— Tu hai provato la rinascita? — chiese Gundersen.
— Io? Mai. Mai neppure pensato. Ma ne so parecchio. Kurtz non è stato il primo di noi a provarci, naturalmente. Almeno una dozzina ce ne sono stati, prima di lui.
— Chi?
Cullen citò alcuni nomi. Erano uomini della Compagnia, tutti dalla lista di coloro che erano morti sul campo. Gundersen ne aveva conosciuto alcuni; altre erano figure del passato, prima che lui o Cullen giungessero sul Mondo di Holman.
Cullen disse: — E ce ne furono altri. Kurtz li cercò negli archivi, e i nildor gli fornirono il resto della storia. Nessuno di loro tornò mai dal paese delle nebbie. Quattro o cinque finirono come Kurtz… trasformati in mostri.
— E gli altri?
— In arcangeli, suppongo. I nildor sono stati piuttosto vaghi sull’argomento. Una qualche comunione trascendente con l’universo, un’evoluzione al successivo livello del corpo, un’ascesa sublime… cose del genere. L’unica cosa certa è che non sono più tornati nel territorio controllato dalla Compagnia. Kurtz sperava in un risultato del genere. Ma sfortunatamente Kurtz era Kurtz, mezzo angelo e mezzo demone, ed è così che è rinato. Ed è questo che Seena accudisce. In un certo senso, è un peccato che tu abbia perso il tuo stimolo, Gundy. Potresti anche essere uno di quelli che hanno una buona rinascita. Ti spiace chiamare Hor-tenebor? Ho bisogno di un po’ di aria fresca, se dobbiamo parlare tanto. È il sulidor appoggiato alla parete laggiù. È quello che si prende cura di me, che porta in giro le mie vecchie ossa. Mi farà uscire.
— Nevicava, poco tempo fa, Ced.
— Tanto meglio. Un uomo morente non dovrebbe vedere un po’ di neve? Questo è il posto più bello dell’universo — disse Cullen. — Proprio qui, di fronte alla capanna. Voglio vederla. Chiamami Hor-tenebor.
Gundersen chiamò il sulidor. A una parola di Cullen, Hor-tenebor raccolse il fragile invalido fra le sue braccia immense e lo portò attraverso la tenda all’ingresso della capanna, appoggiandolo su una struttura a forma di culla, che guardava verso il lago. Gundersen li seguì. Una nebbia fitta era scesa sul villaggio, nascondendo perfino le capanne più vicine, ma il lago stesso era chiaramente visibile sotto il cielo grigio. Spire di nebbia erano sospese sulla superficie opaca del lago. Nell’aria c’era un gelo intenso, ma Cullen, avvolto solo in una pelle sottile, non sembrava infreddolito. Tese una mano, il palmo verso l’alto, e guardò con la meraviglia di un bambino, i fiocchi posarsi su di esso.
Alla fine Gundersen disse: — Vorresti rispondere a una domanda?
— Se posso.
— Cosa hai fatto che ha sconvolto tanto i nildor?
— Non te l’hanno detto quando ti hanno mandato qui?
— No — disse Gundersen. — Hanno detto che l’avresti fatto tu, e che in ogni caso a loro non importava se io lo sapevo o no. Neanche Seena lo sapeva. E io non ne ho la più pallida idea. Non sei mai stato il tipo che uccide o tortura specie intelligenti. Non puoi aver usato il veleno dei serpenti, come Kurtz… lui l’ha fatto per anni, e non hanno mai cercato di prenderlo. Dunque cosa può essere stato che ha causato tanto…
— Il peccato di Atteone — disse Cullen.
— Come dici?
— Il peccato di Atteone, che non è stato un vero peccato, ma solo un caso. Nel mito greco era un cacciatore che capitò dove Diana faceva il bagno, e vide quello che non doveva vedere. Lei lo tramutò in un cervo, e venne fatto a pezzi dai suoi cani.
— Non capisco cosa c’entri…
Cullen tirò un profondo respiro. — Sei mai stato sull’altopiano centrale? — chiese, con voce bassa ma ferma. — Sì. Sì, certo che ci sei stato. Ricordo che avete avuto un atterraggio di fortuna, lassù, tu e Seena, mentre eravate diretti alla Punta del Fuoco, dopo una vacanza sulla costa, e siete rimasti isolati per un po’, e degli strani animali vi hanno disturbato, ed è stato allora che Seena ha cominciato a odiare l’altopiano. Giusto? Allora saprai che posto strano e misterioso sia, un posto separato dal resto del pianeta, dove neppure i nildor amano andare. Bene. Io cominciai ad andarci un anno o due dopo la decolonizzazione. Divenne il mio rifugio privato. Gli animali dell’altopiano mi interessavano, gli insetti, le piante, tutto quanto. Anche l’aria aveva un sapore speciale… dolce, pulito. Prima della decolonizzazione, sai, sarebbe stato considerato un po’ eccentrico visitare l’altopiano durante il proprio tempo libero, o in qualsiasi altro momento. Dopo, non importava più a nessuno. Il mondo era mio. Feci alcuni viaggi sull’altopiano. Raccolsi esemplari. Portai alcune curiosità a Seena, e lei se ne innamorò prima di sapere che venivano dall’altopiano, e a poco a poco l’aiutai a superare la sua paura irrazionale per quel luogo. Seena e io ci andammo spesso insieme, qualche volta anche con Kurtz. Ci sono molti esemplari di flora e di fauna dell’altopiano a Shangri-la; forse te ne sarai accorto. Sì? Li abbiamo raccolti tutti noi. L’altopiano cominciò a sembrarmi come qualsiasi altro posto, niente di soprannaturale, niente di bizzarro, soltanto una regione selvaggia e trascurata. Ed era il mio posto personale, dove