Quello che stava accadendo lì, si rese conto Gundersen, era una trasmutazione di specie, una trasformazione che avveniva non su uova, ma su organismi adulti. Adesso comprendeva le parole di Na-sinisul, quando gli aveva chiesto se anche i sulidoror subivano la rinascita: “Se non ci fosse il giorno, potrebbe esistere la notte?” Sì. Nildor in sulidor. Sulidor in nildor. Gundersen ebbe un brivido di incredulità. Dovette appoggiarsi alla parete per non cadere. Si sentiva scagliato in un universo senza punti fissi. Cos’era reale? Cos’era durevole?
Comprendeva adesso cosa era accaduto a Kurtz in quella montagna.
Gundersen capitò in una cella dove una creatura giaceva a metà di una metamorfosi. Più piccola di un nildor, più grande di un sulidor; denti e non zanne; proboscide e non naso; pelliccia, non pelle coriacea; grandi piedi piatti e non artigli; corpo adatto a camminare in posizione eretta.
— Chi sei? — sussurrò Gundersen. — Cosa sei? Cosa eri? Da che parte ti stai dirigendo?
Rinascita. Ciclo dopo ciclo dopo ciclo. Nildoror che pellegrinavano a nord, entravano in quella caverna, diventavano… sulidoror? Era possibile?
Se è vero, pensò Gundersen, allora non abbiamo mai capito niente di questo pianeta. Ed è vero.
Corse all’impazzata da una cella all’altra, senza più preoccuparsi di essere scoperto. Ciascuna cella confermò il suo sospetto. Vide nildor e sulidoror in ogni stadio di metamorfosi, alcuni quasi interamente nildor, alcuni indubitabilmente sulidoror, ma la maggior parte in qualche stadio intermedio fra un estremo e l’altro; più della metà erano a tal punto trasfigurati che gli era impossibile capire quale sarebbe stato il punto di arrivo. Tutti dormivano. Davanti ai suoi occhi la carne scorreva, ma nulla si muoveva. In quelle fredde camere immerse nella penombra, il mutamento giungeva come un sogno.
Gundersen raggiunse il termine del corridoio. Appoggiò il palmo contro la pietra fredda, solida. Senza fiato, inzuppato di sudore, si voltò verso l’ultima camera ed entrò.
Dentro di questa vi era un sulidor non ancora addormentato, in piedi fra tre serpenti dei tropici, che si muovevano in pigre spire intorno a lui. Il sulidor era grande, grigio per l’età, un essere di insolita imponenza e dignità.
— Na-sinisul? — chiese Gundersen.
— Sapevamo che prima o poi saresti arrivato, Edmundgundersen.
— Non avrei mai immaginato… non avevo capito… — Gundersen si interruppe, cercando con uno sforzo di riprendere il controllo di sé. Con voce più calma disse: — Perdonami se mi sono intromesso. Ho interrotto l’inizio della tua rinascita?
— Ho ancora molti giorni — disse il sulidor. — Sto soltanto preparando la camera.
— E ne uscirai come nildor.
— Sì — disse Na-sinisul.
— La vita segue un ciclo, dunque, su questo pianeta? Da sulidor a nildor a sulidor a nildor a…
— Sì. Rinascita dopo rinascita.
— Tutti i nildor trascorrono una parte della loro vita come sulidoror? Tutti i sulidoror trascorrono parte della loro vita come nildor?
— Sì. Tutti.
Com’era cominciato? si chiese Gundersen. Come si erano intrecciati i destini di due razze così diverse? Come aveva potuto un’intera specie consentire a una tale metamorfosi? Non riusciva neppure a immaginarselo.
Ma adesso comprendeva perché non aveva mai visto un nildor o un sulidoror piccolo. Disse: — Nascono mai dei piccoli di una razza o dell’altra, su questo mondo?
— Soltanto quando servono per sostituire coloro che non possono più rinascere. Non capita spesso. La nostra popolazione è stabile.
— Stabile, ma continuamente mutevole.
— Secondo uno schema prevedibile — disse Na-sinisul. — Quando riemergerò, sarò Fi’gontor della nona nascita. La mia gente ha atteso trenta rotazioni che mi riunissi a loro; ma le circostanze hanno richiesto che rimanessi tanto a lungo nella foresta delle nebbie.
