso di lui, gli prese la mano appoggiata sulla coscia e se la premette teneramente fra i seni, la sfiorò con le labbra. — D’accordo, abbiamo scherzato. Adesso è finita, e diremo solo la verità, ma incomincia tu. I nildor ti hanno chiesto di portare Ced Cullen fuori dalla zona delle nebbie?
— Sì — disse Gundersen. — Era la condizione per il mio ingresso.
— E tu hai promesso di farlo?
— A certe condizioni, Seena. Se non verrà di sua volontà, non sono obbligato a costringerlo. Ma almeno devo trovarlo. Ho dato la mia parola. Perciò ti chiedo nuovamente di dirmi dove posso cercarlo.