andavo ogni volta che mi sentivo vuoto o stanco o vecchio. Uno anno fa, forse un po’ meno, andai sull’altopiano. Kurtz era appena tornato dalla sua rinascita e Seena era terribilmente depressa per quello che gli era successo, e volevo portarle un regalo, qualche animale, per confortarla. Questa volta mi posai un po’ a sud-ovest della mia normale zona di atterraggio, in una zona che non avevo mai visitato prima, dove due fiumi si incontravano. Una delle prime cose che notai fu che gli arbusti erano tutti strappati. Nildoror! Un sacco di nildor! Una zona immensa era stata brucata, e tu sai come brucano i nildor. La cosa mi incuriosì. Ogni tanto avevo visto un nildor isolato sull’altopiano, sempre a una certa distanza, ma mai una mandria intera. Così seguii la traccia della devastazione. Non cessava mai, questa cicatrice nella foresta, con rami spezzati e cespugli schiacciati, tutti i soliti segni. Arrivò la notte, e mi accampai, e mi sembrò di sentire un suono di tamburi. Il che era assurdo, dal momento che i nildor non usano tamburi. Mi resi conto dopo un po’ che li sentivo danzare, pestare sul terreno, e queste erano le vibrazioni. C’erano anche altri rumori: urla, grida, versi di animali spaventati. Dovevo sapere cosa stava succedendo. Perciò ripartii in piena notte e strisciai attraverso la giungla, sentendo il rumore farsi sempre più forte, finché non giunsi al bordo degli alberi, dove la giungla lasciava il posto a una specie di savana che arrivava fino al fiume. E qui, all’aperto, c’erano circa cinquecento nildor. Tre lune erano in cielo, e non avevo nessuna difficoltà a vedere. Gundy, ci crederesti che si erano dipinti? Come selvaggi. Come esseri usciti da un incubo. C’erano tre buche profonde, in mezzo alla prateria. Una delle buche era piena di una specie di fango rosso, le altre due contenevano rami e bacche e foglie che i nildor avevano calpestato per liberarne dei pigmenti colorati, uno nero e l’altro blu. Guardai i nildor scendere in queste buche, e per prima cosa si rotolavano nella buca di fango, e ne uscivano completamente coperti di scarlatto; poi andavano alle buche vicine e si dipingevano l’un l’altro delle strisce nere e blu con le proboscidi. Uno spettacolo barbarico: tutti quei colori, quella carne. Quando erano adeguatamente decorati, cominciavano a correre (non a camminare, a correre) attraverso la savana verso il luogo della danza, e cominciavano quella sequenza di quattro passi. La conoscerai: boom boom boom boom. Ma infinitamente più violenta e spaventosa, a causa della pittura guerresca. Un’armata di nildor selvaggi che pestavano coi piedi, dondolavano le teste tremende, sollevavano le proboscidi, ululavano, infilzavano le zanne nel terreno, saltavano, cantavano, sbattevano le orecchie. Spaventoso, Gundy, spaventoso. E la luce delle lune, sui corpi dipinti…
“Tenendomi ben nascosto nella foresta, girai verso ovest per avere una vista migliore. E vidi qualcosa, dalla parte opposta, che era ancora più strano delle pitture. Vidi un recinto con alte pareti, grande quattro o cinque volte questo villaggio. I nildor non potevano averlo costruito da soli; potevano aver sradicato gli alberi, e averli trascinati con le proboscidi, ma dovevano essere stati aiutati dai sulidoror per raddrizzarli e ordinarli. Dentro il recinto c’erano degli animali dell’altopiano. A centinaia, di ogni forma e dimensione. Quelli grossi, con i colli di giraffa, che mangiano le foglie degli alberi, e quelli simili a rinoceronti, con le corna da cervo, e quelli timidi che sembrano gazzelle, e dozzine che non avevo mai visto prima, tutti ammassati insieme come in una fiera. I cacciatori sulidoror dovevano aver battuto la foresta giorni e giorni, per mettere insieme quello zoo. Gli animali erano inquieti e spaventati. E anch’io. Mi acquattai nel buio, in attesa, e finalmente tutti i nildor furono adeguatamente pitturati, e un rituale iniziò in mezzo al gruppo di danzatori. Cominciarono a gridare, soprattutto nella loro lingua antica, quella che noi non comprendiamo, ma anche in normale nildororu, e alla fine compresi cosa stava succedendo. Sai cos’erano quegli animali pitturati? Erano nildor che avevano peccato, nildor in disgrazia! Quello era il luogo dell’espiazione, la festa della purificazione. Ogni nildor che si fosse macchiato di qualche colpa nell’anno precedente doveva venire lì per purificarsi. Gundy, sai quale peccato avevano commesso? Avevano preso il veleno da Kurtz. Il vecchio gioco, quello che tutti facevano alla stazione dei serpenti: un sorso ai nildor, un sorso a te, e via con le allucinazioni. Quei nildor dipinti e danzanti erano stati tutti quanti attirati sulla cattiva strada da Kurtz. Le loro anime erano macchiate. Il diavolo terrestre aveva scoperto il loro punto debole, la tentazione a cui non sapevano resistere. E adesso eccoli lì che cercavano di purificarsi. L’altopiano centrale è il purgatorio dei nildor. Non ci vivono perché ne hanno bisogno per i loro riti, e ovviamente uno non pianta un normale accampamento in un luogo sacro.