— Nove rinascite sono un numero insolito?
— Ci sono alcuni fra noi che sono stati qui anche quindici volte. Ci sono alcuni che attendono cento rotazioni per essere chiamati. La chiamata giunge quando vuole; e per coloro che lo meritano, la vita non avrà fine.
— Non avrà… fine…
— Perché dovrebbe? — chiese Na-sinisul. — In questa montagna veniamo purgati dei veleni dell’età, e altrove ci purghiamo dei veleni del peccato.
— Sull’altopiano centrale, cioè.
— Vedo che hai parlato con l’uomo Cullen.
— Sì — disse Gundersen. — Poco prima della sua… morte.
— Sapevo anche che la sua vita era giunta al termine — disse Na-sinisul. — Apprendiamo rapidamente le notizie, qui.
Gundersen disse: — Dove sono Srin’gahar e Luu’khamin e gli altri con cui ho viaggiato?
— Sono qui, in celle non lontane.
— Già rinascono?
— Da alcuni giorni. Presto saranno sulidoror, e vivranno qui a nord, finché non verranno chiamati per riassumere la forma nildor. Così rigeneriamo la nostra anima, iniziando nuove vite.
— Durante la fase sulidoror conservate il ricordo della vostra vita trascorsa come nildor?
— Certamente. Come può l’esperienza essere utile se non viene conservata? Noi accumuliamo saggezza. La nostra capacità di vedere la verità viene acuita dal vedere l’universo ora attraverso gli occhi dei un nildor, ora di un sulidor. Non soltanto nel corpo le due forme sono diverse. Subire una rinascita significa entrare in un nuovo mondo, non soltanto una nuova vita.
Esitando, Gundersen disse: — E quando qualcuno che non è di questo pianeta subisce la rinascita? Qual è l’effetto? Che trasformazione avviene?
— Hai visto Kurtz?
— Ho visto Kurtz — disse Gundersen. — Ma non ho idea di cosa sia diventato.
— Kurtz è diventato Kurtz — disse il sulidor. — Per la vostra razza non può esistere vera trasformazione, perché non avete una specie complementare. Cambiate, sì, ma diventate solo quello che avete la potenzialità di diventare. Liberate quelle forze che già esistono in voi. Mentre dormiva, Kurtz scelse lui stesso la sua nuova forma. Nessun altro la definì per lui. Non è facile spiegarlo mediante le parole, Edmundgundersen.
— Se io mi sottoponessi alla rinascita, dunque, non mi trasformerei necessariamente in qualcosa di simile a Kurtz?
— No, a meno che la tua anima non sia l’anima di Kurtz, e questo non è possibile.
— Cosa diventerei?
— Nessuno può saperlo prima che avvenga. Se desideri scoprire cosa ti farà la rinascita, devi accettare la rinascita.
— Se chiedessi la rinascita, mi verrebbe concessa?
— Ti ho detto quando ci siamo incontrati la prima volta — disse Na-sinisul — che nessuno su questo mondo ti impedirà di fare alcunché. Non sei stato fermato mentre salivi la montagna della rinascita. Non sei stato fermato quando hai esplorato questa caverna. La rinascita non ti verrà negata se senti di doverla provare.
Senza esitare, serenamente, Gundersen disse: — Allora chiedo la rinascita.
16
Silenziosamente, senza mostrare sorpresa, Na-sinisul lo conduce in una cella vuota e gli fa cenno di togliersi i vestiti. Gundersen si spoglia. Le sue dita hanno solo qualche marginale difficoltà con le fibbie e le chiusure. Seguendo le indicazioni del sulidor Gundersen si stende sul pavimento. Come hanno fatto tutti gli altri candidati alla rinascita. La pietra è così fredda che si lascia sfuggire un sibilo quando la sua pelle la tocca. Na-sinisul esce. Gundersen guarda i fungoidi luminescenti, sulla volta lontana del soffitto. La camera è grande abbastanza da contenere comodamente un nildor, a Gundersen, steso sul pavimento, sembra immensa.
Na-sinisul ritorna portando una ciotola fatta con un tronco cavo. La offre a Gundersen. La ciotola contiene un liquido azzurro pallido. — Bevi — dice il sulidor sommessamente.